mercoledì 8 gennaio 2014

La scuola corrotta nel paese guasto. V capitolo


Monte delle Formiche


I giorni dell'almanaccare a oltranza. Il 19 marzo riappare Ifigenia. I sillogismi difettosi. La cena sul monte delle formiche. Le accuse reciproche e le difese. Lo sfizio. La montagna illuminata sopra la nebbia. Il ritorno nella pianura brumosa.

Per altri due giorni rimuginai il passato  cercandovi il significato da fare brillare nel mio romanzo. Speravo che dopo avere almanaccato a oltranza in solitudine, sarei giunto a una tale nausea della ruminazione mentale da sentirmi costretto ad agire. Ma non sapevo nemmeno in quale maniera. Aspettavo dei segni. Intanto però Ifigenia non si faceva viva.
Giovedì 19 marzo, finalmente, si avvicinò a scuola, nel cupo corridoio del piano terreno dell’edificio. Con aria seria fece:"Gianni, ho bisogno di parlarti". Sembrava volesse dirmi qualcosa di grave, di definitivo. Ne ebbi paura. Perciò risposi:"Non qui. Devo salire subito in classe. Dopo, se vuoi, andiamo da qualche parte. Dove preferisci tu". La portai a casa mia. Parlando a fatica, disse che aveva di nuovo il problema del maestro di danza.
"L'avevo superato ontologicamente - precisò usando l'avverbio spropositato - ma la sera che mi facesti la telefonata orrenda delle cugine, ho perduto di nuovo la stima per te, e ho sentito un'altra volta un’emozione per lui”.
"Perché vieni a dirmelo? – domandai - Non mi hai già lasciato? Non ti senti libera adesso di emozionarti con chi ti va ?".
"No, non è così semplice – rispose - Io provo ancora sentimenti forti per te;  per lui sento  un miscuglio di attrazione e ripugnanza: mi attira in quanto mi insegna a ballare, però mi dà anche la
nausea siccome è un gran narcisista, e un mezzo ignorante per giunta".  Pensai che proprio per questo le andava a genio, che era più adatto di me alla sua natura. Aveva smesso di parlare.  Mi guardava negli occhi, con fissità. Aspettava una risposta.
"Ho capito. – dissi -  E io che cosa posso fare per te?".
Ero seccato: la confessione significava che sabato sera, quando avevo presunto e ammirato la sua onestà, mi aveva mentito dicendo che il problema non era più il maestro Gennaro. Mi dava fastidio anche l'idea che il ballerino fosse, probabilmente, più bello di me. Infatti, se era incolto e narcisista, per quale altra ragione poteva piacerle?
Sembra un ragionamento inoppugnabile, ma non lo è: le cause per le quali ci va una persona non sono tutte di ordine razionale; uno ci può piacere per quello che evoca, in modo quasi indipendente
da quello che è. Il 15 giugno successivo, quando oramai Ifigenia e io ci eravamo perduti, vidi l'ex rivale passare davanti al Binghetti e salutare la mia ex amante; ebbene, allora, tra l'altro, potei constatare che quell'uomo non era più giovane né più prestante di me.

Intanto, il 19 marzo aggiunsi: "Ora devi decidere tu chi preferisci". Anche queste parole, dette sperando in una risposta consolatoria rispetto a quanto avevo difettosamente pensato, non sono
pienamente razionali, poiché Gennaro poteva non avere alcuna intenzione di amare la  ragazza, per quanto assai fresca e appetitosa. Poteva essere un omosessuale, o innamorato di un'altra, o avere
mille altri motivi per non volere  Ifigenia. Ma io la sopravvalutavo, siccome avevo bisogno di stimoli enormi da lei.
Dovevo credere che fosse in grado di ottenere qualsiasi cosa e persona potesse servirle o farle piacere. Allora, per essere scelto da quella ragazza, io dovevo mettermi  in condizione di offrirle la
cosa di massimo pregio su questa terra: un'opera d'arte, un grande romanzo capace di educare un popolo intero. Un altro ragionamento che non filava: Ifigenia non era d'accordo con me su quale fosse il valore più alto. Ora credo che per lei fosse il successo della mima e la misera pomposità dei quattrini in qualunque modo arraffati.
Quel giorno conclusi: "Deciditi. Io non sono senza difetti, ma terrò fede alle promesse di sabato notte. Adesso ti porto a casa tua, o altrove se preferisci. Non voglio condizionarti, né influenzarti. Questa storia va avanti da troppo tempo oramai. Quando avrai deciso, telefonami. Starò a casa". Rimasto solo, credetti che volesse tornare con me. Altrimenti non avrebbe chiesto il mio aiuto. Questo pensiero si rivelò razionale e reale in quanto venne confermato dai fatti.
Telefonò alle sette. Chiese se la portavo a cena sul monte delle formiche. Durante il tragitto ragionammo di scuola e di esami. Poi parlammo di noi e litigammo. Ifigenia sosteneva che la lunga
relazione con me le aveva fatto perdere spontaneità e naturalezza: troppi libri, troppo cervello, troppi arzigogoli. Ribattevo che il mio vivere, tutt'al contrario, tendeva all'equilibrio tra l'attività corporea e quella mentale, all'armonia della ragione egemone con l'istinto che va potenziato ma anche imbrigliato e diretto nella direzione decisa dal lovgo"[1].

