martedì 12 marzo 2024

Frinico, Antifonte, Pisandro e Teramene. I quattro cavalieri dell'Apocalisse di Atene dopo la disfatta in Sicilia (411-405 a.C.). Di Giuseppe Moscatt

Atene antica
Frinico, Antifonte, Pisandro e Teramene
I quattro cavalieri dell'Apocalisse di Atene dopo la disfatta in Sicilia (411-405 a.C.)
Giuseppe Moscatt

 
Per i modesti studiosi di storia greca di questi tempi, i nomi di Frinico, Antifonte di Ramnunte, Pisandro e Teramene apparirebbero sconosciuti di fronte al grandissimo Pericle, al famosissimo Alcibiade, ai noti Cleone e Brasida, resi celebri da Aristofane e Tucidide, ma anche da Wilamowitz, Nietzsche, Beloch ed i nostri De Sanctis e Canfora. Eppure i quattro cavalieri dell'Apocalisse di Atene, stanno nella storia greca come i Gracchi, Catilina, Cicerone e Clodio nella storia repubblicana romana, ovvero come Bruto, Cassio, Antonio ed Ottaviano alle origini della Roma imperiale, nonché di Alessandro e Cesare nella storia universale, anche per merito di Plutarco e di Tucidide, spesso e volentieri messi a confronto perfino con Aristotele e Platone. Dunque, Frinico. Ammiraglio e politico ateniese (nato nel 450 a.C. circa), al comando di una flotta ateniese di 48 navi, nel 412 a.C. tentò di soffocare la rivolta di Mileto, colonia ateniese alleata di Sparta nella prima parte della Guerra del Peloponneso.
Lo scontro non fu esaustivo né da una parte né dall'altra. Se gli ateniesi vinsero i Peloponnesiaci di Teramene filopersiano e filospartano; i Milesi - come ci racconta Tucidide (II, par. 8, n. 25) - batterono gli alleati Argivi e rimasero bloccati in città, una delle più ridenti dell'Asia Minore. L'arrivo di una flotta Siracusana, convinse il generale Frinico a non insistere nell'assedio, non senza imbarcare i feriti di quella guerra dove già erano morti 300 opliti. Con poche vettovaglie ed un misurato bottino, si ritirò a Samo per rifocillarsi e riprendere la guerra. Tucidide si premura a descrivere questo militare tutto d'un pezzo: questi si dimostrò sempre pieno di avveduta prudenza. Sebbene per parte sua non avesse nulla da rimproverarsi, fu allora che Frinico cominciò a capire che col suo doppio gioco Alcibiade era un suggeritore di Sparta e la quinta colonna dentro Atene, coi suoi amici oligarchi: non era personaggio attendibile.
 
Intanto gli Argivi erano arrabbiati per non avere vendicato la sconfitta e dovettero e ritornare ad Argo leccarsi le ferite. Emerge già la polemica politica e militare fra il Duce Alcibiade ed il generale Frinico, non solo perché l'uno era democratico e l'altro fosse oligarca e conservatore. Come dice Tucidide (op. cit. n. 47), ciò che inquietava i soldati di Atene - per di più lo stesso Frinico - era la presenza invasiva dall'alleato fenicio Tissaferne, cui il generalissimo Alcibiade dava eccessivo ascolto. Il disastro siciliano, che non lo aveva visto per sua fortuna partecipe, lo portava a seguire il Satrapo fenicio e lo spingeva ad accettare l'aiuto straniero proprio per meglio riottenere il favore di Atene a danno del partito democratico. Ora, mentre la maggior parte dei militari sperava nel disegno di alleanza con Tissaferne per scalzare i democratici a favore degli oligarchi e ritornare al potere e credevano Alcibiade un comune politico ormai in decadenza; Frinico capì subito il gioco subdolo del Duce che, come farà Cesare, manovrava con il nemico non solo per cacciare i democratici, ma anche per diventare tiranno.
Il gioco però non era sicuro perché Tissaferne non era quel mecenate politico che Alcibiade credeva, mirando anch'egli a diminuire il potere di Atene e non disdegnando i rapporti con Sparta ed i Peloponnesiaci. Insomma, Frinico, alla luce delle tesi di Tucidide, non desiderava un effettivo ritorno di Alcibiade ad Atene, cercando piuttosto un accordo con i democratici ancora al potere. Invero, il disastro di Sicilia provocò in Atene e fra i suoi alleati un forte disagio e gli oligarchi non mancavano di soffiare sul fuoco, rimarcando che i guai di Atene erano nati con Pericle e con i suoi successori. Clistene, Solone e Draconte erano sulle loro bocche come un modello di libertà; espansione ed impero, libertà ed identità, erano il loro sogno nazionalista e di Stato chiuso. Alcibiade da Sparta - dove si era rifugiato dopo la fuga dalla Sicilia per non subire gli effetti del famoso processo per lo scandalo delle Erme - fin dal 413 aveva consigliato agli Spartani con esito favorevole la spedizione di Gilippo a Siracusa e l'occupazione di Decelea nell'Attica di fronte ad Atene. E poi l'alleanza con Tissaferne persiano fu la ciliegina sulla torta.
 
