Marco Aurelio, imperatore (161-180 d. C.) e filosofo, scrive: noi siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin", Ricordi , II, 1).
Sentiamo un paio di autori moderni
Questa idea di humanitas è stata e sarà ripresa nei secoli dei secoli : in Devotions upon Emergent Occasion di John Donne (1572-1631) leggiamo:" Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio (…) la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls "[1] ); suona per te.
L’odio reciproco dunque è contro natura per noi umani: ci viene inculcato da una propaganda infernale, fallace e ci rende infelici
Sentiamo anche: Hermann Hesse che scrive:" In nulla al mondo, infatti, io credo così profondamente, nessun'altra idea mi è più sacra di quella dell'unità, l'idea che l'intero cosmo è una divina unità e che tutto il dolore, tutto il male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti inscindibili del Tutto, che l'io dà troppa importanza a se stesso. Molto dolore avevo sofferto in vita mia" (La Cura , p. 77)
Concludo questo argomento con l’idea della parentela reciproca di tutto quanto vediamo nel mondo. Non dovremmo mai dimenticarcene.
Platone scrive che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", Menone, 81d).
Dostoevskij fa dire allo stariez Zossima che "il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore" (F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , libro III, capitolo 6.)
Questa è l’informazione che devo ai miei lettori, una controinformazione rispetto a quella divulgata dalla parte peggiore dei media.
“Me ne frego” o addirittura “ti frego”
Anche la cura della forma per lo meno chiara, e magari pure bella delle parole, che usiamo nel parlare e nello scrivere è parte dell’umanesimo, che come ho detto più volte è rispetto e amore dell’umanità.
Se rispettiamo chi ci ascolta e chi ci legge, parliamo e scriviamo in modo da essere capiti senza fatica né pena, anzi ci seguirà l’interesse, il progresso e il diletto di chi ci ascolta o legge.
L’incuria di farsi comprendere è incapacità o sciattezza o malizia. Comunque una cosa brutta e da biasimare.
Nel Fedone di Platone il personaggio Socrate dice :" euj ga;r i[sqi (…) a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene (…) ottimo Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
L’impiego della bella forma conferisce alla parola non solo un ornamento ma anche una sostanza di onestà e cortesia.
Cfr. Enrico VIIII di Shakespeare: It is a kind of good did to say well (III, 2, 153) è una specie di fare bene parlare bene.
E’ il re che parla con Wolsey.
Oggi è di moda parlare male . A pare mio significa: “me ne frego di te” o addirittura “ti frego”.
La cura della parola significa curarsi della persona che ci ascolta come insegna don Lorenzo Milani: “Su una parete della nostra scuola c’è scritto in grande “I care”. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. E’ il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”. (L’obbedienza non è più una virtù”, p. 34)
Bologna primo marzo 2024 ore 9, 37. giovanni ghiselli
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