Il mio studiare e pensare non erano eccessivi, dannosi e mortificanti poiché non ostacolavano l'accrescimento dell'intera persona, ma lo regolavano, lo facevano procedere metodicamente, cioé  per la strada[2] dell'ordine e dell'efficienza. Praticavo abbastanza esercizio corporeo per non sentirmi e non apparire un cieco ragno di biblioteca; anzi, se lei avesse avuto la forza e la voglia di partecipare alla mia ascesi somatica, l'avrei incrementata ancora, e svolta con gioia sempre
maggiore. La dura salita del monte della formiche, faticosa anche per un’automobile, io l’avevo scalata più volte in bicicletta e qualche volta anche a piedi, di corsa. Quando studiavo del resto lo facevo con apertura mentale sufficiente per non ingobbirmi sul misero telaio delle etimologie, o per non intisichirmi lo spirito limitandomi a ripetere teorie altrui, nozioni stantie, se non addirittura manuali e paradigmi al pari della massa dei miei colleghi. E anche nel campo della cultura e dell’educazione, se lei mi avesse dato fiducia, avrei fatto di meglio e di più.
Rispose che non mi accusava di sedentarismo fisico o intellettuale, ma di inibirle la naturalezza con il mio essere rigido, unilaterale e intollerante. Le chiesi di essere meno generica: "In sostanza che
cosa ti impedisco di fare?"
“Di andare a letto con quello” pensai prima che mi rispondesse.
Rispose: "Tu non mi sopporti, o per lo meno mi biasimi, quando sono agitata da sentimenti diversi, neanche necessariamente contraddittòri".
“Ci siamo” pensai.
"Adesso per esempio, mi stuzzica l'idea di un'avventura con Gennaro".
“Hai visto?”, mi dissi.
"Però io amo te – continuò - e tu purtroppo vuoi impormi un aut aut che..."
"Certo - la interruppi - che cosa pretendi? Di essere la compagna mia e l'amante di un altro? Di avere tutti i diritti su me e nessun dovere nei miei confronti, nemmeno quello basilare della fedeltà che anzi dovrebbe essere un dono gratuito, come l'amore? Tu vuoi che ti metta a disposizione tutte le mie energie mentali e corporee, mentre quanto di ottimo hai, la tua vitalità amorosa, dovrei dividerla con quel tanghero narcisista? Del resto, al di là del nostro caso particolare, io penso che una persona, se vuole combinare qualcosa di buono, debba fare delle scelte: individuare gli scopi
più o meno  importanti tra quelli per i quali non è sprovvisto di mezzi, quindi volerli con determinazione assoluta, e attuarli, evitando qualsiasi ostacolo possa impedirne il conseguimento. Per esempio, se decido di essere snello e forte, non mangio più del necessario, e mi tengo in esercizio; se voglio acculturarmi devo leggere libri buoni tutti i giorni, molte ore al giorno,  per anni; se mi preme essere lucido, non bevo superalcolici, sebbene lo veda fare nei film americani. E così via. Tornando a noi, come puoi credere che se andrai a letto con un secondo uomo, non distruggerai il nostro rapporto, qualunque esso sia, e il rispetto che l'uno ha ancora per l'altro?"
"Ma con Gennaro  sarebbe solo uno sfizio" replicò.
Allora dissi: "Ascolta, Ifigenia: la tua avventura per me sarebbe un brutto dolore siccome io per mia disgrazia sono innamorato di te".
“Invero per qualche mia aberrazione – pensai - e perché ho bisogno di questa tragedia per procedere, ma tu, come hanno detto giustamente diversi alunni, non vali il mio amore, non vali niente o nient'altro che la bella materia di cui sei fatta: 53 chili ben messi”.
"Adesso - ripresi a parlare - siamo completamente sfasati. Non capisco per quale ragione tu continui a cercarmi".
Non rispose. Durante il silenzio mi domandai: "Per non essere troppo geloso, come un uomo rustico[3] dovrei sopportare i capricci della mia non vereconda ragazza, se sono sporadici?" Mi risposi di no.
Quindi cambiammo argomento. Poco dopo terminammo la cena. Uscimmo dal locale nella notte fredda, quasi ancora invernale. La luna illuminava un mare di nebbia che fluttuava contro i fianchi
scoscesi del monte, cento metri sotto di noi. Sembrava di stare su un'isola alta in mezzo alle onde del mare davvero canuto.

