Il poema Pharsalia come anti-Eneide
Lucano ardens
et concitatus (Quintiliano, 10, 1, 90), pieno di pathos.
Il destino
vero di Roma è contrapposto a quello presentato da Virgilio . Lucano non ha
trionfi da cantare. Un’emulazione ex contrario dell’epica
storica romana.
Tucidide
separa diritto, morale e potere. La storia è storia del Potere, la giustizia
non c’entra.
Tacito
seguirà queste orme contrapponendosi a Livio, come Lucano a Virgilio.
Il teatro di
Seneca attende l’ejkpuvrwsi" la soluzione finale offerta dal fuoco universale, e la
rinascita ajpokatavstasi" di tutto l’Universo in forme nuove, il ritorno
allo stato primitivo. I fatti storici trovano una corrispondenza negli eventi
naturali catastrofici.
La
profondità del degrado politico è significata dalla degradazione del valore
semantico delle parole. Sono morte pietas, virtus, fides.
In Virgilio
la pietas di Enea fa nascere Roma, pur se fa morire
spietatamente Didone, in Lucano la morte della pietas significa
la morte di Roma. Cesare impius vince la guerra civile.
Il furor subentra alla pietas e il nuovo Sato
è il nefas, opera del furor.
La
gigantomachia della guerra civile è vinta dal gigante Cesare. Catone si suicida
con la sua virtus. Cfr. il dialogo Sofista di
Platone.
Nefas,
scelus, crimen, nocens, ritornano frequentemente nella Pharsalia,
come nelle tragedie di Seneca. Né manca il gusto dell’orrido. Non c’è più posto
per i boni mores.
Non c’è più
Provvidenza con la sua funzione corroborante delle difficoltà e delle disgrazie
. Gli dèi, se ci sono, sono ostili agli uomini.
La provnoia stoica è rovesciata: il fato
tiene gli uomini lontani dalla felicità. C’è sempre la vittoria del male in
questo controquadro.
La
Fortuna è un’antidea alleata di Cesare, immorale e ingiusta, eversiva e
caotica.
Cesare al
Rubicone dice: “te, Fortuna, sequor” I, 226). Non ci sono
dèi, come nella Fedra di Seneca: “res humanas ordine
nullo/Fortuna regit” (978 - 979 ). Il Fato vuole la morte della Repubblica.
Ci sono preghiere paradossali, come quella dell’indovino Arrunte: “et fibris
sit nulla fides” (I, 635), nelle viscere non ci sia credibilità.
Nel settimo
libro Lucano si augura che sopravvivano i barbari nam post civilia
bella/hic populus Romanus erit (543 - 544).
La Pharsalia dunque
è l’antiEneide, Al Romanam condere gentem (Eneide., I,
33) si sostituisce Roma perit (Pharsalia,
VII, 634).
A Farsalo
c’è un genocidio: la morte di un popolo.
Marlowe
tradusse il primo libro, Montaigne lo ammirò (Saggi, II, 10, “mi piace
Lucano non tanto per il suo stile, quanto per la verità delle sue opinioni e
dei suoi giudizi (p. 529).
Goethe lo
imitò nella scena introduttiva della Notte di Valpurga.
Hölderlin lo
tradusse (I, 1 - 500)
Le
descrizioni espressionistiche della guerra civile precorrono le tele di Emil
Nolde e Otto Dix. Lucano si uccise a 26 anni su ordine imperiale, nel 65. Era
complice dei Pisoni. Il suo genio è lugubre e visionario (cfr. furentis
animi vaticinatio nel Satyricon, 118).
La
deformazione delle cose nell’orrore si contrappone alle visioni idilliache
proposte dal classicismo virgiliano.
L’assurdità
delle cose, la natura versa deve risultare con ogni mezzo.
