Nadia Urbinati |
Leggo
un articolo pregevole di Nadia Urbinati sul quotidiano “la
Repubblica” di oggi, 7 luglio 2020 (pagina 27). E’ intitolato
“Socialismo liberale e democrazia”.
Non
è banale né generico, bensì ricco di riferimenti precisi ad autori
e a testi. Fatto che secondo me attesta la serietà di chi scrive.
Non mi addentro tra questi autori, principalmente Carlo Rosselli e
Michael Walzer che colpevolmente non conosco, ma espongo una mia idea
basata su “ una lunga esperienza delle cose moderne”.
Concluderò questo pezzo riferendo anche un particolare di quanto ho
imparato da “ una continua lezione delle antique"[1].
Uguaglianza e libertà costituiscono di nome un ossimoro, di fatto
un’utopia. Il Presidente cileno Allende cercò di realizzarla, ma
la parte liberale, cioè quella della borghesia benestante ricorse
alla violenza interna ed esterna, Allende venne ammazzato dai
generali felloni con molti altri suoi seguaci e l’utopia è rimasta
tale.
Il
comunismo sovietico e quello dei paesi suoi satelliti - ho una certa
esperienza relativa all’Ungheria dove frequentai per diversi anni
Sessanta e Settanta un’Università estiva - aveva imposto una certa
uguaglianza, ma per farlo aveva tolto diverse libertà.
Veniamo
all’Italia.
Cito
alcune parole dell’articolo di Nadia Urbinati: “Trattarsi come
eguali non significa essere ciechi alle differenze, come dice
l’articolo 3 della nostra Costituzione”.
Commento
queste parole citandone alcune del logos epitafios
attribuito da Tucidide a Pericle.
“In
effetti ci avvaliamo di una costituzione che non cerca di emulare le
leggi dei vicini, ma siamo noi di esempio (paravdeigma) a
qualcuno piuttosto che imitare gli altri. Di nome, per il fatto di
essere amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è
chiamata democrazia; e di fatto secondo le leggi, riguardo alle
controversie private, c’è una condizione di
uguaglianza (to; i[son) per
tutti, però secondo la reputazione, per come ciascuno viene
stimato in qualche campo, non per il partito di
provenienza (oujk
ajpo; mevrouς) più
che per il suo valore, viene preferito alle cariche pubbliche, e
d’altra parte secondo il criterio della povertà (oujd
j au\ kata; penivan),
se uno può fare qualche cosa di buono per la città, non ne è mai
stato impedito per l’oscurità della sua posizione
sociale (ajxiwvmatoς ajfaneiva/
kekwvlutai II,
37, 1). Parole di cui risente l’articolo 3 della
Repubblica italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di religione, di condizioni personali e sociali.
Comma
B. E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
alla organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
In
conclusione non esito ad affermare che questo articolo basilare, di
principio, non è stato
ancora attuato nei fatti.
Pesaro,
7 luglio 2020, ore 17, 40. giovanni ghiselli
p.
s
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