Commento all’Ippolito di Euripide che verrò rappresentato nel teatro greco di Siracusa
Critiche alla religione tradizionale
Afrodite nel prologo dell’Ippolito afferma che gli dèi godono nel ricevere onori dagli uomini: “timwvmenoi caivrousin ajnqrwvpwn u[po” (v. 7). Certamente si tratta di dèi meschini: si ricordi l’ affermazione di Eracle che il dio, se è veramente dio, non ha bisogno di nulla (dei'tai ga;r oJ qeov~, ei[per e[st j ojrqw'~ qeov~,-oujdenov~, Euripide, Eracle vv.1344-1345).
I riti notturni di piazza Verdi a Bologna e quelli di Euripide e Tito Livio.
Hanno qualcosa in comune? Dico di no
I riti notturni considerati con sospetto da Ippolito e da Penteo nelle Baccanti.
Ippolito saluta Afrodite provswqen, da lontano, poiché, dice, sono casto-aJgno;" w[n- (Ippolito, 102). Un servo gli fa notare che la dea dell’amore è comunque una divinità veneranda e insigne
Allora il giovane presenta una sua obiezione ai riti notturni: oujdeiv~ m’ ajrevskei nukti; qaumasto;~ qew`n Ippolito (106), nessuno tra gli dèi venerati di notte mi piace.
Leggiamo 5 versi delle Baccanti di Euripide (485-490). Tratti da una sticomitia tra Penteo e Dioniso.
Penteo . “I riti li celebri di notte o di giorno?”
Dioniso. “Per lo più di notte: la tenebra ha qualcosa di sacro”.
Penteo. “Questo riferito alle donne significa inganno e vizio” .
Dio. “Anche di giorno uno potrebbe trovare della turpitudine”.
Pen. “Tu devi pagare il fio dei tuoi sofismi malvagi”. 489 –divkhn se dou'nai dei'
Dio. “Tu piuttosto quello della tua incapacità di comprendere-ajmaqiva"- poiché sei empio verso il dio” kajsebount j ej" to;n qeovn-.
La malizia del burocrate e quella del giovane casto
divkhn se dou`nai dei` (v. 489): “Pentheus excitedly smells immorality again, and when the Stranger explains that morals don’t depende on the time of day, he loses his temper-observe the explosive d- d- d- in 489 (so Jason in his rage cries dwvmasin dwvsei divkhn[1], Med. 1298).
Hippolytus has a like objection to nocturnal rites, Hipp. 106 oujdeiv~ m’ ajrevskei nukti; qaumasto;~ qew`n”[2], Penteo con eccitazione fiuta di nuovo immoralità, e quando lo Straniero spiega che la morale non dipende dall’ora del giorno, egli perde la sua calma-nota l’esplosivo d-d-d al v. 489 (così Giasone nella sua rabbia grida dwvmasin dwvsei divkhn[3], Med. 1298).
Ippolito fa un’obiezione del genere ai riti notturni: nessuno tra gli dèi venerati di notte mi piace (Ippolito, 106).
I riti notturni di piazza Verdi a Bologna e quelli di Euripide e Tito Livio.
Hanno qualcosa in comune? Dico di no
Eros ambiguo
Nel primo stasimo dell’Ippolito di Euripide il Coro di donne trezenie inizia con un’invocazione a Eros: “ [Erw~ e[rw~, o{ kat j ojmmavtwn-stavzei~ povqon” (vv. 525-526), Eros, Eros che per gli occhi versi goccia a goccia il desiderio, infondendo dolce piacere- eijsavgwn glukei`an cavrin- nell’anima a coloro contro i quali fai una spedizione, non apparirmi con il male e non venire spoporzionato-mhd j a[rruqmo" e[lqoi" (525-529).
Non c’è dardo (bevlo~) di fuoco o di astri più forte (uJpevrteron) di quello di Afrodite che Eros figlio di Zeus scaglia dalle mani: “oi|on to; ta`~ jAfrodivta~-i{hsin ejk cerw`n-[Erw~, oJ Dio;~ pai`~ (vv. 531-533). Invano si fanno sacrifici se non veneriamo Eros, to;n tuvrannon ajndrw`n (v. 538), tiranno degli uomini. Lui che distrugge e avanza tra ogni genere di sventura per i mortali (dia; pavsa~ sumfora`~), quando giunge.
Afrodite ha fatto soffrire Iole e Deianira (cfr. Trachinie) e Semele madre di Bacco due volte nato (cfr. Baccanti). Terribile – deina-v la dea spira dappertutto e continua a volare come ape melissa d’ oi{a 653.
Eros è visto come una divinità ambigua e pericolosa già da molti Greci, poi “Il cristianesimo diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio”[4].
