Milan Kundera |
Il MITO 3
Terza parte
Il mito. Er. La compassione in Erodoto, Sofocle, Kundera
Torniamo al mito e ai suoi significati.
Sentiamo alcune parole del testo inglese di Conte: "For poets, myth is like a word contained in a dictionary: when it leaves the dictionary and enters their texts, it retains only one of its possible meanings "[1], per i poeti il mito è come una parola contenuta in un dizionario: quando essa lascia il dizionario ed entra nel suo testo, mantiene soltanto uno dei suoi possibili significati.
Il Mito allora può essere modificato per conformarsi al significato globale del discorso: la sua funzione è determinata dal contesto.
Il mito è interpretabile come una "immagine concentrata del mondo"[2] che cerca le origini, e chi non le conosce non è cosciente della realtà.
Inoltre: "La nostra origine è nei miti: tutti i miti sono di origine"[3].
Può trattarsi dell’origine di un’usanza, di un nome, di un culto, di una città, come spesso nella poesia ellenistica, ma può riguardare anche la nostra genesi di persone.
Il mito di Er dell’ultimo libro della Repubblica di Platone ci ricorda che prima di venire sulla terra ci siamo scelti un daivmwn, che è carattere e destino. Eujdaimoniva, felicità è, etimologicamente, l’accordo con il proprio daivmwn, un buon rapporto con lui, ossia con se stesso. Se non ricordiamo, non riconosciamo e non assecondiamo quel daivmwn liberamente scelto, saremo infelici e saremo colpevoli della nostra infelicità: “aijtiva eJlomevnou: qeo;~ ajnaivtio~” (Repubblica, 617e), responsabile è chi ha fatto la scelta, il dio non lo è. E’ quello del resto che afferma già Omero, attraverso Zeus nel primo canto dell’Odissea: “ Ahimé, come ora davvero i mortali incolpano gli dèi!/ da noi infatti dicono che derivano i mali, ma anzi essi stessi/per la loro stupida scelleratezza hanno dolori oltre il destino" (vv. 32-34).
Durante la vita terrena "ci resta accanto un compagno, una specie di angelo custode o spirito guida: il Daimon, il modello del nostro destino, che in qualche modo ci aiuta e indirizza al compimento di quella scelta che inizialmente proprio noi avevamo fatto, ma che abbiamo dimenticato. Poiché il mito di Er, come lei accennava prima, è alla base del suo Codice dell'anima (…) Lei ha citato uno dei miti sul perché esiste il dolore: il Daimon ci mette di fronte le richieste del destino e noi recalcitriamo"[4].
"Poiché la felicità alla sua antica fonte era eudaimonia, cioè un daimon contento, soltanto un daimon che riceve ciò che gli spetta può trasmettere un effetto di felicità all'anima"[5].
Quindi il mito ci dà indicazioni sulla nostra vita psichica: "la psicologia mostra i miti in vesti moderne, mentre i miti mostrano la nostra psicologia del profondo in vesti antiche"[6].
Altra considerazione sui grandi significati del mito si trova nel libro di Morin già citato:"Il mito non è la sovrastruttura della nazione: è ciò che genera la solidarietà e la comunità; è il cemento necessario a ogni società e, nella società complessa, è il solo antidoto all'atomizzazione individuale e all'irruzione distruttrice dei conflitti (…) L'antico internazionalismo aveva sottostimato la formidabile realtà mitica"[7].
Il mito fa parte della nostra vita, realmente: Pasolini nel film Medea fa dire al Centauro il quale istruisce il piccolo Giasone che dovrà andare in cerca del vello d’oro “in un paese lontano al di là del mare. Qui farai esperienze di un mondo che è ben lontano dall’uso della nostra ragione, la sua vita è molto realistica come vedrai perché solo chi è mitico è realistico e solo chi è realistico è mitico”[8].
Sentiamo anche C. Pavese: "Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella che si è superata, Zeus contro Tifone, Apollo contro il Pitone. Inversamente, ciò contro cui si combatte è sempre una parte di sé, un antico se stesso. Si combatte soprattutto per non essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non combatte"[9].