La vicenda della rivolta di Milito ora citata era un caso emblematico del disagio, anzi della confusione dello Stato ateniese, analogo a quanto avvenne in Italia fra il 25 luglio 1943 ed il successivo 8 settembre. Perciò il Governo di guerra di Unità Nazionale fra democratici ed oligarchi; al fine di evitare la mostruosa alleanza fra Sparte e Persia - il famoso secondo fronte che spaventò Napoleone e Hitler - affidò proprio ad un Comitato di Salute Pubblica - la Bulè - la direzione unitaria del Governo; mentre l'Ecclesia - l'assemblea generale - rimase un mero organo di ratifica (412 a.C.). Come durante la Rivoluzione francese e nelle more della Prima Guerra Mondiale, Parlamento ed Assemblee legislative cessavano di essere gli organi centrali della Stato a favore dei Governi per meglio gestire le funzioni connesse alla guerra. Samo, Lesbo e Coo, Alicarnasso e Clazomene, sulla costa dell'Asia minore, restarono in mano ateniese e dunque la resistenza all'ondata spartana e persiana sembrava assicurata. Solo che le classi più ricche, benché più salde nelle vicende economiche derivate dalla guerra, pensavano sia a riprendere il potere, sia a concludere quella guerra con Sparta. E perciò costituirono le cc.dd. eterie, cioè società segrete politiche già costituite da Cleone ma conservatrici d'area democratica. Erano composte da membri di famiglie ricche ed antiche, filospartane e pacifiste, che giuravano di tutelarsi in ogni sede, ivi compresi i tribunali, contro spie e terroristi di parte avversa. Tucidide però sottolineava come alla difesa personale piano piano seguirà la conquista del Potere, come accadrà nel 1919 per le squadre fasciste, benché avessero avuto un secolo prima in Italia un ideale laico e libertario derivato dalle consorelle greche che avevano lottato per la libertà contro l'impero Ottomano. Ora è il momento di citare il secondo attore della tragedia, Pisandro, del demo di Acarne (430 a.C. - 412 circa).
 
