domenica 10 marzo 2024

Amore e disamore


 

L’amore viene spesso calunniato perfino dalla madre sua

Nel romanzo di Apuleio, Psiche è adorata più di Venere la quale si risente e convoca il figlio pinnatum et satis temerarium. Costui ferisce, corrompe et nihil prorsus boni facit (Metamorfosi, 4, 30).  

 

Ricordiamo altre calunnie.

Apollonio Rodio: daivmwn ajlginovei~ (IV, 64) il dio del dolore.

 La Luna vide Medea correre verso Giasone, gioì con malizia e disse tra sé: non solo io brucio per il bell’Endimione, io che ho dovuto obbedire ai tuoi riti: ora il daivmwn ajlginoveiς (64), il dio del dolore ti ha dato il penoso Giasone per la tua angoscia. Vai a sopportare dolori infiniti.

Esecrazione dell’amore come nel finale dell’Ippolito di Euripide dove Teseo maledice Afrodite dicendo: wJς polla;, Kuvpri, sw'n kakw'n memnhvsomai (1461), quante volte Cipride mi ricorderò dei tuoi delitti.

Cfr. anche “nequiquam quoniam medio de fonte leporum/ surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat (De rerum natura, IV, vv. 1131-1134).

Altra apostrofe contro Eros nelle Aronautiche: “ atroce amore-scevtlie  [ Erwς, grande sventura, mevga ph'ma, grande abominio per gli uomini, mevga stuvgoς ajnqrwvpoisin ( IV, 445), da te nascono travagli e dolori. Vieni armato sui figli dei miei nemici a gettare rovina come hai fatto con Medea.

Sono parole dell’autore narramte

 

Virgilio, Eneide IV 412: improbe amor, quid non mortalia pectora cogis!

 

Platone nella Repubblica fa dire a Sofocle che è contento della vecchiaia, w{sper luttw`nta tivna kai; a[grion despovthn ajpodrav~   come se fossi fuggito da un padrone furioso e e selvaggio. Ab domino agresti ac furioso profūgi  (Cicerone, De senectute, 14).

 

Venere vuole che Psiche si innamori di un homo extremus (4, 31

 

Vediamo una riabilitazione rispetto alle tante calunnie dei detrattori di Eros.

 il discorso di Agatone nel Simposio platonico (194e 4-197e 8).  dove c’è una rivalutazione del dio calunniato da molti poeti

 Agatone parla dopo Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane. Dopo di lui Socrate poi Alcibiade.

Amore come concordia, pace, delicatezza felicità, stenebramento, arte, virtù in tutte le sue forme (coraggio, temperanza, giustizia)

 Amore è il più bello e nobile tra gli dèi. E' anche il più giovane: infatti fugge di corsa la vecchiaia. Egli genera concordia: e se ci fosse stato lui nei tempi primordiali non ci sarebbero state amputazioni né incatenamenti :" ejktomai; oujde; desmoiv"(195c).

Amore è delicato (aJpalov"), ma gli manca un poeta come Omero che rappresenti la sua delicatezza. Egli si insedia nelle anime delicate, mentre si allontana dalle anime dure. Inoltre è bello e cerca bellezza: infatti tra amore e bruttezza c'è una guerra continua.  Passa la sua esistenza in mezzo ai fiori. La sua virtù sta nel fatto che il dio non fa e non riceve torti (ou[t j ajdikei' ou[t j ajdikei'tai). Oltre che di giustizia è dotato di somma temperanza (196c): infatti, essendo più  forte di tutti gli altri piaceri e istinti, li domina. Quanto a coraggio, neppure Ares resiste ad amore.

Inoltre Eros rende poeta chi lo prova. Amore insegna tutte le arti. Ciò che amore non tocca rimane nella tenebra (Simposio, skoteinov" 197a). Dall'amore della bellezza ha preso origine ogni cosa buona fra gli dèi e fra gli uomini. Egli ci vuota di ogni ostilità e ci riempie di ogni fratellanza e "prepara tali incontri tra noi per metterci insieme e diventa nostra guida nelle feste, nei cori, nei sacrifici" (197d), ispira mitezza, è timoniere, compagno e salvatore supremo nella fatica, nella paura, nel desiderio, nella parola (197e).

Sembra che Agatone sia in procinto di anticipare la canzone di Cherubino (Le nozze di Figaro, II, 3) “Voi che sapete/che cosa è amor/ donne, vedete/s’io l’ho nel cor”

 

 

 Altre riabilitazioni

Cfr. amor omnibus idem di Virgilio. Amore riguarda tutti i viventi.

"Omne adeo genus in terris hominumque ferarum-que/et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres/ in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem  "( Georgica III, vv. 243-244) così ogni specie sulle terre di uomini e di animali, e la razza marina, il bestiame e gli uccelli colorati si precipitano in ardori furiosi, amore è lo stesso per tutti.

 

 

Shakespeare in Pene d’amore perduto, dice che il sentimento d’amore è più lieve e sensibile delle tenere antenne di chiocciole increspate (IV, 3).

 

La spazzatura che si vede in giro è il correlativo oggettivo della mancanza di amore.

 

Il mondo senza Eros e Venere è una colossale immondizia enormis eluvies

Nell’Asino d’oro di Apuleio,  Psiche  punisce le sorelle attirandole in una trappola e facendole morire. Ha perso la sua santa semplicità. Poi va a cercare Amore e intanto avis peralba illa gavia, va a parlare a Venere.