Stazio
riconduce lo stile di Lucano alla Musa rudis di Ennio e
al furor arduus di Lucrezio (Silvae, 2, 7,
75 - 7)
Nel dialogus di
Tacito, Giulio Secondo dice che all’oratore si chiede poeticus decor che
non deve però essere veterno inquinatus, saper di vecchiume, ma
essere tratto dal sacrario di Orazio, Virgilio e Lucano sed ex Horatii
et Virgilii et Lucani sacrario prolatus (20, 5)
La variatio dà au[[xhsi" ( amplificazione). Il suo
distacco dalla tradizione a volte giunge alla vilitas verborum rimproverata
da Eumolpo (Sat. 118, 4).
Lucano vuole
essere l’Antivirgilio. Ha tragicizzato l’epica. Tende a promuovere il massimo
effetto drammatico.
E’
teatrale alla maniera di Seneca: la parola dà spettacolo.
Le passioni
come ira e furor conducono le azioni allo scelus e
al nefas . Lucano non descrive aristìe come
Omero bensì massacri privi di senso come fa la storiografia tragica (cfr.
Filarco).
Le
masse, come i Cori tragici, esprimono i giudizi dell’autore. I monologhi sono
indirizzati al lettore, come nelle tragedie di Seneca. Sono scene stazionarie
poiché non portano avanti l’azione.
Il
personaggio commenta l’azione secondo l’ottica che lui stesso “deve” avere
(cfr. ta; devonta di Tucidide).
I monologhi
si possono collegare al genus deliberativum, cioè
alla suasoria, congeniale alla famiglia degli Annei che aveva
fondato la sua fortuna sull’arte della paola. Il vates fa
interventi didascalici. Egli è onnisciente come le Muse che non ci sono più.
Lucano si scaglia contro la sudditanza alla tirannide imperiale contro le
guerre civili che hanno riempito Roma della feccia del mondo.
Nell’VIII
canto, Lucano esecra la terra d’Egitto dove Pompeo è stato assassinato.
Ricorda con
disgusto: “Nos in templa tuam Romana accepimus Isim/semideosque canes et
sistra iubentia luctus/et quem tu plangens hominem testaris Osirim” (831 - 833)
i sistri che segnano il tempo del pianto e Osiride che tu piangendo dimostri
uomo.
(p. XXXVIII introduzione
di Giovanni Viansino a Pharsalia , Mondadori 1995)
L’uomo moderno soffre
di una personalità indebolita. Ha
perso la sua identità “come il romano dell’epoca imperiale abbandonò
la sua romanità rispetto al mondo che era a lui soggetto, come egli perdette se
stesso sotto l’irrompere delle cose straniere e degenerò in mezzo al cosmopolitico carnevale di dèi, costumi ed arti,
così deve accadere all’uomo moderno, che si fa preparare di continuo dai suoi
artisti della storia la festa di un’esposizione universale; è diventato uno
spettatore gaudente e peregrinante , ed è caduto in una situazione dove perfino
grandi guerre e grandi rivoluzioni possono cambiare a malapena qualcosa per un
momento”[1].
Noi italiani
odierni stiamo perdendo la nostra cultura e la nostra identità attraverso le
tre “i” decantate nel primo lustro degli anni 2000: inglese, internet,
impresa.
L’inglese e
internet li ho usati anche io, ma sempre mirando al fine della cultura,
dell’educazione, del mevgiston mavqhma platonico, il massimo oggetto di scienza che è
l’Idea del Bene.
cfr.Platone, Repubblica, 505a: "hJ tou'
ajgaqou' ijdeva mevgiston mavqhma".
Ivano Dionigi dedica a “Le tre “i” la riflessione 66 del
suo Parole che allungano la vita: “Alla scuola, il luogo dove si
formano “cittadini” e non “utili impiegati” (Friedrich Nietzsche), spetta
indirizzare i ragazzi secondo un’altra triplice i “ intelligere,
cogliere i problemi nella loro profondità e interezza; interrogare,
educare alle domande e ai dubbi; invenire , “scoprire”
conoscere la storia dei giorni passati e immaginare nuovi stili di vita per i
giorni a venire. La scuola si deve muovere nell’orizzonte dei fini, del tempo,
del futuro” (p. 90)
Pubblicato
fin qui 27 luglio 2020
giovanni
ghiselli, Pesaro 27 luglio 2020, ore 10, 15
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