NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 1 luglio 2020

Consigli per l'esame di maturità. Parte 35. Il mito. Mito e Storia

Erma del Vico


Il MITO
Quarta parte
Mito e Storia

Difficile e tardiva è la distinzione tra mito e storia: “l’età eroica, che coinciderebbe press’a poco con l’età micenea dei nostri libri di storia, era caratterizzata, secondo i Greci, da certi elementi divini, che nessun “razionalismo” poteva eliminare. Ecateo[1] stesso riferisce che gli Egiziani calcolavano ben 345 generazioni di soli uomini, generazioni che non avevano avuto contatto con gli dèi. Ma non riusciva a buttar via, per questo confronto egiziano, la sua convinzione che gli dèi avessero avuto rapporti con gli uomini, in Grecia, fin verso un’epoca che coinciderebbe, grosso modo, con il nostro 1100 a. C. (la fine dell’età micenea - submicenea). Infatti, imperturbabile, continuava ad affermare, per esempio: “A Danae si unisce Zeus”… questo “genealogo”, cioè studioso del mondo eroico, non può negare il presupposto fondamentale di quella storia eroica ch’egli tratta: il commercio, cioè, fra uomini e dèi. All’incirca nello stesso tempo, l’ateniese Ferecide trattava anch’egli “genealogie”; esse arrivavano giù fino alla piena età storica (per lo meno fino a Milziade, ecista del Chersoneso verso il 540 a. C.); ma prendevano le mosse dall’età degli dèi, e difatti la sua opera si chiamò anche Teogonia, oltre che Storie. Al solito: fra mito e storia non c’era distinzione. Persino Tucidide ricorderà, con rispetto, tradizioni eroiche: per esempio, quella di Alcmeone colonizzatore delle Echinadi, le isole derivate dai detriti dell’Acheloo”[2]

Nella Storia possono entrare i racconti semileggendari. Della loro veridicità dubitano gli stessi storiografi che li riferiscono. Vediamone alcuni esempi. Erodoto fa questa dichiarazione metodologica a proposito della diceria secondo la quale le ragazze indigene con penne di uccello spalmate di pece traevano pagliuzze d’oro da un lago situato in un’isola posta davanti alla costa africana: “tau'ta eij mh; e[sti ajlhqevw~ oujk oi\da, ta; de; levgetai gravfw” (4, 195, 2), queste cose non so se sono vere, ma quello che si dice lo scrivo. E più avanti a proposito di una raccontata intesa tra i Persiani e gli Argivi: “ejgw; de; ojfeivlw levgein tav legovmena, peivqesqaiv ge me;n ouj pantavpasin ojfeivlw” (7, 152, 3), io sono tenuto a dire le parole dette, a credere a tutte invece non sono tenuto.

Tito Livio nel suo proemio scrive: “Quae ante conditam condendamve urbem poeticis magis decōra fabulis quam incorruptis rerum gestarum monumentis traduntur, ea nec adfirmare nec refellere in animo est. Datur haec venia antiquitati, ut miscendo humana divinis primordia urbium augustiora faciat ” (Praefatio, 6), i racconti tramandati che risalgono al periodo di poco precedente la fondazione della città e quelli addirittura anteriori alla città da fondare, racconti che si addicono più alle narrazioni poetiche che ai seri documenti storici, non ho intenzione di confermare né di smentire. Alle antichità si concede questa licenza di rendere più venerabili i primordi delle città mescolando l’umano con il divino. 

Poi Curzio Rufo:“Equidem plura transcribo quam credo: nam nec adfirmare sustineo, de quibus dubito, nec subducere, quae accepi” ( Historiae Alexandri Magni, 9, 1, 34), per conto mio riporto più notizie di quelle cui presto fede: infatti non me la sento di confermare notizie delle quali non sono sicuro, né di sottrarre quelle che ho ricevuto.
 Quindi lo storiografo riferisce il racconto secondo il quale il cadavere di Alessandro giaceva nel sarcofago da sei giorni, trascurato, e, nonostante il caldo dell’estate babilonese, il corpo non era degenerato: “Traditum magis quam creditum refero (10, 10, 12).

 Pure Arriano a proposito della morte di Alessandro riporta una notizia alla quale non crede, della quale anzi afferma che dovrebbero vergognarsi quanti l’hanno scritta: che il macedone, sentendosi morire, voleva gettarsi nell’Eufrate per sparire accreditando la fama di una sua assunzione in cielo, in quanto nato da un dio. Glielo impedì Rossane ed egli le disse che lo privava della gloria di essere nato dio. Ebbene lo storiografo di Nicomedia precisa che ha riportato queste notizie wJ" mh; ajgnoei'n dovxaimi perché non sembri che io le ignori, più che per il fatto che esse sembrino pista; ej" ajghvghsin, (Anabasi di Alessandro, 7, 27, 3) credibili a raccontarle.

La storia dunque è intarsiata di miti, non senza le iridescenti bugie di cui scrive Pindaro[3], tant’è vero che essa è preceduta e anzi, in un certo senso, “nasce” dalla poesia epica, e i fatti storici, come hanno rilevato studiosi di levatura ed estimazione europea, sono stati cantati, o raccontati, prima dai poeti che dagli storiografi di professione.

Giambattista Vico afferma che "la storia romana si cominciò a scrivere da' poeti", e inoltre, utilizzando un passo di Strabone (I, 2, 6) sulla continuità tra l'epica ed Ecateo: "prima d'Erodoto, anzi prima d'Ecateo milesio, tutta la storia de' popoli della Grecia essere stata scritta da' lor poeti"[4]
Un giudizio apprezzato anche da Pavese:"Ciò che si trova di grande in Vico - oltre il noto - è quel carnale senso che la poesia nasce da tutta la vita storica; inseparabile da religione, politica, economia; "popolarescamente" vissuta da tutto un popolo prima di diventare mito stilizzato, forma mentale di tutta una cultura"[5].
Storia e poesia insomma sono intrecciate insieme.

Quintiliano indica il nesso tra storia e poesia: “historia…est enim proxima poetis et quodam modo carmen solutum est et scribitur ad narrandum, non ad probandum, totumque opus non ad actum rei pugnamque presentem, sed ad memoriam posteritatis et ingenii famam componitur[6], la storia infatti è vicinissima ai poeti e in un certo modo una poesia in prosa e viene scritta per narrare, non per provare, ed è opera rivolta non ad un agire pratico e a una contesa in corso, ma per il ricordo della posterità e per la fama dell’ingegno.



[1] Ecateo di Mileto, il primo logografo, nato verso il 550, scrisse Genealogie che volevano contrapporre una visione razionale a quella tradizionale: "Ecateo di Mileto dice così: scrivo queste storie come a me sembrano vere; infatti le tradizioni dei Greci sono molte e, a parer mio, anche ridicole ("oiJ ga;r JEllhvnwn lovgoi polloiv te kai; geloi'oi, wJ" ejmoi; faivnetai, eijsivn", fr. I Jacoby). L’altra opera è Perihvghsi" gh'" (o Perivodo" gh'" ), comunque una Descrizione della terra con una carta allegata.
 Era una descrizione etnica e geografica del mondo conosciuto divisa in due libri: uno dedicato all'Europa, l'altro all'Asia (ndr).
[2] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I, pp. 78 - 79.
[3] Olimpica I, 29.
[4]La Scienza Nuova , Pruove filologiche, III e VIII.
[5]Il mestiere di vivere , 30 agosto 1938.
[6] Institutio oratoria, X, 1, 31.

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