Encolpio mette sotto accusa il tipo dello studioso, estraneo alla vita, lo stesso che Nietzsche definirà "l'eterno affamato, il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino, che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si acceca miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"[1]. L’io narrante del Satyricon contrappone questo topo di biblioteca ai grandi tragici:"nondum iuvenes declamationibus continebantur, cum Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat, cum Pindarus novemque lyrici Homericis versibus canere timuerunt. et ne poetas solum ad testimonium citem, certe neque Platona neque Demosthenen ad hoc genus exercitationis accessisse video " (2, 3-5), ancora i giovani non erano chiusi nelle vuote declamazioni, quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare gli ingegni, quando Pindaro e i nove lirici[2], si peritarono a cantare in versi omerici. E per non chiamare a testimoniare solo i poeti, di certo non trovo che Platone né Demostene si sono abbassati a questo genere di esercitazione.
Bologna 18 marzo 2024 ore 16, 30 giovanni ghiselli
p. s.
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[1]Nietzsche, La nascita della tragedia , trad. it. Adelphi, Milano, 1977, p. 123.
[2] Il canone alessandrino dei nove lirici più importanti comprendeva Saffo, Alceo, Anacreonte (lirica monodica), Simonide, Bacchilide, Pindaro, Alcmane, Stesicoro, Ibico (lirica corale). Li abbiamo menzionati quasi tutti come poeti d'amore e maestri dei latini.
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