Umanesimo è anche eroismo, è curiosità di imparare e capacità di meravigliarsi. Ed è pure accorgersi delle analogie.
L’eroismo, la determinazione e la tenacia nel perseguire un obiettivo, il tenere duro, il non cedere mai, rientra nella categoria dell’amor proprio , quindi dell’umanesimo, dato che umanesimo è amore per l’umanità, per tutti gli esseri umani, compreso il se stesso di ciascuno.
Penso che l'amore di se stesso e quello dell'umanità non siano separabili. Nella seconda commedia della Trilogia di Pirandello del teatro nel teatro, Ciascuno a suo modo (1924), l'attrice Delia Moreno afferma:"Sapete che cosa significa "amare l'umanità"? Soltanto questo:"essere contenti di noi stessi". Quando uno è contento di se stesso "ama l'umanità" (atto I).
Faccio due esempi di filautiva, amor proprio incapace di cedere: uno antico e uno moderno
Achille , cedere nescius (cfr. Orazio, Odi , I, 6, 6) non si lascia bloccare dalla profezia di sventura del cavallo fatato Xanto, e gli risponde:"ouj lhvxw"( Iliade , XIX, v. 423) non cederò.
Nel terzo capitolo dell’Ulisse di Joyce, Proteo-la spiaggia. Dedalus il ragazzo desolato che tuttavia aspira all’amore e alla creatività artistica, dice a se stesso. “Hold hard, tieni duro. Pagina 44 in inglese, 68 in italiano.
Umanesimo è pure curiosità, volontà di imparare e capacità di meravigliarsi.
Odisseo è l’uomo umano che rischia la vita per non perdere la possibilità di imparare.
Cicerone nel De finibus bonorum et malorum [1] premette che innato è in noi l’amore della conoscenza e del sapere, ed esso è tanto grande che la natura umana vi è trascinata pur senza l’esca di alcun profitto.
Questo si vede dall’episodio delle sirene (Odissea, XII, 158-200) ) le quali attiravano i naviganti non per la dolcezza della voce o la novità dei canti “sed quia multa se scire profitebantur” (V, 18), ma poiché dichiaravano di sapere molte cose.
Quindi l’Arpinate traduce i vv. 184-191 del canto con le parole delle sirene e conclude: “Vidit Homerus probari fabulam non posse, si cantiunculis tantus irretitus vir teneretur, scientiam pollicentur, quam non erat mirum sapientiae cupǐdo patriā esse cariorem. Atque omnia quidem scire, cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum”, Omero si accorse che il mito non poteva essere approvato se un uomo di quella levatura fosse stato irretito da canzoncine; il sapere promettono, e non era strano che a uno bramoso di sapienza esso fosse più caro della patria. E certamente la brama di sapere tutto, di qualunque genere sia, è proprio delle persone curiose.
Le sirene che cantano cercano di indurre Odisseo a fermarsi da loro promettendogli che ripartirà pleivona eijdwv~ (Odissea, XII, 188), sapendo di più, conoscendo più cose.
Nel romanzo di Apuleio la sopravvivenza di Lucio diventato asino è dovuta alla sua innata curiosità che lo apparenta a Ulisse. Sentiamolo: “ Nec ullum uspiam cruciabilis vitae solacium aderat, nisi quod ingenita mihi curiositate recreabar (...) Nec immerito priscae poeticae divinus auctor apud Graios summae prudentiae virum monstrare cupiens multarum civitatium obitu et variorum populorum cognitu summas adeptum virtutes cecinit " (Metamorfosi, IX, 13), né vi era da qualche parte alcun conforto di quella vita tribolata se non il fatto che mi sollevavo con l’ innata curiosità (...) E non a torto quel divino creatore dell'antica poesia dei Greci volendo raffigurare un uomo di somma saggezza, narrò che egli raggiunse i sommi valori visitando molte città e conoscendo popoli diversi.