Per la prima volta, il suo nome appare come appartenente alla Bulè fin dal 416, segnalandosi come un democratico radicale e come un arrivista interessato al potere, non a caso solidale di Alcibiade. E del quale fu alquanto clemente quando lo si giudicò per lo scandalo delle Erme, votando negativamente sulla sua responsabilità per violazione dei misteri. Poi si alleò col retore Andocide, che sobillò le masse forse per evitare la partenza della flotta per la Sicilia, peraltro neppure favorevole per come l'aveva organizzata il generale Nicia. La mutevolezza delle sue opinioni politiche, legate al realismo politico, lo indusse a fare approvare dalla Bulè nuovi rinforzi per la Sicilia. Anzi, la sua natura di avido voltagabbana apparve in tutta la sua spettacolarità trasformista abbandonando i radicali democratici di Andocide, passando a quelli di Antifonte di Ramnunte, portandosi con sé un intellettuale come l'architetto Ippodamo di Mileto e come avverrà per un politico collaudato che vedremo fra poco, Teramene di Stizia, già intimo amico di Pericle. Pisandro piuttosto si riavvicinò ad Alcibiade e fece da mediatore proprio col Tissaferne, tutti comunque orientati a rovesciare il Governo di unità popolare.
Il punto di maggiore critica di tale azzardata condotta politica è però la congiura antidemocratica dei Quattrocento, di cui egli fu il principale fautore. D'accordo con Frinico e con lo stesso Alcibiade, Pisandro con dieci congiurati costituiti in eteria e con la tolleranza di due profughi, Aristofane e Teramene, si portò ad Atene e con violenza e inganno fece abolire il resto della Costituzione democratica fino ad allora sospesa per motivi di guerra e costrinse l'assemblea popolare ad approvare un nuovo numero di componenti dalla Bulè, che passò dai dieci originari ai 30, immettendo un numero di membri di ispirazione oligarchica. Quindi revocò ogni accusa di illegalità per tale riforma con la scusa di attentati alle persone della vecchia Bulè, un poco come Hitler che nel 1933 sciolse il Reichstag dopo che era stato incendiato lo storico edificio di Berlino attribuito a gruppi avversari comunisti mai provato. Soprattutto concentrò il potere su quattrocento membri prescelti dalla nuova Bulè cui venivano affidati i pieni poteri di decisione legislativa, amministrativa e giudiziaria. Poi dichiarò conclusa ogni ulteriore attività della stessa Bulè. Era il partito unico oligarchico e la tirannia di una sola parte, colpo di Stato che tanto influenzerà Catilina a Roma e poi Napoleone il 18 Brumaio del 1799, con esito negativo il primo perché non aveva militari al suo fianco, cosa che invece portò Napoleone alla dittatura e all'essere l'unico capo delle armate di Italia e d'Egitto.
 
Nel nostro caso, la situazione storica contemplò all'origine la partecipazione di quel generale Frinico di cui parlavamo, benché a raccogliere la maggior parte degli Opliti fu un altro generale, Teramene, piuttosto sensibile alla domanda di pace che la popolazione ormai richiedeva, anche per le opere teatrali di Aristofane, come Gli Acarnesi e La Pace, zeppe di spettatori che la acclamavano in ogni recita. Sembrò invero che quel colpo di Stato, benché telecomandato da un collaudato parvenu qual'era Alcibiade, avesse avuto la meglio. Nell'estate del 411, un terzo cospiratore diede al governo dittatoriale una parvenza di solidità, vale a dire l'oratore Antifonte di Ramnunte. Nato in questo demo di Atene nel 480 a.C. circa, non solo esercitò la professione di avvocato ed oratore, ma anche - come lo fu Cicerone a Roma - partecipò attivamente alla vita politica da conservatore disilluso della guerra con Sparta e molto amareggiato per avere approvato in buona fede Pericle nella sua politica imperialista. Si appoggiò allora a Pisandro quando constatò gli eccessi sanguinosi del partito democratico in quelle evenienze belliche. Divenne così il ministro della giustizia nel governo di quest'ultimo, accanto al militare e titolare della politica estera Frinico, nel governo autoritario diretto da Alcibiade. Sappiamo che questo Governo durò appunto un'estate e vedremo le ragioni della sua brevità.
 
