oggetti di culto dell'Italia antica (Fana, Templa, DelubraCorpus dei luoghi di culto dell’Italia Antica a cura di Teresa Cinquantaquattro, Gabriella Pescatori) |
Oggetti
polivalenti
Argomenti
Oggetti, persone e divinità polivalenti. Il letto (con dentro la moglie). L’oro. La via coperta di porpora (“il
tappeto rosso”). La porpora di Dario III, “l’eroe del dolore”[1]. Anche il Cristo Ecce homo presentato
da Pilato è vestito di porpora. La fiaccola e la fiamma. Properzio, Ovidio,
Stazio, Apuleio, Apollonio Rodio.
Nulla è
scontato e definitivo; tutto è problematico[2] e
suscita pensieri nei testi degli ottimi autori: la pluralità dei significati
concerne le parole, le persone, e anche gli oggetti: il letto, il mobile più importante della
casa, può essere "il santuario della vita"[3],
oppure una trappola mortale ordita dalla moglie, come nell'Agamennone di
Eschilo dove Cassandra grida: "Ahi, Ahi, che orrore! Cos'è ciò che
appare?/è forse una specie di rete di Ades?/ma una rete (ajll j
a[[rku") è la
compagna di letto (hJ xuvneuno", formato da suvn + eujnhv), la
complice/dell'assassinio"(vv. 1114 - 1117).
A sua volta
la moglie può essere la vendicativa Clitennestra dell'Agamennone di
Eschilo ma anche la mite e sottomessa Andromaca delle Troiane o
dell'Andromaca di Euripide. Moglie, a[loco", è composto da aj - copulativo + levco", formato sulla radice lec - /loc - che si trova sia in levcomai "sono a letto" sia
in lovco",
"agguato", "imboscata".
C'è dunque
una parentela etimologica tra il letto, la moglie, e l'agguato.
L'oro viene maledetto o santificato dal contesto. Si pensi all’età dell’oro e
all’auri sacra fames[4].
Esso infatti
può essere sporco del sangue versato dalla brama che spinge l'ospite ad
assassinare l'ospite[5],
o pure la "maledetta mota, comune bagascia del genere
umano"[6] ,
ma può anche essere valutato per la sua bellezza, lucentezza e sacralità
indipendentemente dal prezzo economico. Pindaro[7] nell’ Olimpica
I mette in luce il valore estetico e spirituale, più che economico,
quasi antieconomico dell'oro che "come fuoco avvampante brilla nella notte
al di sopra di ogni superba ricchezza" (vv.1 - 2). Così nella Parodo dell'Edipo
re, il coro evidenzia il valore estetico e votivo dell'oro delfico:"O
voce dolciloquente di Zeus/ quale mai da Pito ricca d'oro (ta'" polucruvsou - Puqw'no")/ sei venuta alla splendida Tebe?" (vv. 151 - 153).
Anche il Cristo di Matteo reso benel in immagini filmiche da Pasolini[8] mette
in rilievo la sacralità che l'oro riceve dall'altare quando censura gli Scribi
e i Farisei ipocriti:" Stulti et caeci! Quid enim maius est: aurum an templum, quod
santificat aurum?" (23, 17), stolti e ciechi, che cosa è più grande:
l'oro o il tempio che santifica l'oro? E ancora:" Caeci! Quid enim
maius est: donum an altare, quod santificat donum? (23, 19), ciechi!
Che cosa infatti è più grande: l'offerta o l'altare che santifica l'offerta?
Sentiamo
anche Nietzsche: “Ditemi: come è giunto l'oro ad avere il massimo valore? Perché
non è volgare, non è utile e luccica di mite splendore; sempre esso dona se
stesso”[9].
La via coperta di porpora (porfurostrwvto"
povro" ) stesa
davanti al re vincitore nell'Agamennone (v. 910) "non è
affatto, come egli immagina, la consacrazione quasi troppo alta della sua
gloria, ma un modo di consegnarlo alle potenze infere, di votarlo senza
remissione alla morte, questa morte "rossa" che viene a lui nella
stessa "sontuosa stoffa" preparata da Clitennestra per prenderlo in
trappola come in una rete"[10].
Nell'Iliade al guerriero Ipsenore mentre muore, colpito dalla daga
del tessalo Eurìpilo, arriva sugli occhi porfuvreo"
qavnato" (V,
83), purpurea morte.
“Non di rado
l’oggetto acquista significato sulla scena come simbolo. La brocca che
l’Elettra euripidea porta sul capo serve ad esempio a mostrare in quali umili
condizioni l’abbia costretta a vivere la tracotanza di Egisto.
Un forte
valore simbolico ha anche il tappeto di porpora che Clitemestra fa dispiegare
dinanzi ad Agamennone e che porterà il re nel bagno ove sarà assassinato; esso
rappresenta il mondo di lussi e di sfarzi di cui Clitemestra si compiace, ma ha
al tempo stesso un valore quasi magico, preludendo alla ricca veste in cui al
momento del delitto Agamennone resterà impigliato come in una rete”[11].