Leggiamo alcune delle prime parole diell’Odissea tradotte rispettando il testo greco
“Di molti uomini vide le città e conobbe la mente
e molti dolori soffrì egli sul mare nell'animo suo,
cercando di salvare la propria vita e il ritorno dei compagni” (Odissea, I, 3-5)
La capacità di meravigliarsi
Platone deduce l’ attitudine alla filosofia di Teeteto dal fatto che questo giovane si meraviglia ( Teeteto, 155d.)
Aristotele sostiene che gli uomini hanno cominciato a fare filosofia, sia ora sia in origine, a causa della meraviglia: "dia; ga;r to; qaumavzein oiJ a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto filosofei'n". Dallo qaumavzein non nasce solo la filosofia ma anche la poesia e tutta la cultura. Aristotele precisa che il filovsofo~ è anche filovmuqo~ poiché il mito è composto da cose che suscitano meraviglia oJ ga;r mu'qo~ suvgkeitai ejk qaumasivwn (Metafisica, 982b).
Aggiungo che anche il filologo se vuole interessare chi lo legge deve aggiungere alla filologia la filosofia, il mito e la poesia per toccare la sfera emotiva del lettore oltre quella logica. Quello che colpisce la sfera emotiva diventa memorabile.
Il poeta avverte le analogie esistenti tra le situazioni.
Rimanendo agli insegnamenti di Aristotele, nella Poetica il filosofo scrive parole degne di memoria sul linguaggio poetico: "Levxew~ de; ajreth; safh' kai; mh; tapeinh;n ei\nai” (Poetica, 1458a, 18 ). Pregio del linguaggio è essere chiaro e non pedestre.
Il poeta è libero di variare rispetto all’usuale e deve saperlo fare. Il linguaggio si scosta dall’ordinario quando usa espressioni peregrine:“xeniko;n de; levgw glw'ttan kai; metafora;n kai; ejpevktasin kai; pa'n to; para; to; kuvrion” (1458a, 22 ), con peregrino intendo la glossa, la metafora, allungamento e ogni forma contraria all’usuale. Glossa è la locuzione non comune, quella di cui non tutti fanno uso (1457b, 4). Metafora è il trasferimento del nome da una cosa a un’altra: “metafora; dev ejstin ojnovmato~ ajllotrivou ejpiforav” (1457b, 7).
Chiarisco: per operare tale trasferimento è necessario cogliere le analogie.
Faccio un esempio: diffusa è la metafora nautica che equipara la turbolenza di una tempesta ai tumulti di una città.
Ve ne sono molte nella letteratura greca e in quella latina.
Faccio un solo esempio traendolo dall’Edipo re di Sofocle: nel prologo il sacerdote che descrive a Edipo le sofferenze dei cittadini di Tebe dice:
"la città infatti, come anche tu stesso vedi,troppo/già fluttua-saleuvei- e di sollevare il capo /dai gorghi del flutto insanguinato- foinivou savlou- non è più capace" (vv. 22-24).
Oggi non si può non pensare a Gaza.
Per cogliere queste analogie sono necessarie sensibilità e intelligenza che in greco si dice suvnesi~ ossia la capacità di collegare-sunivhmi metto insieme- cose e fatti lontani.
Nella Retorica (1404b) Aristotele fornisce altri suggerimenti preziosi sulla dizione scrivendo che"bisogna rendere peregrina, poiché gli uomini sono ammiratori delle cose lontane". Un'affermazione che trova diversi echi nel nostro Leopardi. Nello Zibaldone infatti leggiamo:"le parole lontano , antico , e simili sono poeticissime e piacevoli, perché destano idee vaste, e indefinite, e non determinabili e confuse"(1789). E, più avanti(4426):"il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago".
Bologna 2 marzo 2024 ore 18, 28. giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Del 45 a. C. E’ un dialogo in cinque libri, dedicato a Bruto, sul problema del sommo bene e del sommo male.
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