NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 2 luglio 2020

Consigli per l'esame di maturità. Parte 37. Oggetti polivalenti

oggetti di culto dell'Italia antica
(Fana, Templa, DelubraCorpus dei luoghi di culto dell’Italia Antica
a cura di Teresa Cinquantaquattro,  Gabriella Pescatori)
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Oggetti polivalenti

Argomenti
Oggetti, persone e divinità polivalenti. Il letto (con dentro la moglie). L’oro. La via coperta di porpora (“il tappeto rosso”). La porpora di Dario III, “l’eroe del dolore”[1]. Anche il Cristo Ecce homo presentato da Pilato è vestito di porpora. La fiaccola e la fiamma. Properzio, Ovidio, Stazio, Apuleio, Apollonio Rodio.

Nulla è scontato e definitivo; tutto è problematico[2] e suscita pensieri nei testi degli ottimi autori: la pluralità dei significati concerne le parole, le persone, e anche gli oggetti: il letto, il mobile più importante della casa, può essere "il santuario della vita"[3], oppure una trappola mortale ordita dalla moglie, come nell'Agamennone di Eschilo dove Cassandra grida: "Ahi, Ahi, che orrore! Cos'è ciò che appare?/è forse una specie di rete di Ades?/ma una rete (ajll j a[[rku") è la compagna di letto (hJ xuvneuno", formato da suvn + eujnhv), la complice/dell'assassinio"(vv. 1114 - 1117).
A sua volta la moglie può essere la vendicativa Clitennestra dell'Agamennone di Eschilo ma anche la mite e sottomessa Andromaca delle Troiane o dell'Andromaca di Euripide. Moglie, a[loco", è composto da aj - copulativo + levco", formato sulla radice lec - /loc - che si trova sia in levcomai "sono a letto" sia in lovco", "agguato", "imboscata".
C'è dunque una parentela etimologica tra il letto, la moglie, e l'agguato.

L'oro viene maledetto o santificato dal contesto. Si pensi all’età dell’oro e all’auri sacra fames[4].
Esso infatti può essere sporco del sangue versato dalla brama che spinge l'ospite ad assassinare l'ospite[5], o pure la "maledetta mota, comune bagascia del genere umano"[6] , ma può anche essere valutato per la sua bellezza, lucentezza e sacralità indipendentemente dal prezzo economico. Pindaro[7] nell’ Olimpica I mette in luce il valore estetico e spirituale, più che economico, quasi antieconomico dell'oro che "come fuoco avvampante brilla nella notte al di sopra di ogni superba ricchezza" (vv.1 - 2). Così nella Parodo dell'Edipo re, il coro evidenzia il valore estetico e votivo dell'oro delfico:"O voce dolciloquente di Zeus/ quale mai da Pito ricca d'oro (ta'" polucruvsou - Puqw'no")/ sei venuta alla splendida Tebe?" (vv. 151 - 153).
Anche il Cristo di Matteo reso benel in immagini filmiche da Pasolini[8] mette in rilievo la sacralità che l'oro riceve dall'altare quando censura gli Scribi e i Farisei ipocriti:" Stulti et caeci! Quid enim maius est: aurum an templum, quod santificat aurum?" (23, 17), stolti e ciechi, che cosa è più grande: l'oro o il tempio che santifica l'oro? E ancora:" Caeci! Quid enim maius est: donum an altare, quod santificat donum? (23, 19), ciechi! Che cosa infatti è più grande: l'offerta o l'altare che santifica l'offerta?
Sentiamo anche Nietzsche: “Ditemi: come è giunto l'oro ad avere il massimo valore? Perché non è volgare, non è utile e luccica di mite splendore; sempre esso dona se stesso”[9].
La via coperta di porpora (porfurostrwvto" povro" ) stesa davanti al re vincitore nell'Agamennone (v. 910) "non è affatto, come egli immagina, la consacrazione quasi troppo alta della sua gloria, ma un modo di consegnarlo alle potenze infere, di votarlo senza remissione alla morte, questa morte "rossa" che viene a lui nella stessa "sontuosa stoffa" preparata da Clitennestra per prenderlo in trappola come in una rete"[10]. Nell'Iliade al guerriero Ipsenore mentre muore, colpito dalla daga del tessalo Eurìpilo, arriva sugli occhi porfuvreo" qavnato" (V, 83), purpurea morte.
“Non di rado l’oggetto acquista significato sulla scena come simbolo. La brocca che l’Elettra euripidea porta sul capo serve ad esempio a mostrare in quali umili condizioni l’abbia costretta a vivere la tracotanza di Egisto.
Un forte valore simbolico ha anche il tappeto di porpora che Clitemestra fa dispiegare dinanzi ad Agamennone e che porterà il re nel bagno ove sarà assassinato; esso rappresenta il mondo di lussi e di sfarzi di cui Clitemestra si compiace, ma ha al tempo stesso un valore quasi magico, preludendo alla ricca veste in cui al momento del delitto Agamennone resterà impigliato come in una rete”[11].

