Argomenti:
Prostituzione
stradale e prostituzione matrimoniale.
I
segni
Sonja
porta soldi ma deve spenderne molti per le sue pomate, l’igiene
intima, poi “anche lei potrebbe trovarsi all’asciutto perché è
sempre una cosa aleatoria la caccia ai merli!” dice il padre (30).
Battuta
comica, aristofanesca
Anche
R gode del proprio abbrutimento. “si era completamente appartato da
tutti, rinchiudendosi come una testuggine nel suo guscio.
Torna
nella stanza armadio dove trova una lettera della madre
Pulcheria che come la sorella Dunja lo adora: “tu sei il
nostro tutto, la nostra unica speranza (p. 34)”.
Dunja
è bella e ha un pretendente benestante Petr Petrovic
Lùžin consigliere di corte, un uomo di aspetto
abbastanza gradevole di 45 anni. Durante una visita, L aveva detto
che era deciso a sposare una ragazza onesta ma senza dote in quanto è
bene che la moglie consideri il marito quale suo benefattore (41). La
sorella sposa L per aiutare il fratello.
R
legge la lettera della madre e si sente più che mai avvilito. Non
vuole che quel matrimonio si faccia con il sacrificio della sorella
per lui. Se avesse incontrato L lo avrebbe ucciso
Pensa
che la sorte di Dunja non sarebbe migliore di quella di Sonja.
Cfr.
il matrimonio come prostituzione legalizzata
Ricordo
C. Pavese il quale nega ogni possibilità di benessere
nello stare con la donna: "E' carino e consolante il pensiero che
neanche l'ammogliato ha risolto la sua vita sessuale. Lui credeva di
godersela ormai virtuoso e in pace, e succede che dopo un po' viene
il disgusto della donna, viene un sòffoco come di prostituzione
soltanto a vederla. Ci si accorge allora che con la donna si sta male
in ogni modo"[1].
E ancora: "Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate
le compagnie - torna la feroce gioia, il refrigerio di esser solo. E'
l'unico vero bene quotidiano"[2].
La
prostituzione con L. sarebbe come quella di di Sonja e forse ancora
più sordida e abietta.
R.
incontra un’adolescente ubriaca con il vestito strappato
Era
una ragazzina estremamente giovane sui sedici, forse solo 15 anni con
un visino minuto, grazioso ma infiammato e gonfio, i capelli
biondicci
E
‘seguita da un bellimbusto e R. lo attacca. I due stanno per
scontrarsi ma arriva una guardia che dice di occuparsene lui. Chiama
il molestatore Svidrigajlov, un signore che sembra sulla trentina
robusto, grasso, bianco e rosso come una mela (53)
Rimasto
solo l’ex studente va a trovare Razumichin un vecchio compagno di
università, un giovane allegro, esuberante, buono sino al candore.
Nessun insuccesso lo turbava mai (58)
In
piazza Sennàja vede Lizaveta Ivanovna la sorella minore
dell’usuraia Alëna dalla quale il giorno prima era andato a
impegnare l’orologio e a fare la sua prova. Lizaveta era una
zitella alta e goffa, timida e buona, quasi un’idiota, sui 35 anni.
Viveva in casa della sorellastra in condizione di schiavitù. Erano
figlie di madri diverse.
Sentì
che un bottegaio e la moglie invitavano Lizaveta da loro per la sera
dopo, verso le sette. Dunque Alëna sarebbe stata sola in casa a
quell’ora.
A
R il caso di aver avuto questa notizia sembrò un segno del destino.
Un
segno vocale e casuale tipo Cauneas per Crasso in
Plutarco.
Excursus
sui segni
Gli
autori e i personaggi religiosi riconoscono validità ai
segni degli uccelli: Plutarco nella Vita
di Tiberio Gracco racconta
che poco prima della morte del tribuno si videro dei corvi che si
azzuffavano sulla sinistra del tetto di casa ("w[fqhsan
uJpe;r keravmon macovmenoi kovrake" ejn ajristera'/"
, 17, 4) e uno di loro fece cadere una pietra ai piedi del tribuno.
Ennio
negli Annales racconta che Romolo e Remo
scrutavano il cielo e attendevano segni dagli uccelli per sapere
"uter esset induperator " (v. 78 Skutsch), chi
dei due sarebbe stato il capo. Romolo, come si sa, ebbe l'auspicio
favorevole:"et simul ex alto longe pulcerruma praepes/laeva
volavit avis: simul aureus exoritur sol./Cedunt de caelo ter quattuor
corpora sancta/avium, praepetibus sese pulcrisque locis dant./
Conspicit inde sibi data Romulus esse priora, auspicio regni
stabilita scamna solumque ", vv. 86 - 91, e subito
dall'alto un uccello, di gran lunga il più bello, di buon augurio,
si mostrò in volo da sinistra: subito sorge il sole d'oro. Scendono
dal cielo tre volte quattro corpi santi di uccelli, e si dirigono a
luoghi fausti e belli. Quindi Romolo vede che l'auspicio ha dato a
lui la supremazia, il trono e il dominio del regno.
