Heinrich Friedrich Füger, Prometeo ruba il fuoco |
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Non mancano del
resto espressioni di simpatia indirizzate al Titano ribelle.
Vediamone alcune:
Nel
dialogo Prometeo o il Caucaso di
Luciano (125 - 185 d. C.) il Titano si difende davanti a Ermes. Dice che il suo
furto fa parte degli scherzi che rallegrano i simposi i quali altrimenti sono
gravati da ubriachezza, sazietà, silenzio. Lo sdegno di Zeus mostra molta
piccineria e volgarità di sentimenti. Prometeo rivendica il merito di avere
plasmato gli uomini che abbelliscono la terra e onorano gli dèi. Delle donne,
parimenti fatte da Prometeo, gli dèi si innamorano e per incontrarle scendono
sulla terra trasformati in tori, cigni, satiri. Il fuoco poi è usato per i
sacrifici agli dèi.
Il Goethe
stürmeriano rappresenta Prometeo che dice: "Io non conosco al mondo/nulla di più meschino di voi, o dèi/…Io
renderti onore? E perché?/Hai mai lenito i dolori/di me ch'ero afflitto?/
Hai mai calmato le lacrime/di me ch'ero in angoscia?/…Io sto qui e creo
uomini/a mia immagine e somiglianza,/una stirpe simile a me,/fatta per soffrire
e per piangere,/per godere e gioire/e non curarsi di te,/come me!"[1].
Settembrini, il
letterato illuminista di La Montagna Incantata
[2]
di Thomas Mann, esalta la figura di Prometeo come l'archetipo
dell'umanista:"Che cos'era però in fondo l'umanesimo? Nient'altro che
amore verso gli uomini, quindi: politica e ribellione contro tutto ciò che
macchiava e offendeva l'idea dell'uomo. Gli si era rimproverato un eccessivo
rispetto della forma, ma anche la bella forma era da lui curata per amore della
dignità umana, in splendido contrasto col medioevo che non solo era caduto
nell'abisso della inimicizia verso gli uomini e nella superstizione, ma nella
più vergognosa trascuratezza di forma. Fin dal principio egli aveva parteggiato
e combattuto per la causa dell'umanità, per i suoi interessi terreni,
proclamando sacra la libertà di pensiero, la gioia della vita, e pretendendo
che il cielo fosse lasciato agli uccelli. Prometeo! Quello era stato il primo
umanista, identico a quel Satana cui Carducci aveva dedicato un inno"
(p.176 I vol.).
Più avanti
Settembrini santifica anche l’ u{bri~ di
Prometeo in quanto amica dell'umanità e favorevole alla ragione:"Ma
l'"Hybris" della ragione contro le oscure potenze è altissima
umanità, e se chiama su di sé la vendetta di dèi invidiosi...questa è sempre
una rovina onorata. Anche l'azione di Prometeo era "Hybris" e il suo
tormento sulla roccia scita noi lo consideriamo il martirio più santo. Ma come
siamo invece di fronte all'altra "Hybris", a quella contraria alla
ragione, all'"Hybris" della inimicizia contro la schiatta
umana?".
Il percorso contiene
anche un’analisi particolareggiata dei versi cruciali del dramma di Eschilo che
si conclude con una tempesta, correlativo oggettivo dell’anima sconvolta di
Prometeo il quale viene inabissato nel caos che aveva cercato di ripristinare
contro l’ordine olimpico stabilito da Zeus.
Fine sintesi
Prometeo: il falso benefattore tecnologico.
Nella
Teogonia,
Esiodo racconta che Zeus si era sdegnato poiché Prometeo[3] aveva cercato di ingannarlo due volte:
la prima dividendo tra gli uomini e gli dèi un bue di notevole mole in maniera
iniqua; la seconda restituendo agli uomini il fuoco che il dio supremo aveva
tolto agli uomini, per rappresaglia nei confronti della benevolenza di Prometeo.
Allora Zeus, in cambio del fuoco preparò per loro un malanno ( " aujti;ka d j ajnti;
puro;" teu'xen kako;n ajnqrwvpoisi ", v. 570). Questo male fu
plasmato da Efesto con la terra: era simile ad una vereconda fanciulla che
Atena adornò con un cinto, una veste, un velo, serti di fiori e una corona
d'oro dove lo stesso Ambidestro aveva cesellato figure di fiere terribili,
quanti ne nutre la terra ed il mare (v. 582). Una prefigurazione delle
leonesse, le tigri e le scille in cui vengono trasfigurate Clitennestre e
Medee. Comunque questa creatura divenne uno splendido malanno ("kalo;n kakovn",
v. 585) per gli uomini, un inganno scosceso (" dovlon aijpuvn",
v. 589) e senza rimedio. Ecco già delineato il "popolo nemico"[4] da cui
derivano a quello dei maschi malanno e sciagura ("ph'ma",
v.592).