Dario III a capo dell' esercito persiano schierato contro Alessandro spiccava per il suo sfarzo: "purpurae tunicae medium album intextum erat"[12], la tunica di porpora era intessuta d'argento nel mezzo. Ebbene, era già consacrato alla morte.
Anche il Cristo tribolato, già destinato alla morte, presentato da Pilato, è vestito di porpora: "Exiit ergo Iesus foras, portans spineam coronam et purpureum vestimentum. Et dicit eis - Ecce homo! - " (N. T. Giovanni, 19, 5).

La fiaccola (fax) è latrice di significato simbolico ambivalente: evoca le nozze ma anche i funerali, come risulta da questo verso di Properzio dove Cornelia, la sposa defunta di Paolo, dice :"viximus insignes inter utramque facem" (IV, 11, 46), sono vissuta nella luce tra l'una e l'altra fiaccola (quella delle nozze e quella del rogo funebre).
Tale fax ambigua si ritrova nei Remedia amoris[13] di Ovidio dove il poeta ricorda al dio Amore:"non tua fax avidos digna subire rogos (v. 38), la tua fiaccola non si merita di stare sotto i roghi ingordi.
Fiaccola mortale è quella che Ecuba sogna di partorire quando era incinta di Paride: “dalou' pikro;n mivmhma” (Troiane, v. 922), amara immagine di una torcia consumata.
Lo spengimento della fax durante le cerimonie e i sacrifici, e pure la scarsa luminosità della fiamma, è comunque un segno negativo.
Nelle Metamorfosi di Ovidio, durante le nozze di Euridice e Orfeo, la fiaccola senza fuoco di Imeneo preannunzia la morte :"fax quoque, quam tenuit, lacrimoso stridula fumo/usque fuit nullosque invenit motibus ignes " ( X, 6 - 7), perfino la fiaccola, che (Imeneo) tenne in mano, sfrigolò per tutto il tempo, con un fumo da far lacrimare, né trovò il fuoco sebbene agitata.
Nella Tebaide di Stazio, nero è il fuoco su tutti gli altari poco prima dell’eccidio dei maschi di Lemno perpetrato dalle “femmine spietate”[14] dell’isola: “niger omnibus aris/ignis” (V, 175 - 176).
Nell' Asino d'oro di Apuleio, dopo che Apollo ha vaticinato uno sposo mostruoso per la povera Psiche la quale con la sua bellezza aveva scatenato l’ira di Venere, la luce della fiaccola nuziale appassisce in cenere di nera fuliggine :"iam taedae lumen atrae fuliginis cinere marcescit ", IV, 33.
Lo sposo orrendo previsto da Apollo è Amore, e la profezia del Dio Milesio (Apuleio, Metamorfosi III, 32) è una delle tante calunnie che cercano di denigrare Eros. Il padre di Psiche dunque interrogò Apollo che gli rispose: “Nec speres generum mortali stirpe creatum,/sed saevum atque ferum vipereumque malum,/quod pinnis volitans super aethera cuncta fatigat/flammaque et ferro singula debilitat,/quod tremit ipse Iovis, quo numina terrificantur/fluminaque horrescunt et Stygiae tenebrae” (Metamorfosi, III, 33), non sperare in un genero nato da stirpe mortale, ma uno crudele e feroce, un mostro viperino, che con le ali volteggiando per l’aere tutto tormenta, che lo stesso Giove fa tremare, di cui i Numi hanno terrore, ne rabbrividiscono i fiumi, e le tenebre Stigie.
 Amore dunque, da cui “nasce il piacer maggiore/che per lo mar dell’essere si trova”[15] è, pure lui, segno di contraddizione. Lo chiariremo più avanti (cap. 60) con un’ampia scheda.
Viceversa è beneaugurante la fiamma che splende vigorosa: nelle Argonautiche di Apollonio Rodio il vate Idmone gioìva vedendo splendere dovunque la luce brillante (sevla~..pavntose lampovmenon) dei sacrifici (1, 435 - 436). 

giovanni ghiselli



[1] J. G. Droysen, Alessandro Il Grande, p. 187.
[2] Ha detto bene l'Emerito professore Bruno Gentili nel suo intervento al Convegno Scuola e Cultura Classica tenuto a Lamezia Terme l'1 e il 2 marzo 2004 che "l'analfabetismo di ritorno è sprovvisto di saperi problematici".
[3] Guy de Maupassant (1850 - 1893) , Le sorelle Rondoli (del 1884), in Racconti d'amore, p. 256.
[4] Cfr. 16. 1.
[5] Quid non mortalia pectora cogis,/ auri sacra fames! " (Eneide , III, 56 - 57).
[6] Shakespeare Timone d'Atene, 1607 - 1608, (IV, 3).
[7] 518 - 438 a. C.
[8] Il vangelo secondo Matteo, 1964.
[9] Così parlò Zarathustra, p. 88.
[10] J. P. Vernant, Mito e tragedia nell'antica Grecia, p. 91.
[11] Di Marco, Op. cit., p. 65.
[12] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 3, 3, 17.
[13] Remedia amoris, un poemetto di 814 versi (412 distici elegiaci), appartengono all'ultimo periodo della prima parte della produzione ovidiana, quella elegiaco - amorosa che arriva al 2 d. C.
[14] Dante, Inferno, XVIII, 89.
[15] Leopardi, Amore e morte, vv. 6 - 7.

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