Santo Mazzarino |
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Il MITO
Quinta parte
Quinta parte
La
storia, la tragedia storica romana (praetexta) e il mito
Santo Mazzarino sul rapporto fra le Storie di Polibio e la
tragedia storica romana
L'autore de
Il Pensiero Storico Classico [1] esamina il rapporto tra l'opera di Polibio e la
tragedia storica romana: In Roma la tragedia era sorta con Nevio,
il poeta storico - epico del Bellum Poenicum.
In particolare, la tragedia storica, o "pretesta", dei Romani si
connetteva con la più tipica manifestazione del loro senso della storia e della
morte: "quando muore un uomo di famiglia insigne, portano al funerale
le imagines" (consistenti in maschere) "dei suoi
maggiori. Con tali maschere coprono il viso di uomini che presentano
particolari somiglianze, per l'altezza e per il resto, con quegli avi. I
mascherati indossano toghe preteste" (orlate di porpora) "se il morto
che rappresentano fu console o pretore; abiti di porpora, se fu censore;
inaurati, se ebbe il trionfo, o simili. Vanno innanzi su carri, preceduti da
fasci, scuri ed altre insegne delle magistrature che quei nobili morti avevano
ricoperto. Infine, arrivati ai rostri, seggono su selle d'avorio. - E chi non
potrebbe essere colpito alla vista di queste immagini di uomini illustri e
palpitanti?". Sono parole di Polibio[2]stesso: rendono l'impressione che lo
storico straniero riceveva a quello spettacolo abbastanza frequente, in cui la
storia delle virtù gentilizie veniva rappresentata, come per generazioni
disposte in fila, nella sua attualità continua. La storia diventava processione
di venerate maschere...Se confrontiamo l'opera di Polibio con i frustoli di
preteste che pervennero sino a noi, il carattere delle sue Storie si
potrà illuminare anche meglio. Delle lotte fra Romani e Galli, due vittorie furono celebrate con preteste:
quella di Clastidium, riportata da Marcello nel 222 a. C.; e quella di
Sentinum, del 295 a. C., in cui il console Decio Mus, che comandava l'ala
sinistra contro i Galli (alleati dei Sanniti), s'era consacrato, col rito
della devotio , agli dèi della terra e, gettandosi
contro i nemici, aveva asicurato la sua morte e la vittoria. La battaglia di Clastidium era stata portata
sulle scene da Nevio stesso, che certo poté seguire con ansia, come
contemporaneo, quella vicenda in cui Claudio Marcello, allora il più insigne esponente del ramo plebeio dei
Claudii, aveva vinto in duello il celtico Virdumaro, e riportato il trionfo.
La battaglia di Sentinum fu celebrata in una
pretesta di Accio, Aeneadae o Decius ; a differenza del Clastidium di
Nevio ( in cui si doveva sentire la passione del contemporaneo), qui c'era il
ricordo di una vittoria riportata quasi due secoli prima...Polibio tratta (II 18 - 35) le
guerre romane contro i Galli; perciò anche (II 19, 6) le vicende del 295 e più
tritamente (II 34) quelle del 222. Ma non accenna alla devotio di Decio nel 295; e non tocca il
duello di Claudio Marcello con Virdumaro. Quei due consoli plebei non commuovono particolarmente la sua fantasia
storica, la quale si limita a ricordare la distruzione e la fuga delle
truppe galliche a Sentino, il successo strategico di Marcello a
Clastidium. Si direbbe che, in
entrambi questi casi, Polibio abbia voluto evitare la memoria di una devotio
e di un duello, argomenti cari ai poeti tragici - tanto più che si trattava della devotio di
un plebeo, Decio Mus, il
cui nome gentilizio era portato, al tempo di Polibio, da uno dei più accaniti
sostenitori della tendenza graccana (il tribuno P. Decio); e del duello affrontato da un altro
plebeo, Marcello, che non fu mai caro alla tradizione degli Scipioni.
Tuttavia sarebbe errato pensare che Polibio non apprezzasse la virtù romana
che si esaltava in quei racconti sui plebei Decio Mus e Marcello. La battaglia
di Sentino, con la devotio di Decio Mus, aveva già avuto una larga eco nel
mondo ellenico: Duride, tiranno
di Samo, storico di tendenza aristotelica, aveva ricordato la devotio
di quel grande console, suo contemporaneo. Era impossibile che Polibio, uomo
d'arme, ignorasse quella storia di religione e di morte; o che non ne
intendesse - nei limiti definiti dal suo razionalismo - il misterioso fascino.
La sua differenza da Duris è, piuttosto, in ciò: egli non riteneva opportuno
dedicare a Decio Mus una digressione, od anche un cenno, particolare; per
lui, simili imprese individuali,
affascinanti per se stesse, possono essere oggetto di rievocazione tragica, non
di storia pragmatica. Perciò la devotio di Decio a
Sentinum, già ricordata dallo storico 'tragico' Duris, fu celebrata poi dalla
tragedia storica di Accio; secondo
la forma mentis di Polibio potrebbe rientrare nell'anonima
descrizione delle virtù romane. "Ci furono molti romani i
quali volontariamente si batterono in duello per la decisione delle battaglie;
e non pochi scelsero morte sicura, alcuni in guerra per la salvezza degli
altri, e taluni in pace per la sicurezza pubblica"(VI 54). Polibio scrive
queste parole non in particolare, a proposito di questa o quella vicenda della
storia romana; ma in genere, nella sua sintesi sui caratteri dello stato
romano, nel VI libro"[3].
Concludiamo il discorso sul mito con Italo Calvino che suggerisce di
prenderlo alla lettera “Ma so che ogni interpretazione impoverisce il mito e lo
soffoca: coi miti non bisogna aver fretta; è meglio lasciarli depositare nella
memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire
dal loro linguaggio di immagini. La lezione che possiamo trarre da un mito sta
nella letteralità del racconto, non in ciò che vi aggiungiamo noi dal di fuori“[4].
giovanni
ghselli
[2]Tratte da VI 53 e tradotte liberamente. E' la maggior trattazione che
possediamo sui funerali degli uomini illustri con le laudationes
funebres che falsificavano la storia.
[4] I.
CALVINO, Leggerezza, in Lezioni, americane. Sei proposte
per il prossimo millennio, p. 8 - 9.
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