Per ora ci piace ricordare la figura professionale di Antifonte, da non confondere col filosofo di nome analogo Atene, peraltro coevi, anche se quello del borgo di Ramnunte si dedicò alla legge processuale e l'altro più legato al pensiero sofista. Il primo è ricordato come logografo in Atene ed il primo che aprì una scuola di retorica giudiziaria per farne diventare una professione per motivi di lucro. Tucidide, suo alunno, ne loda la perizia giuridica nelle difese penali scritte. Infatti fin dal V secolo, prima e durante l'età di Erodoto e Tucidide,molti di loro più cronisti che storici. Poi nel IV secolo gli storici si distingueranno per la selezione del materiale di studio e per una serie di condizioni operative di natura generale. Per esempio, Ecateo di Mileto si occupò di superare i miti cosmogonici e genealogici emersi da fatti reali, spesso in rapporto alle origini delle città. Tucidide ne rilevò la natura di superbi prosatori. E perciò pare che tali caratteristiche furono proprio di Antifonte, tanto che sotto Pericle divennero famosi i logografi giudiziari che a pagamento estendevano le comparse in Tribunale. In altri termini, ebbe fine la difesa orale dell'accusato e l'accusa del querelante, ora sostenuta da arringhe di esperti della materia. Nasce così a poco a poco il processo scritto e la figura dell'avvocato. Lisia e Demostene, Cicerone e Papiniano, ne seguiranno le mosse.
Di Antifonte, oltre a frammenti dell'autodifesa, che in modo sublime oppose alle accuse dei democratici quando questi tornarono al Potere nell'ottobre del 411 a.C.; rimangono quindici orazioni per causa di omicidio, tre però a lui attribuiti e dodici di prova preparate per gli studenti. In particolare, la causa era discussa secondo due profili dell'accusa e della difesa. Ogni comparsa prevedeva un modello di processo indiziario per uccisione e si componeva dell'arringa di difesa e di quella d'accusa, con parallelo contraddittorio conclusivo fra le parti. Duplice è oggi la loro funzione: conoscere il diritto penale di Atene ed anche comprendere la lingua attica nella sua evoluzione, fino ad influenzare il metodo dialogico di Tucidide. E proprio da tali orazioni si può dedurre la natura oligarchica dell'autore rispetto allo spirito democratico dall'omonimo filosofo. Orbene, prima di passare alla fase conclusiva di quella apocalisse, un momento occorre spendere per il quarto cavaliere, Teramene, riconosciuto dagli storici come il politico più camaleontico nella difficile situazione politica di Atene dopo il disastro siciliano. E' vero che partecipò al colpo di Stato a fianco di Pisandro e soci; è vero che mantenne rapporti col Duce in esilio a Sparta e che non negò le antiche simpatie democratiche verso Pericle; ma è anche vero che fu il primo ad abbandonare il Governo dei Quattrocento a mediare col regime moderato dei 5000 (411 a.C.). Cooperò anche con i democratici di Samo che proprio Alcibiade contattò favorevolmente proprio per rovesciare il governo oligarchico di Pisandro. Teramene e Frinico. Costoro ipotizzavano un governo oligarchico e moderato conservatore, a guida delle classi più ricche, ma non troppo lontano dalla Costituzione di Solone, a base assembleare e con un rapporto di fiducia a favore dell'Esecutivo. Nondimeno, Teramene - anticipatore dei camaleonti francesi posteriori al Terrore, come Barras e Talleyrand - si riavvicinò ad Alcibiade e collaborò per una nuova politica imperiale fondata sulla flotta. Una sua classica posizione trasformista emerge dal racconto di Senofonte, quando dopo la sconfitta delle Arginuse, il democratico radicale Trasibulo volle processare gli ammiragli accusati di non avere soccorso i naufraghi (406 a.C.).
Certamente, Teramene voleva evitare ulteriori congiure dei militari vincitori che sembravano ora più forti ed il processo politico che lui imbastì fu utile al riguardo, perché la loro condanna a morte salvò la Repubblica democratica. Vale a dire un fenomeno analogo agli anni del Direttorio e del Consolato di Napoleone, premessa del decennio da Imperatore ed anche fino a Waterloo. Tuttavia la sconfitta in Mesopotamia (405 a.C.) accelerò la caduta di Atene (404 a.C.) e fu la pietra tombale della democrazia. Infatti, il suo marcato camaleontismo lo ebbe alleato dello spartano Lisandro, come Talleyrand che si legò a Metternich, senza dimenticare Badoglio che dal 1941 cominciò a trattare con gli Alleati ed in seguito fu ben accolto nel 1943 come successore di Mussolini. Intanto Crizia, presidente del Governo dei 30 tiranni, non accettò più forme di mediazione e di moderatismo, vedi il caso del processo e della morte di Socrate: questi cioè adottò una procedura penale priva di difesa e lo mandò a morte in nome del ritorno all'ordine tradizionale. Rischio da cui Badoglio e Talleyrand a stento si sottrassero, mentre Ciano e gli altri oppositori di Mussolini pagarono con la vita le numerose ambiguità ed i tanti compromessi operati nella loro oscillante azione politica dopo la famosa notte del 25 luglio del 1943.
 