Tacito
nota che pure tra i Germani è noto il famoso uso di interrogare le
voci e i voli degli uccelli ("Et illud quidem etiam hic
notum, avium voces volatusque interrogare", 10, 2).
Un
uccello di cattivo augurio è la civetta in Nietzsche: "Un tempo
agognavo auspici di felicità: e voi mi faceste attraversare la
strada da una civetta mostruosa e ributtante"[3].
L’imperatore
Giuliano era un attento osservatore dei segni. Ammiano Marcellino
commenta questa attenzione di Giuliamo scrivendo che gli auspici si
traggono dagli uccelli non perché loro conoscano il futuro sed
volatus avium dirigit deus (21,
1, 9).
I
segni possono venire anche da voci umane. “Soprattutto, si sa in
quale conto i Romani tenessero i loro omina vocali,
ugualmente presagi di voci còlte al volo, frasi ingenue,
involontarie, che pure contenevano un messaggio profondo e spesso
fondamentale per la persona a cui erano dirette”.
Per
l’etimologia di omen Bettini
rimanda a E. Benveniste, il quale scrive: “La formazione
di ōmen presenta
una difficoltà: il tema si trova ridotto alla vocale ō
- . Questo lascia alla restituzione parecchie possibilità, che sono
state di fatto proposte dagli etimologisti senza che nessuna sia
parsa dimostrabile. Ma abbiamo ora un accostamento che permette di
spiegare senza sforzo il senso e la formazione di ō
- men.
Il radicale lat. ō
- può
paragonarsi direttamente al tema verbale itt. hā
- ‘credere, considerare vero’; di
conseguenza ōmen s’interpreterà
come ‘dichiarazione di verità’. Una parola fortuita, pronunciata
in una circostanza decisiva, potrà essere accettata come ōmen,
come presagio vero, come segno del destino. Sarà una parola di buon
‘augurio’, annunciatrice della sorte. Parecchi esempi sono
riportati da Cicerone (De
divinatione I
46)”[4].
Torniamo
a Bettini: “Anche in questo caso bisognava però saper riconoscere
il valore soprannaturale della “voce”, quando si manifestava.
Crasso, per esempio, non riuscì a comprendere che il venditore di
fichi Cari - il quale gridava Cauneas! Sulla
banchina del porto di Brindisi - non stava semplicemente facendo
pubblicità alla sua merce, gridando “vendo fichi di Cauno!”,
come si poteva pensare. Niente di tutto questo. Il venditore lo
diffidava nientemeno dal prendere il mare verso la sua propria
morte: cau’
n(e) eas! “non
andare”, stava infatti gridando - ovviamente secondo la pronunzia
apocopata dell’imperativo cave che
si usava nel latino parlato[5].
Ma Crasso non se ne accorse. Il problema era che, per sua disgrazia,
non se l’aspettava”[6].
Il
giovane fin dal primo incontro con l’usuraia aveva provato una
ripugnanza invincibile. Gli era venuta subito una strana idea che
accarezzava con curiosità. Uscito da quella casa era entrato in una
trattoriuccia di infimo ordine e aveva sentito due uomini: uno
studente e un ufficiale parlare della strozzina come di una strega,
una che, pur piccola e magra picchiava la sorella che era
alta un metro e ottanta a dir poco.
Dicevano
che Lizaveta era una zitella terribilmente malfatta, altissima, con
certi piedacci lunghi e un po’ rivolti in fuori . Tuttavia curava
la pulizia personale e restava continuamente incinta. E’scura di
pelle tanto che sembra un soldato diceva lo studente, ma
non è un mostro. Ha gli occhi e il viso molto dolci, e ha un bel
sorriso. Piace a tanti per la sua stranezza. Io quella maledetta
vecchia la ucciderei e la deruberei senza il minimo rimorso aveva
aggiunto lo studente. Poi: “pensa un po’, da un lato una
vecchietta assurda, miserabile, cattiva, malata, inutile anzi
dannosa, che non sa perché vive, e comunque presto morirà.
Ucciderla per aiutare decine di famiglie dalla miseria, dalla
corruzione, dalle malattie veneree. Una sola morte e cento vite in
cambio: ma questa è matematica! La vita di quella vecchia tisica,
stupida e malvagia non conta più di quella di un pidocchio e di uno
scarafaggio, anzi meno perché la vecchia è dannosa, rovina la vita
agli altri. Giorni fa, per la rabbia, ha morsicato un dito alla
sorella al punto che dovettero quasi amputarglielo.
R.
notò che gli stessi pensieri stavano germogliando nella sua mente.
Questa coincidenza gli sembrò una indicazione (74). Il segno
ricevuto è completato dall’attenzione e dall’accettazione di chi
lo ha visto o udito.
giovanni
ghiselli
[2]C.
Pavese, Il
mestiere di vivere,
25 aprile, 1946. La gioia feroce della solitudine è anche quella
del Misantropo di
Menandro: Cnemone, come vede Sostrato davanti alla porta di casa
sua invoca il suo bene supremo:" ejrhmiva"
oujk e[stin oujdamou' tucei'n "
(v.169) non è possibile ottenere la solitudine da nessuna
parte!
[6] M.
Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 7.
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