La compassione
Secondo Milan Kundera, la compassione è il motivo principale, o il motore di tanti miti, come di certi amori:" Egli provò allora un inspiegabile amore per quella ragazza sconosciuta; gli sembrava che fosse un bambino che qualcuno avesse messo in una cesta spalmata di pece e affidato alla corrente di un fiume perché Tomáš lo tirasse sulla riva del suo letto (…) Di nuovo gli venne fatto di pensare che Tereza era un bambino messo da qualcuno in una cesta spalmata di pece e affidato alla corrente. Non si può certo lasciare che una cesta con dentro un bambino vada alla deriva sulle acque agitate di un fiume! Se la figlia del Faraone non avesse tratto dalle acque la cesta con il piccolo Mosè, non ci sarebbero stati l’Antico Testamento e tutta la nostra civiltà. Quanti miti antichi hanno inizio con qualcuno che salva un bambino abbandonato! Se Polibo non avesse accolto presso di sé il giovane Edipo, Sofocle non avrebbe scritto la sua tragedia più bella!"[10].
Nel quarto episodio dell’Edipo re, Sofocle contrappone la crudeltà dei genitori alla compassione del servo tebano che non ha eseguito il loro ordine di uccidere il bambino katoiktivsa" (v. 1178), in quanto ne ho avuto compassione, spiega.
P.P. Pasolini nel suo film Edipo re sottolinea questa risposta con un primo piano del vecchio pastore tebano che dice di non avere fatto morire la creatura: "per pietà".
Per lo stesso motivo, e anche lui per grandi mali, si salvò Cipselo, il bambino che sarebbe diventato tiranno di Corinto, e padre di Periandro.
Erodoto racconta che per sorte divina il piccolo sorrise all'uomo dei Bacchiadi che lo aveva afferrato con l'intenzione di ammazzarlo. Questo se ne accorse, e un qualche sentimento di compassione lo trattenne dall'ucciderlo (oi\kto~ ti" i[scei ajpoktei'nai,V,92).
Del resto anche Enea viene salvato dalla compassione, quella di Didone che pure non viene in alcun modo ricompensata dall’esule troiano.
La misericordia non è virtù ignorata né trascurata dai classici e lo sviluppatissimo senso estetico dei Greci non aveva atrofizzato quello etico: è falso dunque che la morale cattolica sia l'unica vera e buona come afferma Manzoni, per esempio, quando sostiene che " essa è la sola santa e ragionata in ogni sua parte"[11].
Già Omero nel XIV dell'Odissea rappresenta Eumeo che, per compassione, aiuta e onora Ulisse presentatosi come un pezzente: "aujtovn t j ejleaivrwn"(v.389), perché ho compassione di te, gli dice.
Nelle Trachinie Deianira prova una compassione piena di spavento (oi\kto~ deinov" , v. 298), anche per se stessa, vedendo le ragazze di Ecalia portate schiave da Eracle, e pensando ai mutamenti della sorte. Quella che suscita in lei la pietà più grande però è la splendidissima Iole poiché le sembra l'unica che abbia coscienza del suo stato (vv. 311-312).
"Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti" sono le prime parole del Decameron.
Infatti Cleopatra prima di morire dice al suo tesoriere Seleuco che l'ha denunciata a Ottaviano: "wert thou a man, thou wouldst have mercy on me" [12], se tu fossi un uomo, avresti pietà di me.
Nello splendido film di Stanley Kubrick, Paths of glory, Orizzonti di gloria (1957), l’avvocato difensore e comandante dei soldati accusati ingiustamente di codardia, poi fucilati, conclude la sua arringa indirizzando, invano, alla corte marziale questo appello: “I can’t believe that the noblest impulse of man, his compassion for another, can be completely dead here. Therefore, I humbley beg you, show mercy to these men”, io non posso credere che il più nobile impulso dell’uomo, la compassione per il prossimo, sia completamente morta qui. Perciò, vi prego umilmente, mostrate pietà verso questi uomini.
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[1] Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, , p. 52.
[2] Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 151.
[3] J. Hillman, Il piacere di pensare, p. 52.
[4] James Hillman, Il piacere di pensare. conversazione con Silvia Ronchey, pp. 53-54.
[5] J. Hillman, Il codice dell'anima , p. 112.
[6] J. Hillman, Variazioni su Edipo, p. 76.
[7] E. Morin, La testa ben fatta, p. 69.
[8] P. P. Pasolini, Medea in Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, p. 545-
[9]Il mestiere di vivere, 28 dicembre 1947.
[10] L'insostenibile leggerezza dell'essere (del 1984), p. 14 e p.19.
[11] Osservazioni sulla morale cattolica (del 1819), Prefazione
[12] Shakespeare, Antonio e Cleopatra, V, 2.
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