Isabella Conti |
Sul quotidiano “la Repubblica” di
oggi, 18 luglio 2020, leggo un’intervista a Isabella Conti, sindaca del Comune
di San Lazzaro.
Con l’ultima domanda
l’intervistatrice, Silvia Bignami, le chiede per quale motivo sono così poche
le donne che si candidano ai ruoli direttivi della polis e dello Stato.
Copio l’intera risposta della
sindaca: “C’è un problema culturale da affrontare. Le donne hanno difficoltà a
presentarsi con una propria identità, a sinistra. Spesso non rappresentano loro
stesse, ma una corrente guidata da uomini. Finché sarà così, saremo condannate
alle quote rosa”.
Il problema culturale a parer mio è
un problema, ossia un ostacolo, costituito dalla scarsa e falsa cultura molto
diffusa.
Discende per i rami dalla
maggioranza delle donne e degli uomini delle generazioni precedenti. Eppure
quelle che studiavano molto e bene, come la Levi Montalcini per esempio, erano
ben lontane dall’asservirsi ai luoghi comuni estranei alla giustizia e alla
natura. Stereotipi che insegnavano la sottomissione alle bambine e pretendevano
di imporla alle donne.
Il risultato era l’infelicità
affettiva dei più, femmine e maschi.
Dopo la signora da premio
Nobel, voglio indicare due ragazze del tempo antico riferendo alcune parole di
Sofocle.
Nella tragedia del 442 la
protagonista eponima si oppone al tiranno e dà al fratello Polinice la
sepoltura vietata. La ragazza dice parole di umanesimo che è, molto
semplicemente e innanzitutto, amore per l’umanità: " ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun",
(Antigone, v.
523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore.
Umanesimo del resto è anche amore
di se stesso e rispetto della propria identità alla quale Antigone non vuole
rinunciare.
La figlia di Edipo e Giocasta non
teme l’isolamento: quando la sorella Ismene, che invece è impaurita, le fa
notare: "tu hai il cuore caldo per dei cadaveri gelati" (v. 88),
Antigone risponde : " ajll j oi\d
j ajrevskous j oi|" mavlisq j aJdei'n me crhv" (Antigone,
v. 89), ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io
piaccia".
Legge naturale e personale dunque
per Antigone è l'inclinazione ad amare, mentre il decreto di Creonte è un
editto di odio. La fuvsi" di
questa ragazza non riconosce come naturale il khvrugma del re di Tebe che è pure suo zio
materno.
Antigone non si lascia spaventare
come la sorella Ismene che le dice: "e poi, siccome siamo dominate da
gente più forte,/è necessario obbedire sia a questi, sia a decreti ancora più dolorosi di
questi" (vv. 63 - 64). -
Quindi la mite e sottomessa
aggiunge: "io obbedirò a coloro che sono arrivati al potere. Infatti
il/fare cose straordinarie non ha senso, proprio nessuno" (67 - 68). -
Antigone risponde: “ma lascia che io e la
pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla
di così grave da non morire nobilmente peivsomai
ga;r ouj - tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( vv. 95 -
97).
Questa giovanissima donna difende
la propria identità con ostinazione eroica.
Antigone pagherà tanto coraggio con
la vita. Adesso lo scotto della propria diversità per una donna, e, mi si
consenta pure per un uomo, è meno caro della vita, sebbene tuttora esoso. Credo
che una persona, se vuole riconoscere se stessa e diventare quello che davvero
è, abbia bisogno di molta cultura che la metta in grado di autorizzare i propri
pensieri e i propri sentimenti anche quando sono discrepanti dalla volgarità
dei luoghi comuni diffusi dal razzismo, dal provincialismo, dall’egoismo. Il
razzismo più odioso, l’ho detto e lo ripeto, è quello che vuole istituire una
graduatoria tra i generi, indipendentemente dalla cultura e dal valore, ossia
dalla conoscenza e dalla pratica del bene della persona.
giovanni ghiselli
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