Tornammo a Bologna senza parlare. Pensavo: "Non mi ama. Se può essere indecisa tra me e un'avventura, se parla tanto cinicamente, vuol dire che nel nostro rapporto trova soltanto un appoggio, un aiuto per l’ esame di abilitazione, e, tutt'al più, un affetto di cui pure ha bisogno per concludere senza gravi insuccessi questa fase della sua vita. Mi usa. Ora la porto a casa, poi non voglio vederla più". Ero così addolorato da dimenticare il mio romanzo e che tutta la pena proveniente da quella ragazza doveva giustificarsi contribuendo a formarlo. Di questo però si occupava il destino. Infatti, come fummo nei pressi di casa mia, mentre io ero intenzionato a procedere verso la sua, Ifigenia mi accarezzò e mi chiese se la facevo salire.
"Va bene", risposi. Appena entrati, mi abbracciò e mi strinse a sé, senza dire parola."Tutto istinto" pensai. Facemmo l'amore sul divano dello studio, in fretta e furia, senza spogliarci, quasi senza baciarci, siccome era tardi e anche perché c'era del marcio tra noi.
Subito dopo l'orgasmo semi strozzato, proposi: "Ricominciamo tutto da capo!". Non rispose.
Sentiva che non mi amava, ma pensava di dovermi sfruttare fino all'esame . Io credevo di amarla, e soffrivo di non essere contraccambiato, però mi era venuto in mente che avevo bisogno di penare ancora per raccontare meglio la nostra storia, emblematica di un'epoca guasta. Eravamo degni l'uno dell'altra. "Pure in primavera, la pianura padana è in mezzo alla nebbia buia che copre anche noi", pensai mentre la accompagnavo a casa.
Quando fummo arrivati disse: "Domani non vado a scuola; telefonami nell'intervallo".
"Va bene" risposi, e la salutai senza cordialità. Ce l'avevo con lei poiché sabato mi aveva mentito e aveva osato posporre il  nostro amore più che biennale a un'avventura, o peggio a uno "sfizio" da togliersi nel letto del ballerino Gennaro. Speravo di trovare presto la forza necessaria per non amarla più, per non sentirne il bisogno in nessun modo. Ifigenia infatti mi teneva in pugno, e non aveva intenzioni buone, anche se durante la cena aveva detto che a cinquant'anni sarei stato un grand'uomo. Peccato, aveva aggiunto, che allora lei non sarebbe stata più tanto giovane quanto io voglio la compagna mia.
Ora credo che una bella donna, una persona davvero bella, non diventa meno bella con il passare degli anni. E’ la mezza bellezza ingannevole, quella dell’asino, che va in malora passata la prima o la seconda freschezza. Lo vedo dalle fotografie di alcune mie ex diventate veri cessi di donne.
Lì per lì del resto risposi: "Never. Age cannot wither you. You make hungry where most you
satisfie"[4]. Volevo compiacerla e incoraggiarla a non buttare via le sue qualità.
Allora non potevo sapere che dopo qualche decennio Ifigenia sarebbe stata viva e reale solo in questo romanzo.

Giovanni ghiselli

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[1] E' il pensiero che informa la parola; la facoltà distintiva dell'uomo dai bruti,
"quae natura prona atque ventri oboedientia finxit", che la natura foggiò chini a
terra e schiavi del ventre, come scrive Sallustio all'inizio della monografia su
Catilina.
[2] In greco, oJdov~ (odós)
[3] Cfr. Ovidio: “Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx” (Amores, III,
4, 37), è davvero rozzo quello che una moglie adultera offende.
[4] Cfr. Shakespeare, Antonio e Cleopatra, II, 2, liberamente adattato alla
situazione: l'età non può appassirti. Tu affami dove più ti dai

1 commento:

  1. Il mio nome è la signora Rebecca, sono stata sposata con mio marito per 12 anni e siamo stati entrambi benedico con due figli, che vivono insieme da un amore, fino al 2014 quando le cose non era più il modo in cui era [Quando ha perso il suo lavoro]. Ma Quando poi ottiene un nuovo lavoro nove mesi dopo, ha dichiarato di dormire fuori della nostra casa coniugale. Solo per me trovare fuori que lui aveva una relazione con la signora lo que Casette il lavoro. poiché que giorno, quando l'ho chiamato, non sto più Raccolgo le mie chiamate e nulla dal momento che per venire fuori bene. Eppure i miei mariti ancora solo continuare a vedere la nuova fidanzata fino Dr nero un incantesimo per me, ora è con me e solo me e io sono felice con la mia famiglia, è possibile contattare il dottor Nero attraverso la sua e-mail Blackspiritualtemple@gmail.com

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