Riprendendo la narrazione, occorre meglio ridefinire le vicissitudini politiche e militari di Atene, dopo la rotta in Sicilia. Il centro operativo ateniese delle forze di terra e di mare ora è Samo, una delle più antiche colonie ateniesi, centro di formazione della classe degli ufficiali marittimi più importante del Mediterraneo. Frinico era il più prestigioso e Pisandro l'ufficiale di collegamento con Alcibiade, esule a Sparta, in un dorato ritiro, non privo di suggerimenti al vetriolo ai governanti di Sparta, soprattutto nello stimolare l'appoggio di Dario II persiano alla Sparta di Lisandro, astro militare nascente a Sparta. Di nuovo Alcibiade ha un colpo di genio, simile a quelli di Cesare e Napoleone: simulare piani di attacco ad Atene con quella strana alleanza, dissimulare invece una pari alleanza con Atene contro Sparta.
Un dietrofront che anche Napoleone provò a fare con Alessandro primo di Russia contro l'Inghilterra attraverso il blocco Continentale (1806), fallito nel 1811 e poi ritentato nel 1812 con la disgraziata campagna di Russia. Solo che Napoleone perse così l'impero violando l'alleanza col Romanov; mentre Alcibiade riuscì invece a ritornare ad Atene ribaltando quel regime democratico che lo aveva cacciato dopo averlo invece amato all'epoca di Pericle e Nicia. Si è detto che era Samo la base del regime democratico ateniese dopo la ricostituzione della politica ateniese antispartana dopo la fine della flotta in Sicilia. Un po' come sarà Kronštadt, al centro del golfo di Finlandia, una città -fortezza che dal tempo di Pietro il Grande (1704) era stata la base navale della flotta imperiale russa. A Kronštadt come a Samo convivevano ufficiali fedeli alla Patria, ma divisi politicamente fra zaristi (ovvero oligarchi) e progressisti (cioè democratici). Qui Pisandro, Frinico e Teramene lavoravano per il ritorno dell'oligarchia ad Atene, alla pari di Trasibulo e Trasillo, rispettivamente ufficiali della marina e dell'esercito fedeli alla democrazia ateniese.
I tre oligarchi - legati in eteria per riportare l'oligarchia ad Atene - trovarono avversari lealisti fin dal 412, quando la maggioranza degli equipaggi e dei cittadini di Samo fece strage della fazione oligarchica. Ispiratore della reazione lealista era stato Iperbolo, seguace di Cleone, esiliato da Alcibiade e Nicia dopo la sconfitta di Mantinea (418) e qui divenuto capo del Partito popolare. Un secondo tentativo di riscossa era stato preparato da Pisandro, ma gli equipaggi avevano preparato una contro reazione con Trasibulo e Trasillo che ebbe successo. Perciò Pisandro, Frinico e Teramene, sbarcati ad Atene per accendere la rivolta, cercheranno di raggiungere accordi con le assemblee dei marinai. Qui la situazione è simile a quella che avvenne a Kronštadt, sia pure a ranghi invertiti. Invero, fin dal 1905, molti marinai ed ufficiali avevano appoggiato i moti democratici di San Pietroburgo e perfino il giovane Trotsky li aveva onorati come valorosi e gloriosi marinai della Russia rivoluzionaria, peraltro massacrati nel sangue dalle truppe zariste. Così quella piazzaforte divenne da allora terra di confino per gli oppositori, per esempio lo stesso Trotsky. Poi, durante la rivoluzione di febbraio del 1917, già causale della caduta dell'impero zarista, nacque anche la Repubblica di Kronštadt, forma di Stato federalista, politicamente socialista dal volto umano, una sorta di comunismo libertario.