Dario III a
capo dell' esercito persiano schierato contro Alessandro spiccava per il suo
sfarzo: "purpurae tunicae medium album intextum erat"[12],
la tunica di porpora era intessuta d'argento nel mezzo. Ebbene, era già
consacrato alla morte.
Anche il
Cristo tribolato, già destinato alla morte, presentato da Pilato, è vestito di
porpora: "Exiit ergo Iesus foras, portans spineam coronam et purpureum
vestimentum. Et dicit eis - Ecce homo! - " (N. T. Giovanni,
19, 5).
La fiaccola (fax)
è latrice di significato simbolico ambivalente: evoca le nozze ma anche i
funerali, come risulta da questo verso di Properzio dove Cornelia, la sposa
defunta di Paolo, dice :"viximus insignes inter utramque facem"
(IV, 11, 46), sono vissuta nella luce tra l'una e l'altra fiaccola (quella
delle nozze e quella del rogo funebre).
Tale fax ambigua
si ritrova nei Remedia amoris[13] di
Ovidio dove il poeta ricorda al dio Amore:"non tua fax avidos digna
subire rogos (v. 38), la tua fiaccola non si merita di stare sotto i
roghi ingordi.
Fiaccola
mortale è quella che Ecuba sogna di partorire quando era incinta di Paride: “dalou' pikro;n
mivmhma” (Troiane,
v. 922), amara immagine di una torcia consumata.
Lo spengimento della fax durante le cerimonie e i sacrifici,
e pure la scarsa luminosità della fiamma, è comunque un segno negativo.
Nelle Metamorfosi di
Ovidio, durante le nozze di Euridice e Orfeo, la fiaccola senza fuoco di Imeneo
preannunzia la morte :"fax quoque, quam tenuit, lacrimoso stridula
fumo/usque fuit nullosque invenit motibus ignes " ( X, 6 - 7),
perfino la fiaccola, che (Imeneo) tenne in mano, sfrigolò per tutto il tempo,
con un fumo da far lacrimare, né trovò il fuoco sebbene agitata.
Nella Tebaide di
Stazio, nero è il fuoco su tutti gli altari poco prima dell’eccidio dei maschi
di Lemno perpetrato dalle “femmine spietate”[14] dell’isola:
“niger omnibus aris/ignis” (V, 175 - 176).
Nell' Asino
d'oro di Apuleio, dopo che Apollo ha vaticinato uno sposo mostruoso per la
povera Psiche la quale con la sua bellezza aveva scatenato l’ira di Venere, la
luce della fiaccola nuziale appassisce in cenere di nera fuliggine :"iam
taedae lumen atrae fuliginis cinere marcescit ", IV, 33.
Lo sposo
orrendo previsto da Apollo è Amore, e la profezia del Dio Milesio
(Apuleio, Metamorfosi III, 32) è una delle tante calunnie che
cercano di denigrare Eros. Il padre di Psiche dunque interrogò Apollo che gli
rispose: “Nec speres generum mortali stirpe creatum,/sed saevum atque ferum
vipereumque malum,/quod pinnis volitans super aethera cuncta fatigat/flammaque
et ferro singula debilitat,/quod tremit ipse Iovis, quo numina
terrificantur/fluminaque horrescunt et Stygiae tenebrae” (Metamorfosi,
III, 33), non sperare in un genero nato da stirpe mortale, ma uno crudele e
feroce, un mostro viperino, che con le ali volteggiando per l’aere tutto
tormenta, che lo stesso Giove fa tremare, di cui i Numi hanno terrore, ne
rabbrividiscono i fiumi, e le tenebre Stigie.
Amore
dunque, da cui “nasce il piacer maggiore/che per lo mar dell’essere si trova”[15] è,
pure lui, segno di contraddizione. Lo chiariremo più avanti (cap. 60) con
un’ampia scheda.
Viceversa è
beneaugurante la fiamma che splende vigorosa: nelle Argonautiche di
Apollonio Rodio il vate Idmone gioìva vedendo splendere dovunque la luce
brillante (sevla~..pavntose lampovmenon) dei sacrifici (1, 435 - 436).
giovanni
ghiselli
[2] Ha detto bene l'Emerito professore Bruno Gentili nel suo intervento
al Convegno Scuola e Cultura Classica tenuto a Lamezia Terme l'1 e il 2 marzo
2004 che "l'analfabetismo di ritorno è sprovvisto di saperi
problematici".
[13] I Remedia amoris, un poemetto di 814 versi (412
distici elegiaci), appartengono all'ultimo periodo della prima parte della produzione
ovidiana, quella elegiaco - amorosa che arriva al 2 d. C.
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