“La predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura”[5].
La contaminazione dei morti e dei luoghi
Artemide alla fine dell’Ippolito abbandona la scena dicendo che a lei non è lecito vedere i morti (ejmoi; ga;r ouj qevmi" fqitou;" ojra'n-)' né contaminare lo sguardo (o[mma craivnein) con aneliti di moribondi (vv. 1437-1438) e vedo, fa a Ippolito, che tu sei già vicino a questo male ojrw' dev s j h[dh tou'de plhsivon kakou' (1439).
Anche alla fine delle Baccanti il luogo spira contaminazione e nell’ultima scena la stessa Agave lo maledirà allontanandosene:
“Ag. Stammi bene, padre.
Ca. Stai bene, o disgraziata figlia. Ma difficilmente puoi giungere a questo.
Ag. Accompagnatemi, amiche, dove prenderemo con noi
le misere sorelle compagne di esilio.
Vorrei giungere dove
il Citerone contaminato- Kiqairw;n miarov" -non mi veda
né io con gli occhi il Citerone,
e dove del tirso non ci sia nemmeno il ricordo.
Ad altre baccanti importino (1380-1387)
Agave riconosce con orrore l’intervento di Dioniso.
Critiche alla crudeltà degli dèi. Dei personaggi. E pure dell’autore.
Nell’Ippolito Artemide dice: “Cipride la scellerata ha architettato questo- Kuvpri~ ga;r hj panou`rgo~ w\d j ejmhvsato (1400).
Ippolito aggiunge: “ mi rendo conto che Cipide ha mandato in rovina noi tre”-trei'" o[nta" hJma'" w[les j , h[/sqhmai, Kuvpri" (Ippolito 1403). Lui stesso, Teseo e Fedra.
Cadmo prega suo nipote Dioniso Diovnuse, lissovmesqav s j , hjdikhvkamen (Baccanti, 1344) ma il dio risponde o[y j ejmavqeq j hjma'" , o{te d j ejcrh'n oujk h/dete (1345), tardi ci avete compreso, quando era dovuto lo ignoravate.
Quindi Cadmo ribatte: “ . “Non si addice agli dèi assimilarsi nell’ira ai mortali” ( ojrga;" prevpei qeou;" oujc oJmoiou'sqai brotoi'", 1348)” .
Dioniso risponde : “da molto tempo Zeus mio padre ha decretato questi eventi- (pavlai tavde Zeu;" ouJmo;" ejpevneusen pathvr, 1349).
“Certo, la frase di Dioniso è convenzionale, e lo è in un senso ben preciso: perché replica una convenzione tipica della tragedia, quella del deus ex machina. Il riferimento al volere di Zeus è infatti tipico degli interventi del deus ex machina nel finale dei drammi euripidei.
Un primo esempio già nell’Ippolito (vv. 1331 ss.), dove Artemide giustifica con il timore nei confronti di Zeus il fatto di non essere intervenuta per impedire la morte di Ippolito.
Artemide dice a Teseao: “Se non avessi avuto timore di Zeus, io non sarei giunta a tanta vergogna da lasciar morire l’uomo a me più caro tra tutti i mortali-w[st j a[ndra pavntwn fivltaton brotw`n ejmoi;- qanei`n eja`sai.- 1333-1334.
Un parallelo più diretto si ritrova nelle parole di Teti dell’Andromaca (v. 1269): Zhni; ga;r dokei` tavde (“Così ha deciso Zeus)….D’altra parte, la soluzione che Euripide adotta nelle Baccanti si distacca dalla consuetudine della convenzione drammaturgica. Zeus viene evocato…con la precisa caratterizzazione di “padre”: oujmo;~ pathvr (…) Dioniso deve dimostrare di essere figlio di Zeus: è questo lo spunto della tragedia. Il dramma si apre con Dioniso che si proclama Dio;~ pai`~ (v. 1), poi il tema scandisce lo svolgersi dell’azione, ricorrendo più volte nel testo (vv. 27-31; 41-42; 88-98; 466 ecc.) (…) In questo modo, la frase cruciale e controversa di Dioniso viene accuratamente preparata nel corso di tutto il dramma e acquista un sapore particolare (…) Dioniso non è semplicemente un membro della famiglia di Cadmo, è un dio incomprensibile il cui potere tremendo si affratella al remoto nutus (pavlai Zeu;~ ejpevneusen) del signore dell’Olimpo. E se all’inizio del dramma Dioniso, pur presentadosi già come figlio di Zeus, sottolineava sempre il suo rapporto con Tebe e i Cadmeidi (cfr. i vv. 2ss.; 10; 26ss. Del prologo), nel finale il riferimento esclusivo alla paternità divina indica l’estraneità di Dioniso alla città e all’óikos di Cadmo”[6].