In tale contesto, la democrazia diretta, la distribuzione del reddito e le terre ai contadini divennero di proprietà pubblica e date in usufrutto a tutti i cittadini. Una Repubblica democratica non autoritaria che durò fino al marzo 1921, fondata sula formula tutto il potere ai soviet e non ai partiti, che apparentemente era antiburocratica e neutralista, una società libera e democratica contraria al Regime statalista di Lenin. Quando il 1° marzo, i marinai proposero una loro repubblica autonoma e socialista al Soviet sovietico, dove il loro Soviet vedeva partecipare sia i militari che i contadini; accanto ai lavoratori delle industrie, in un parlamento pluriclassista; i Bolscevichi ordinarono lo scioglimento dell'Assemblea e Trotsky, di fronte al loro rifiuto, procedette all'arresto ed all'impiccagione dei marinai rivoltosi. Un pronunziamento che finì nel sangue e la nuova società agognata dal popolo di quella città fu messa a tacere, inaugurando una catena di repressioni da Kronštadt all'Ucraina, da Budapest a Praga e via discorrendo. Ciò che accomuna le due vicende è il risultato oppressivo, perché a Samo prevalsero i democratici che mantennero la legalità rappresentativa di Solone e Pericle; mentre ad Atene vinsero temporaneamente gli oligarchi di Pisandro ed Alcibiade. Poi si ebbe il momento del democratico Trasibulo e poi di nuovo gli oligarchi con Crizia, inaugurandosi anche un'alternanza politica spesso violenta, che porterà alla decadenza finale di Atene e alla fine della sua primazia nel Peloponneso.
Alla fine di queste convulse tensioni, che videro all'improvviso il ritorno di Alcibiade e la ripresa democratica, fu la scelta dei democratici di Trasibulo e di Trasillo a riprendere appunto il dialogo con Alcibiade, anche per evitare la guerra civile. A questi non parve vero di aver ottenuto quello che voleva da anni, diventare il mediatore politico come era stato lo zio Pericle. Mediazione che ebbe successo: da una parte Samo ed Atene avrebbero continuato la guerra con Sparta e dall'altra si sostituirono l'organo deliberativo ristretto a 5000 cittadini in armi e non soltanto se benestanti o nobili. Era il solito progetto trasformista di centro che Alcibiade ed il suo nuovo discepolo Teramene avevano sempre patrocinato fin dai tempi di Iperbolo e Nicia. Antifonte, Pisandro e Frinico, gli estremisti di destra, capirono ora che la pace con Sparta era vicina, tentarono quindi di sfuggire al popolo che li credeva dei traditori, ma caddero assassinati dai più estremisti, mentre Teramene patteggiò la pace con Sparta e la controrivoluzione termidoriana ebbe qui la sua vittoria rispetto all'età rivoluzionaria del terrore di Pisandro. Ma Alcibiade, come Napoleone, rimase poco nell'ombra, come ben sanno i lettori di Tucidide.

di Giuseppe Moscatt
 

Note bibliografiche 
·         Per la parte storica su Atene dopo la spedizione in Sicilia, vd. DOMENICO MUSTI, Storia greca, ed. Laterza, Roma-Bari,1989.
·         Per la biografia romanzata di Alcibiade, vd. Thòdoros Kallifatidis,Timandra, ed. Crocetti, Milano, 2002.
·         Per la guerra del Peloponneso, cfr. Tucidide, La guerra del Peloponneso, vol. I e II, Mondadori, Milano, 1952.
·         Per le vicende di Atene fra oligarchi e democratici, cfr. LUCIANO CANFORA, Il mondo di Atene, ed. Laterza, Roma-Bari, 2011. 

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