Delitto e castigo. La morte di
Marmeladov
L’assassino
salì nella casa del suo omicidio. C’erano due operai cui R non risponde,
rabbrividiva invece e provava un piacere sempre più intenso ricordando.
Provoca
gli operai e il portinaio, li sfida a recarsi al commissariato con lui, poi si
allontana cercando dei segni.
Ma
tutto gli pareva inanimato, senza vita.
Poi
un segno: c’è un uomo schiacciato dai cavalli di una carrozza.
La
carrozza apparteneva a un personaggio ricco e ragguardevole e questo influiva
molto sull’atteggiamento della polizia
R
riconosce Marmeladov e tira fuori i soldi per un dottore
Si
adopera anche per trasportare a casa il ferito.
Katerina
Ivànovna stava occupandosi di due bambini piccoli aiutata dalla figlia decenne
Pòlenka (Pòlja). Raccontava alla bambina di essere stata una giovane di belle
speranze, di avere fatto una buona vita con il primo marito, il padre di Pòlja,
Polina.
“Ma
dov’è quel pezzente ubriacone?” Chiedeva e intanto tossiva convulsamente.
Poi
entra il poliziotto con il suo fardello: Marmeladov insanguinato ed esanime. La
piccola Lìdočka abbracciò Polja e si mise a tremare
La
madre manda Polja a chiamare Sonja, e R, l’assassino si dà da fare in tutti i
modi per aiutare questi disgraziati. Assassino e benefattore.
Ulrich pensa alle contraddizioni
dell’umanità che produce Bibbie e cannoni (Musil, L’uomo senza qualità,
p. 22).
I vicini si accalcano, ma Katerina
riesce a cacciarli. Quelli ripiegarono non senza dare quella strana impressione
di soddisfazione che notiamo nelle persone anche a noi più vicine quando una
disgrazia improvvisa colpisce i nostri cari (202).
Il fatto è che siamo contenti che
la sorte abbia preso la mira e non abbia colpito noi.
Magari perché la tuvch ha sbagliato mira: ogni
volta che qualcuno cadrà al tuo fianco o dietro le spalle dovrai esclamare: quotiens aliquis ad
latus aut pone tergum ceciderit, exclāma: alium quidem percussisti,
sed me petisti” (Ad Marciam, 9, 3), ora hai colpito un altro ma hai
mirato a me!
Si intromette la padrona di casa,
una tedesca litigiosa e confusionaria.
Katerina le chiede di lasciar
morire in pace Semën Zachàrovič. Il morente chiese un prete. Si preoccupava
perché la piccola Lìdočka, la sua preferita, era scalza. Ma K lo sgrida ancora:
stai zitto, lo sai benissimo perché è scalza! Arrivò il dottore che diede a
Marmeladov 10 minuti di vita
Entra Sonja. Aveva un abitino da
pochi soldi ma sgargiante, vistosamente colorato, com’è uso delle donne di
strada. Quel vestito era sconveniente nella circostanza con il suo lungo e
ridicolo strascico e l’immensa crinolina, una sottana con cerchi rigidi, che
ostruiva la porta, gli stivaletti chiari e l’ombrellino, inutile di sera e l’assurdo
cappellino tondo di paglia con una chiassosa penna color fuoco. Sotto il
cappellino messo di sbieco, alla monella, si vedeva un visino smunto, pallido e
sbigottito, con la bocca spalancata e gli occhi immobilizzati dal terrore.
Sonja era bionda, piccola, sui 18 anni, magra ma abbastanza carina, con due
splendidi occhi celesti
Katerina dice “sia lodato il
signore che l’ha fatto morire! Ci saranno meno spese!” (207)
Il prete le dice che fa peccato:
nell’ora della morte bisognerebbe perdonare
Il perdono, dice Katerina, gliel’ho
sempre offerto lavorando tutte le notti e tutti i giorni. Poi tossì nel
fazzoletto e lo sciorinò insanguinato sotto gli occhi del prete il quale chinò
il capo e non disse nulla.
Poi M si accorse della figliola:
avvilita, tutta in ghingheri e vergognosa. Aspettava il suo turno con una
sofferenza sconfinata dipinta in volto.
M gridò: figlia mia perdonami! Tendendole la
mano gli mancò l’appoggio, cadde e morì tra le braccia della ragazza.
Katerina grida che non ha i soldi
nemmeno per la sepoltura. R le offre 20 rubli dicendo di essere amico di M. Poi
uscì di corsa imbattendosi in Nikodìm Fòmič, il commissario.
R aveva la nuova sensazione
di una vita generosa e possente affluita di colpo in lui. (209) Una sensazione
simile a quella di un condannato a morte cui si annuncia la grazia.
Pòlenka lo rincorre e lo chiama. R
si ferma e i due si guardano con un senso di gioia. La bambina lo bacia e lo
abbraccia
Polënka disse: una disgrazia dopo
l’altra, con quell’aria di speciale gravità che si sforzano di assumere i
bambini quando vogliono parlare con i grandi.
Dice che il babbo le insegnava la
grammatica e il catechismo, la mamma voleva insegnarle il francese, perché
ormai è tempo che io riceva un’istruzione. I tre bambini pregano, racconta, lei
per conto suo, i più piccoli Kòlja e Lìdočka con la mamma Pregano per la
sorellina Sonja e per i due babbi -
“Pòlenka, io mi chiamo Rodiòn;
pregate qualche volta per me: per il servo Rodiòn, e nient’altro”.
R torna sul ponte e dice a se
stesso: c’è la vita, ancora non è morta la mia vita. Ora viene il regno della ragione e della luce
e della volontà e della forza, adesso vedremo chi è il più forte, disse come se
sfidasse una forza occulta. Forza, forza ci vuole, senza forza non otterrai
niente e la forza bisogna sapere conquistarla con la forza stessa”
(212). Si sentiva felice
Andò da Razumichin che lo
accompagna a casa dove lo aspettavano la madre Pulchèrija Aleksàndrovna
Raskòlnikova, e la sorella Dunja. Quando lo abbracciarono svenne.
A Razumichin aveva detto di essere
triste come una donna.
giovanni ghiselli
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