Nelle
Opere e giorni Esiodo torna sul mito
di Prometeo e di Pandora: Zeus, sdegnato
per l’inganno di Prometeo, dai tortuosi pensieri, versò sugli uomini
lacrimevoli affanni e nascose il fuoco (kruvye de; pu'r[5], v. 50), poi, siccome il figlio di Giapeto
lo rubò di nuovo celandolo ejn koivlw/ navrqhki (v. 52), in una verga cava, l’adunatore di nembi, adirato, aggiunse
un’altra sciagura e disse:
“Figlio di Giapeto, che più di tutti conosci pensieri maliziosi,
“Figlio di Giapeto, che più di tutti conosci pensieri maliziosi,
tu
gioisci di avere rubato il fuoco e di avere ingannato il mio volere,
grande
sciagura per te e per gli uomini futuri.
io
a quelli in cambio del fuoco darò un malanno, del quale tutti
godano nella foga della passione, circondando
di affetto il proprio malanno”.
Così
disse; poi scoppiò a ridere il padre degli uomini e degli dèi.
E
comandò all’inclito Efesto di mescolare al più presto
terra
con acqua, e di metterci voce e vigore
di
essere umano, e di renderla simile alle dèe immortali nell’aspetto:
un
bella, amabile, forma di ragazza; poi ad Atena
ordinò
di insegnarle le opere: a tessere la tela lavorata con arte;
e
all’aurea Afrodite di versare la grazia attorno al suo capo
e
il desiderio doloroso e gli affanni che divorano le membra;
e
inoltre ordinava a Ermes il messaggero Argifonte
di metterci dentro una mente di cagna e un
carattere scaltro (Opere, vv. 54 - 68).
Nel Prometeo incatenato di Eschilo il Titano
afferma di avere escogitato le tevcnai (v.
477), che fanno partire la civilizzazione, anzi:"pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" (v.
507), tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo.
"Questo
sapere è sempre una conoscenza pratica: è il sapere che ha creato la civiltà,
le tevcnai. Egli
ha insegnato loro i diversi mestieri, inoltre l'astronomia, i numeri e le
lettere; ma non per allargare la conoscenza del mondo nel senso degli antichi
ionici: al contrario, questo sapere è orientato, alla maniera attica, verso le tevcnai, verso
uno scopo pratico e un'utilità… il fuoco è il simbolo delle tevcnai, dell'attività
pratica"[6].
“La
tecnica, infatti, non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre
scenari di salvezza, non redime, non svela la verità: la tecnica funziona. E siccome il suo funzionamento
diventa planetario, finiscono sullo sfondo, incerti nei loro contorni corrosi
dal nichilismo, i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità,
senso scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia di
cui si era nutrita l’età pre - tecnologica, e che ora, nell’età della tecnica,
dovranno essere riconsiderati, dismessi, o rifondati dalle radici”[7].
Sono andato a caccia - racconta
il Titano - della sorgente rubata del fuoco (phgh;n klopaivan) da mettere nel cavo di una
canna, "h} didavskalo" tevcnh" pavsh"
brotoi'" pevfhne kai; mevga" povro" (vv. 109 - 111), ed
essa, la
phghv, si è rivelata maestra e
grande mezzo di ogni tecnica per tutti i mortali.
Prometeo
però deve riconoscere: ho infuso in loro[8]
cieche speranze ("tufla;" ejn aujtoi'"
ejlpivda" katw/vkisa", v.250).
Egli è divinità solo apparentemente benefica in
quanto portatore di conoscenze pratiche fuorvianti:" qnhtou;" g j e[pausa mh; prodevrkesqai movron",
ho fatto smettere ai mortali di prevedere il destino"(v.248).
Prometeo
ha reso ciechi gli uomini riguardo al futuro.
"Wilamowitz
ne ha tratto la conclusione (Aisch. Interpr. , p. 149) che Eschilo abbia
accostato, senza coordinarli, due differenti miti di Prometeo, uno dell'amico
degli uomini, l'altro del demone cattivo"[9].
Prometeo
dunque potrebbe essere una figura ambigua o polivalente, come altre del mito:
Eracle p. e., o Saturno o Dioniso..
Snell
invece sostiene che "Prometeo ha suddiviso il suo dare e il suo togliere
in modo che gli uomini non avessero problemi. Essi potevano raggiungere la
conoscenza delle tevcnai, e ciò dava loro la soddisfazione del lavoro
quotidiano; ma invece della conoscenza del proprio destino e della propria
morte, radicò in loro le "cieche speranze" come un grande
"vantaggio" [10].
