Mutatus
ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta (
Seneca, Oedipus,
vv. 366-367) , è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo
posto; ma tutto è invertito.
Un
esempio dei nostri tempi
La
società che ha avuto in appalto le autostrade italiane ha lasciato
nell’incuria un ponte il cui crollo ha causato la morte di 43
persone e ingenti danni anche all’economia di Genova, della Liguria
e non solo.
I
gestori, colpevoli quanto meno di questa gravissima omissione, ora
dovrebbero essere risarciti con diversi miliardi perché
possano venire sostituiti dopo il lavoro fatto male e anche questo
non certo senza enorme lucro.
”Qualche
“loico” potrebbe chiedersi: “allora può essere che siano stati
pure pagati quanti avrebbero dovuto impedire altre
stragi che hanno insanguinato l’Italia e hanno omesso di farlo”.
Insomma
va quasi tutto a rovescio e possiamo capire perché donne e uomini
mettono al mondo sempre meno figli.
Alcuni pareri
di autori su certa borghesia
Sentiamo
un anatema di P. P: Pasolini contro la cultura pragmatica, priva di
carità: “io per borghesia non intendo tanto una classe sociale
quanto una vera e propria malattia. Una malattia molto contagiosa:
tanto è vero che essa ha contagiato quasi tutti coloro che la
combattono: dagli operai settentrionali, agli operai immigrati dal
Sud, ai borghesi all’opposizione, ai “soli” (come son io). Il
borghese - diciamolo spiritosamente – è un vampiro,
che non sta in pace finché non morde sul collo la sua vittima
per il puro, semplice e naturale gusto di vederla diventar pallida,
triste, brutta, devitalizzata, contorta, corrotta, inquieta, piena di
senso di colpa, calcolatrice, aggressiva, terroristica, come
lui.[1]”
La
borghesia non lascia tra uomo e uomo "altro vincolo che il nudo
interesse, lo spietato pagamento in contanti. Essa ha affogato
nell'acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti
dell'esaltazione religiosa, dell'entusiasmo cavalleresco"[2].
“E
che cosa d’altronde poteva esserci di comune tra lui e quella
borghesia che s’era fatta a poco a poco, profittando per
arricchirsi di tutti i disastri, suscitando catastrofi pur d’imporre
il rispetto dei suoi misfatti e delle sue ruberie (…) Autoritaria e
sorniona, bassa e vigliacca, essa infieriva senza pietà contro
l’eterna necessaria sua vittima, il popolino, cui pure aveva di sua
mano tolta la museruola e che aveva appostato perché saltasse alla
gola delle vecchie caste…Conseguenza della sua salita al potere,
era stata la mortificazione di ogni intelligenza, la fine di ogni
probità, la morte di ogni arte. Gli artisti umiliati, s’eran
buttati ginocchioni a divorar di baci i fetidi piedi dei grandi
sensali e dei vili satrapi, delle cui elemosine campavano (….) Era
insomma la galera in grande dell’America trapiantata nel nostro
continente; era l’inguaribile incommensurabile pacchianeria del
finanziere e del nuovo arrivato che splendeva, abbietto sole, sulla
città idolatra che vomitava, ventre a terra, laidi cantici davanti
all’empio tabernacolo delle Banche”[3].
“Una
classe che non ha esitato a scatenare il fascismo, il
razzismo, la guerra, la disoccupazione. Se occorresse “cambiare
tutto perché non cambi nulla” non esiterà a abbracciare il
comunismo”[4].
“La
vita borghese è micrologia, visione analitica e riduttiva nella
quale l'esistenza non fa più balenare un senso globale che la
illumini e le dia valore”[5].
Il
fatto è che il borghese deve continuamente riaffermare e rafforzare
la propria identità attraverso la roba: “Il borghese deve
affermare quella che sarà la sua identità per tutta la vita.
L’aristocratico si manifesta per quello che è già al momento
della nascita. Il borghese si sente costretto ad accumulare, o quanto
meno a salvaguardare”[6].
Non
tutti i borghesi sono tali. Gli studiosi, pure se di estrazione
borghese, in genere sono persone alquanto diverse. Gli studiosi
intelligenti e buoni di ogni classe sociale sono belle persone
Saluto
e rispetto anche chi non la pensa come me.
giovanni
ghiselli
[4] La
frase fra virgolette è nel romanzo “Il Gattopardo”. La dice un
principe siciliano all’arrivo dei garibaldini (1860). Poi fa il
garibaldino anche lui e così non perde né i soldi né il
potere. Scuola di Barbiana. Lettera
a una professoressa,
p. 74.
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