liceo Rambaldi di Imola |
Il primo anno di insegnamento nel liceo classico
Riprendo il racconto dalla fine
della storia di Päivi (La storia di Päivi. Capitolo 31. Epilogo).
Torniamo dunque al pianto sulla terrazza del casinetto
del tennis. Era la sera del 15 agosto 1975. Il giorno seguente tornai a Pesaro,
e sulla trilogia finlandesi misi per lungo tempo sarcofago.
In settembre ricevetti l’incarico
di greco e latino nel triennio del liceo Rambaldi di Imola diretto da un
preside gentiluomo: Davide Ciotti. Dovetti studiare molto per farmi ascoltare
con attenzione da quelle ragazze e quei ragazzi che avevano una decina di anni
meno di me. Alcuni erano già molto informati e ben preparati da un bravo
docente di filosofia, assai reputato da loro. Volevo arrivare a essere stimato
almeno quanto quel collega: Gabriele Bonazzi Tendo a nominare le persone probe
non meno degli improbi per manifestare stima e gratitudine ai buoni, in loro
onore, e menzionare i malvagi perché la loro nequizia giri in infamia per il
mondo. Gli innominati sono gli ignavi, gli indifferenti, i noiosi, forse il
peggio dell’umanità. Non ci insegnano niente.
Con lo studio matto eppure
speranzosissimo degli otto mesi di quell’anno scolastico la mia visione della
vita osservata con prospettiva maggiore si ampliò, e perfino il significato
delle parole cambiò rispetto all’ignoranza e all’incoscienza di prima. Soprattutto
nel caso di alcuni termini chiave come amore, lavoro, bellezza, giustizia.
Vedremo come.
Intanto il lavoro divenne un
accrescimento, mio e di chi mi ascoltava, ottenuto attraverso un impegno di
preparazione che sacrificava ogni altra attività giornaliera: tornavo a casa, a
Bologna da Imola, mangiavo e studiavo tutto il pomeriggio ogni giorno, talora
anche dopo la cena immeritata, fino a mezzanotte, compresi i dì di festa anche
solenne. La preparazione ricevuta dallo studio precedente era bastata per i
ragazzini delle medie e dell’Istituto professionale femminile di Mezzolara, ma
non era sufficiente per farmi ascoltare da quegli studenti del liceo classico
di quel tempo e quel luogo: era ancora una scuola eletta. Per quanto riguarda
l’amore, questo era tutto indirizzato alla crescita attraverso lo studio
specializzante e non mi restava libido da indirizzare su altro, nemmeno
sull’ascesi pagana dello sport. Infatti fino a tutto maggio, a forza di desinare
e cenare immeritatamente, ingrassai.
Ricordo che verso la fine di
maggio, una sera allietata dai voli delle rondini e del loro strepitoso garrire
che mi sembrava il tripudio di una festa grata alla vita, mi affacciai a una
finestra dello studio e, osservando il sole occidente e pure sicuro di resurrezione,
mi dissi: “ce l’ho fatta. E’ stato molto duro, faticoso fino allo stremo delle
forze, ma ce l’ho fatta”. Ero perfino ingrassato per carenza di movimento
fisico mentre con quello mentale avevo scalato montagne alte e impervie assai.
In giugno recuperai la linea da asceta con tanto di vita da torero attraverso
digiuni, corse a piedi e pedalate in salita, poi in luglio, nel luglio del
1976, tornai a Debrecen.
giovanni ghiselli
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