La
cecità come vantaggio è affermata dall’ Edipo di Sofocle (Edipo re, vv. 1334 - 1335) e da un personaggio di Pirandello nella
novella Va bene.
In
effetti il coro delle Oceanine commenta le cieche speranze affermando:"meg j wjfevlhma tou't j ejdwrhvsw brotoi'"" (v. 251), hai donato ai mortali questo
grande vantaggio.
Con
analoga intenzione il Titano dirà più tardi a Io che è meglio per lei non
apprendere il futuro:" to; mh; maqei'n soi krei'sson h] maqei'n tavde", v. 624.
Non sempre sapere è bene.
Tale è la convizione di Tiresia
nell' Edipo re:"Ahi,ahi, sapere come è terribile ( fronei'n wJ" deinovn)
quando non giova/ a chi sa! Queste cose infatti, pur sapendole bene io/le ho
distrutte; ché altrimenti non sarei venuto qua (vv. 316 - 318).
La "cognizione del
vero" afferma Leopardi" non sarà mai sorgente di felicità, né oggi;
né era allora quando l'uomo primitivo se la passava in solitudine…" (Zibaldone,
679).
Il sogno di un uomo ridicolo di Dostoevskij, un
"racconto fantastico" del 1877, è un sogno dell'età dell'oro che
smonta il sapere e la scienza con i quali gli uomini prostrano e inaridiscono
la vita.
Gli uomini di quell'età "non ambivano a nulla, ma erano sereni, non aspiravano alla conoscenza della vita
così come vi aspiriamo noi, perché la loro vita era totale. Il loro
sapere era più profondo e più alto della nostra scienza, dal momento che la
nostra scienza tenta di spiegare cos'è la vita…essi erano in grado di vivere
anche senza la scienza…essi parlavano con gli alberi…Guardavano così tutta la
natura che li circondava e gli animali, i quali vivevano con loro
pacificamente, senza aggredirli, poiché li amavano, sopraffatti dal loro stesso
amore".
Prometeo sopporta di sapere il suo destino senza venirne schiacciato, ma sa che gli uomini non sarebbero capaci di reggere una simile tensione (v. 514): “tevcnh d j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/”, la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.
Prometeo sopporta di sapere il suo destino senza venirne schiacciato, ma sa che gli uomini non sarebbero capaci di reggere una simile tensione (v. 514): “tevcnh d j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/”, la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.
Cfr. a questo
proposito Curzio Rufo: “Ceterum,
efficacior omni arte, necessitas non
usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”( Historiae
Alexandri Magni, IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì loro non
solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono i Tirii che si difendono
dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a . C.
Avanzando nella
Sogdiana Alessandro si trovò in difficoltà per il freddo e incendiò un bosco: “efficacior in adversis necessitas quam
ratio, frigoris remedium invenit” (8, 4, 11). Ancora la necessità che
prevale sulla ratio (cfr. 7, 7, 10: necessitas ante rationem est).
continua
[1] Vv. 13 - 14, 38
- 42, 52 - 58 dell'Inno Prometeo del
1774 (l'anno del Werther) trad. it.
di G. Baioni
[2] Der Zauberberg, Del 1924.
[3] Quello di Prometeo è "uno
dei miti antropologici...che rendono ragione della condizione umana - condizione
ambigua, piena di contrasti, in cui gli elementi positivi sono inscindibili da
quelli negativi e ogni luce ha la sua ombra, giacché la felicità implica
l'infelicità, l'abbondanza il duro lavoro, la nascita la morte, l'uomo la
donna, e l'intelligenza e il sapere si uniscono, nei mortali, alla stupidità e
all'imprevidenza. Questo tipo di discorso mitico sembra obbedire a una logica
che si potrebbe definire, in contrasto con la logica dell'identità, come la
logica dell'ambiguità, dell'opposizione complementare, dell'oscillazione tra
poli contrastanti"(J. P. Vernant, Tra
mito e politica,pp. 30 - 31.
[4]Cfr. C. Pavese:"Sono un
popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco. Il mestiere di vivere , 9 settembre, 1946.
[5] Cfr. Virgilio, Georgica I, 131: ignemque removit.
[6] B. Snell, Eschilo e l'azione
drammatica, p. 121.
[7] U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i
giovani, p. 21. Si veda a questo proposito U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della
tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999.
[8] Negli uomini.
[9] B. Snell, Eschilo e l'azione drammatica,
p. 122.
[10] B. Snell, op e p. citate sopra.
[11] Cfr. Antigone, vv. 332 - 333.