“Cadmus pleads with Dion., as the old servant in Hippolytus with Aphrodite, Hipp. 120 sofwtevrou~ ga;r crh; brotw`n ei\nai qeouv~. And both plead in vain: for such gods as these, the human ‘ought’ has no meaning. We need not conclude that the poet denies their title to worship: to do so is to confuse the Greek with the Christian conception of deity”[7], Cadmo perora con Dioniso, come il vecchio servo nell’Ippolito si rivolge alla statua di Afrodite, Ippolito 120 ‘bisogna perdonare – crh; de; suggnwvmhn e[cein (…) bisogna che gli dèi siano più saggi dei mortali’- sofwtevrou~ ga;r crh; brotw`n ei\nai qeouv~- . Ed entrambi perorano invano: per dèi come questi, l’umano ‘dovrebbe’ non ha senso. Noi non dobbiamo concludere che il poeta nega il loro diritto alla venerazione: fare così significa confondere la concezione greca della divinità con quella cristiana.
Le Baccanti hanno avuto interpretazioni contrastanti: secondo alcuni sono la palinodia dell'autore che torna alla religione dopo il razionalismo e la stanchezza postfilosofica; secondo altri costituiscono un'ulteriore condanna della religione.
La prima lettura si fonda in buona parte sui versi del primo Stasimo (vv. 370-432) che suggerisce l’allontanamento perissw'n para; fwtw'n (429) dagli uomini straordinari e l’accettazione delle fedi del plh'qo" faulovteron (430). Sembra una scelta delle credenze popolari, contro il reo dolor che pensa, i sofismi e il pretenzioso sapere degli intellettuali.
Ant. b
Il demone figlio di Zeus
gioisce delle feste,
e ama Irene che dona benessere,
dea nutrice di figli. 420
Uguale al ricco e a quello di rango inferiore
concede di avere la
gioia del vino che toglie gli affanni;
e porta odio a chi queste cose non stanno a cuore:
durante la luce e le amabili notti 425
vivere da persona felice,-eujaivwna diazh'n
e saggia tenere la mente e l’anima lontane
dagli uomini straordinari;
sofa;n d j ajpevcein prapiivda frevna te-
perissw'n para; fwtw'n
ciò che la massa 430
più semplice crede e pratica,
questo io vorrei accettare.
Cfr. Delitto e castigo di Dostoevskij.
A parer mio Euripide è molto critico verso Dioniso, come verso altri dèi. Per giunta presenta Tebe, la più feroce nemica di Atene, quale città malata, l’antipolis.
Per quanto riguarda la concezione cristiana, leggendo l’Inferno di Dante si trovano crudeltà, che non hanno niente da invidiare a quelle di Dioniso. Però la cosiddetta giustizia divina che martella colpevoli e innocenti come Didone mai criticate dall’autore,
Bologna 9 marzo 2024 ore 9, 51 giovanni ghiselli
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[1] Do la traduzione di queste parole facendole precedere da un poco di contesto : “ Donne, che state vicino a questa dimora,
è ancora dentro quella che ha compiuto
atti terribili, Medea, oppure è fuggita?
Bisogna infatti che quella davvero si nasconda sotto terra
o alato sollevi il corpo nella profondità del cielo,
se non vuole pagare il fio alla casata dei sovrani. (Medea, vv. 1293-1298) ndr.
[2] Dodds, Op. cit., p. 138.
[3] Euripide, Medea, 1293-1305
Giasone
Donne, che state vicino a questa dimora,
è ancora dentro quella che ha compiuto
atti terribili, Medea, oppure è fuggita?
Bisogna infatti che quella davvero si nasconda sotto terra
o alato sollevi il corpo nella profondità del cielo,
se non vuole pagare il fio alla casata dei sovrani. 1298 eij mh; turavnnwn dwvmasin dwvsei divkhn
E' convinta che dopo avere ammazzato i signori del paese
fuggirà con i propri mezzi da questa casa, impunita? 1300
Ma in effetti non mi do pensiero di lei quanto dei figli:
a quella faranno del male coloro ai quali l'ha fatto,
io invece sono venuto a salvare la vita dei miei bambini,
perché i miei congiunti di stirpe non facciano loro del male,
facendo pagare l'empio delitto materno.
[4] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 168.
[5]Nietzsche, Legge contro il cristianesimo. In appendice a L’anticristo.
[6] G. Ieranò, Euripide Baccanti, pp. 154-155.
[7] Dodds, Op. cit., p. 238.
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