Il gabbiano dice che nell’assenza delle due divinità dell’amore, il mondo sta precipitando nell’età del ferro: non voluptas, non gratia, non lepos, sed incompta et agrestia et horrida cuncta; non nuptiae coniugales, non amicitiae sociales, non liberum caritates, sed enormis eluvies, una colossale inondazione di immondizia et squalentium foederum insuāve fastidium (5, 28) e una sgradevole noia di rapporti squallidi.

La verbosa et satis curiosa avis borbottava queste parole .

Credo che l’immondizia che si accumula in alcune nostre città sia simbolica proprio della mancanza di concordia e simpatia tra gli esseri umani.

 

Senza l’amore non c’è bellezza, non c’è gioia né luce, nè vita

“ Io mi domando: “Che cos’è l’inferno?”  E rispondo: “La sofferenza di non poter più amare (…) Ci sono quelli che anche nell’inferno rimangono orgogliosi e feroci, ce ne sono di terribili, pienamente dediti a Satana e al suo spirito d’orgoglio. Costoro sono martiri volontari,che accettano l’inferno e non danno saziarsene, Avendo infatti maledetto Dio e la vita, essi hanno maledetto se stessi”. Sono paole di Zossima (Dostoevskij, I fratelli KaramazovVI, 3, p. 405, , trad it. Bietti, 1968). Come non riferirle oggi ai massacratori degli Ebrei e a quelli dei Palestinesi?

 

La Fedra di D’Annunzio dice: “ Mia madre/ nacque dal Sole e dall’Oceanina[1];/ e per ciò sono anch’io piena di raggi/ e di flutti, sono piena di chiarori e di gorghi” (Atto I).

 

A quanti vogliono andare sulla Luna e su Marte dobbiamo fare ponti d’oro noi amantissimi della vita con i suoi raggi, i suoi flutti, i suoi chiarori, i suoi gorghi, i suoi alberi con le foglie e i suoi prati con i  fiori variopinti

“Io non so come sia possibile passare accanto a un albero e non sentirsi felici di vededrlo. Parlare con una persona e non essere felice di volerle bene! (…) Guardate un bambino, guardate l’alba divina, guardate come cresce un fuscello, guardate gli occhi che vi guardano a loro volta e vi vogliono bene”. Dostoevskij, L’idiota (IV, 7, p. 700 trad. it. Garzanti, 1973)

“Signori!-esclamai a un tratto dal fondo del cuore-guardate intorno a voi questi doni di Dio; questo cielo azzurro, quest’aria pura, quest’erba tenera, gli uccellini, la natura bella e innocente. Soltanto noi, noi unicamente, uomini empi e sciocchi,non vogliamo capire che la vita è un paradiso; giacché basta che noi lo comprendiamo, perché diventi subito un paradiso in tutta la sua bellezza; e allora ci abbracceremmo e romperemmo in lacrime” (I fratelli Karamazov, VI, 1, p. 380, trad it. Bietti, 1968). Sono parole di Zossima  anche queste.

Nella Fedra di Seneca la  nutrice rinfaccia a Ippolito di essere uno truculentus et silvester (Fedra, v. 462), truce e selvatico, in quanto passa una gioventù senza Venere, una dea che colma i vuoti della razza umana. Se la escludi, il mondo rimane senza vita: “Excedat… rebus humanis Venus…vacuum sine ullis piscibus stabit mare/alesque caelo derit et silvis fera (v. 469 ss.), il mare resterà vuoto di pesci, mancherà l’uccello al cielo e la fiera ai boschi.

Insomma: orbis iacebit squalido turpis situ (471),  il mondo giacerà brutto in uno schifoso squallore. 

Proinde vitae sequere naturam ducem (v. 481), segui dunque la guida della natura

 

Cfr. Il Pervigilium Veneris[2]

Cras amet qui numquam amavit, quique amavit cras amet.

Ver novum ver iam canorum; vere natus orbis est,

Vere concordant amores vere nubunt alites,

Et nemus comam resolvit de maritis imbribus. (vv. 1-4)

(…)

Iam loquaces ore rauco stagna cygni perstrepunt,

adsonat Terei puella subter umbram populi,

ut putes motus amoris ore dici musico

et neges queri sororem de marito barbaro

Illa cantat, nos tacemus. Quando ver venit meum?

Quando faciam uti chelidon, ut tacere desinam? (vv. 85-90)ù

 

 

Domani ami chi non ha mai amato, e chi ha amato domani ami.

Primavera nuova, primavera ormai canora; in primavera il mondo nacque,

in primavera concordano gli amori, in primavera si sposano gli uccelli

e il bosco scioglie la chioma alle piogge nuziali.

 

Già i cigni loquaci fanno risuonare gli stagni con voce rauca

risponde la fanciulla di Tereo sotto l’ombra del pioppo,

sicché diresti che con voce musicale siano cantati moti d’amore

e non diresti che lamenti la sorella a proposto del marito barbaro.

Ella canta, noi tacciamo. Quando viene la primavera mia?

Quando farò come la rondine che smetterò di tacere?

 

Bologna 10 marzo 2024 ore 10, 41 giovanni ghiselli

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[1] Perseide

[2] La veglia di Venere, un carme anonimo, compreso nell'Anthologia latina di novantatré versi (tetrametri trocaici catalettici), di età e attribuzione incerta, dal II secolo d. C. , al IV, al VI; da Floro, a Tiberiano, a un'autrice anonima.

 

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