domenica 26 gennaio 2014

La scuola corrotta nel paese guasto. VIII capitolo, prima parte




Casablanca. Gli straccioni mentali, i pezzenti pazzi. I 4 aprile del 1979, del 1980 e del 1981. Lo scambio dei biglietti amorosi. Una gran confusione.

Il pomeriggio del primo  aprile 1981 aggiunsi un filo alla brevetela della mia vita studiando lo Zibaldone per fare lezione alla abilitanda. Dopo cena andammo a vedere Casablanca in un cineclub. La piccola sala era gremita di giovani che mi fecero venire l'angoscia. La maggior parte constava di straccioni mentali: gente  priva di lovgo"[1] e di quel pathos intelligente che è un elemento della ragione.

Quei beceri comunicavano a furia di spinte, di urli, di rutti, di parole e luoghi comuni triviali. Riaccompagnando Ifigenia a casa dissi: "Mi strazia vedere gioventù fatta di tali mostri tristi e violenti.
L'afasia iraconda di questi pezzenti pazzi prelude a tempi bui, forse a una tirannide dell'incultura e dell'intrallazzo, forse ai massacri feroci dell'intolleranza". Quella non capì nulla e rispose: "Gianni, non fare di nuovo tali discorsi vani; non dire parole così poco belle; rimani allegro come nei momenti migliori di questi ultimi giorni!".
Le promisi che avrei cercato di essere lieto. A casa però pensavo con tetra malinconia che il mio messaggio umanistico stava passando di moda: gli adolescenti avrebbero assistito con scetticismo e distacco sempre maggiore al mio lavoro educativo che coltiva le facoltà del logos e del pathos, mentre confuta quanti uomini e donne preferiscono vivere come le belve, proni e obbedienti al ventre sfacciato.
"Bombardati dalla propaganda antiumana che li vuole consumatori di prodotti inutili e brutti – riflettevo -, i ragazzi perdono interesse per la nobiltà dello spirito che mi preme insegnare. Temo di non riuscire, anche perché non ho una compagna capace e desiderosa di condividere il  mio impegno quotidiano per arrestare questa immensa degradazione morale e culturale. Ifigenia anzi vuole inserirsi nel sistema che nega o sperpera l'anima. Temo che voglia acchiappare il successo attraverso la scorciatoia dei vizi".

Mi sentivo minacciato dal caos e circondato dal nulla. Pensai ancora una volta che per conservare qualcosa dell'ordine aggredito dal guazzabuglio, dovevo scrivere un grande romanzo che rendesse significative per molti le vicende di quel periodo di trapasso da una cultura di altruismo a quella dell'ignoranza fondata sull'egoismo parassitario. Che ne parlassi a Ifigenia oramai non aveva più senso: quella era affamata di rinomanza, denaro e affermazione proprio nel mondo guasto  del quale io volevo denunciare il marciume.
Il 4 aprile temevo la pioggia. Due anni prima, la ragazza mi aveva insegnato la credenza popolare che se piove quel giorno poi il tempo rimane cattivo per mesi: si infradicia tutta la primavera e una parte dell'estate. Nel 1979 piovve. La sera verso il tramonto il cielo si oscurò a occidente; allora promisi a Ifigenia che con la mia forza mentale avrei tenuto in rispetto fino a mezzanotte e un
minuto la canaglia ringhiante delle nuvole nere. Ma alle dieci la giovane donna telefonò dicendo che suo marito sapeva tutto di noi; allora la mente, terrorizzata dalla prospettiva di un legame contrario alla natura mia, e presoffrendo i due anni venturi, crollò: le nubi dilagarono, si squarciarono, e su Bologna imperversò un diluvio notturno.
Il 4 aprile del 1980 eravamo  a Padova, ospiti di Stefania che faceva una delle sue scene: beveva, piangeva, rideva, gridava. Una gran confusione. Piovve a dirotto. L'aria fu irritata dal tuono e da
una convulsione di venti selvaggi. Balenavano le spire infuocate dei fulmini, e i turbini facevano girare la polvere[2] . In effetti le primavere seguenti furono mézze.
Il 4 aprile del 1981 lei era andata a Verona, in gita scolastica con i suoi allievi. Il cielo si oscurò ma non piovve. "Presagio di estate felice", pensai. Il 6 arrivò una cartolina. C'era scritta una banalità che mi fece piacere: "Mi manchi tanto, ci vediamo  tra poche ore. Ifigenia". Prima di partire era passata da casa mia, senza trovarmi, siccome ero a Pesaro. Le avevo lasciato un biglietto: "Cara cocca, scusa se vado via così inopinatato e misterioso, ma la zia Tina, come Geronimo, è impazzita di nuovo[3] . Ieri ho pensato ogni bene di te. Se ne hai voglia, allenati con la bicicletta:  così, presto ci
andremo insieme. Ciao amore. Gianni.
Al ritorno avevo trovato un messaggio suo: "Caro amore mio, ti ringrazio di tutto, della tua ospitalità e del resto. Mi dispiace moltissimo non vederti questa sera. Comunque domani, se è una
bella giornata, andiamo a scuola in bici, oppure ci troviamo dai Greci. Oggi mi sei mancato molto, molto, ma con tranquillità. Sono tanto felice di amarti così, e voglio darti il meglio di me stessa. Ti adoro tesoro. Ciao. Ifigenia ".
Da queste parole sembra che ci amassimo, che ci volessimo bene, che ne fossimo sicuri. Invece una gran confusione. "L'eco del tuono mugghia, le spire del fulmine balenano ardenti, i turbini fanno girare la polvere, le onde del mare con aspro frastuono confondono i cammini degli astri. O memoria, o culto della mia donna, vedi che, a torto o a ragione, io soffro"[4] .

giovanni ghiselli
Il blog   http://giovannighiselli.blogspot.it/   è arrivato a  129305 lettori
Il 31 gennaio questo blog compirà un anno. Gli auguro di continuare così.


[1] Pensiero, e parola espressiva di pensiero.
[2] Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, v. 1083-1085.
[3] Cfr. Hieronymo’s mad again, T. S. Eliot, La terra desolata, v. 431, che in nota
rimanda a T. Kyd, Spanish tragedy.
[4] Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, vv. 1091-1093.

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