La storiografia,
a sua volta, come ha rilevato Giambattista Vico, nasce dalla poesia.
"La storia romana si cominciò a
scrivere da' poeti", scrive, e inoltre, utilizzando un passo di Strabone
(I, 2, 6) sulla continuità tra l'epica ed Ecateo: "prima d'Erodoto, anzi
prima d'Ecateo milesio, tutta la storia de' popoli della Grecia essere stata
scritta da' lor poeti"[1].
Per la
Grecia si pensi
a Omero, a Tirteo, a Solone; per i Romani a Nevio ed Ennio.
Un giudizio apprezzato anche da Pavese: "Ciò
che si trova di grande in Vico - oltre il noto - è quel carnale senso che la poesia
nasce da tutta la vita storica; inseparabile da religione, politica, economia;
"popolarescamente" vissuta da tutto un popolo prima di diventare mito
stilizzato, forma mentale di tutta una cultura"[2].
Erodoto non esclude il mito dalla sua
storia ricca di racconti fiabeschi; nemmeno Tito Livio il quale nella Praefatio (11) celebra il passato remoto come il
tempo della grandezza: "nulla umquam res publica nec maior nec sanctior
nec bonis exemplis ditior fuit ",
mai nessuno Stato fu più grande né più virtuoso né più ricco di buoni esempi.
Lo storiografo di Padova preferisce i fatti antichi al punto
che, nel raccontarli, il suo animo diviene, misteriosamente, antico:"Ceterum
et mihi vetustas res scribenti nescio quo pacto anticus fit animus "(XLIII, 13, 2).
I poeti del resto hanno continuato a
scrivere di storia e di politica anche dopo la nascita della storiografia.
Ricordo la praetextae, tragedie romane
nazionali, le quali drammatizzano fatti storici, come, per esempio, il Brutus del pesarese Lucio Accio, vissuto tra
il 170 e il 90 o l’Ambracia di
Ennio che celebrò la spedizione vittoriosa
di Marco Fulvio Nobiliore contro gli Etòli di Ambracia, sconfitti dopo un lungo
assedio (189 a .
C.). Echi di questo fatto militare possono trovarsi anche nell’Amphitruo di Plauto.
La storiografia - sostiene Diodoro - oltre ad
essere profh'ti"
th'" ajlhqeiva" è anche "madrepatria della filosofia
(mhtrovpoli"
th'" filosofiva")".
Diodoro
aggiunge che bisogna supporre (uJpolhptevon) che la storia abbia
il potere di attrezzare i caratteri per la kalokajgaqiva. La storia ha
immortalato le qualità degli eroi.
La “storia monumentale” di Plutarco
fornisce modelli e contromodelli
La meraviglia favorisce
l'apprendimento, in quanto tiene desta l'attenzione.
Anche il giovane scolaro prova un
interesse maggiore per il maestro se questo è capace di suscitare il suo
stupore colpendone la sfera emotiva.
Insomma: la cultura non può ridursi a
formule; essa è fatta di idee e anche di emotività.
Allora, per suscitare stupore, diamo
spazio all’inopinato, riportando il giudizio sui filosofi, di Musil uno scrittore
grande e autorevole che suscita meraviglia per quanto è malevolo: “Egli non era
un filosofo. I filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e
perciò si impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema”[3].
Leopardi sostiene addirittura che la
filosofia causò la fine della grandezza di Roma: “Or bene che giovò a Roma la
diffusione, l’introduzione della virtù filosofica, e per principii? La
distruzione della virtù operativa ed efficace, e quindi della grandezza di Roma
(11 Dicembre 1821)”[4].
Ma forse è vero piuttosto che l’epoca
moderna è troppo vecchia e disincantata per provare alcuna forma di meraviglia
e di incanto: “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel
tutto”[5].
Secondo Nietzsche la filosofia è nociva
solo agli infermi.
“Se mai essa si è manifestata
soccorrevole, salvifera, preservatrice, è stato tra i sani, i malati li ha
certamente resi ancora più malati”[6].
Si può pensare
all’epigrafe funeraria dettata da Trimalchione il quale, dopo il testamento, dà disposizioni al lapidarius Abinna per il proprio monumento
funebre che deve essere, come per Seneca , l'immagine della sua vita,
un'immagine capovolta rispetto a quella del filosofo.
La vicenda terrena
di Trimalchione viene riassunta in questa inscriptio
satis idonea, iscrizione abbastanza adatta :"C. Pompeius Trimalchio
Maecenetianus hic requiescit. huic seviratus absenti decretus est. cum posset
in omnibus decuriis Romae esse, tamen noluit. pius, fortis, fidelis, ex parvo
crevit, sestertium reliquit trecenties, nec umquam philosophum audivit. vale:
et tu"( 71, 12), Caio Pompeo Trimalchione Mecenaziano, qui riposa. Gli
fu decretato l'incarico di seviro in sua assenza. Pur potendo essere a Roma in
tutte le decurie, non volle. Pio, forte, fedele, venne su dal nulla, lasciò
trenta milioni di sesterzi, e non
ascoltò mai un filosofo. Stai bene: anche tu.
Torniamo a Nietzsche. Altrettanto
benefica, per i sani, è la poesia che
del resto non esclude la visione dell’orrore e dell’assurdità dell’esistenza,
ma la presuppone. La sanità è un risanamento operato dalle potenze artistiche
dell’apollineo e del dionisiaco. Nietzsche ha scoperto dietro il volto olimpico
“quell’ orribile miscuglio di voluttà e crudeltà”[7] che è il dionisiaco barbarico.
“Con il coro trova consolazione il Greco
profondo, dotato in modo unico per la sofferenza più delicata e più aspra, che
ha contemplato con sguardo tagliente il terribile processo di distruzione della
cosiddetta storia universale, come pure la crudeltà della natura, e corre il
pericolo di anelare a una buddistica negazione della volontà. Lo salva l’arte,
e mediante l’arte lo salva a sé la vita…In questo senso l’uomo dionisiaco
assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta uno sguardo vero
nell’essenza delle cose, hanno conosciuto,
e provano nausea di fronte all’agire; giacché la loro azione non può mutare
nulla nell’essenza eterna delle cose, ed essi sentono come ridicolo o infame
che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che è fuori dai cardini [8].
La conoscenza uccide l'azione, per agire occorre essere avvolti
nell'illusione"[9].
L'arte però ci salva dalla negazione della
volontà:"Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina,
come maga che salva e risana, l'arte; soltanto lei è capace di volgere
quei pensieri di disgusto per l’atrocità o l’assurdità dell’esistenza in
rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il sublime come repressione artistica
dell’atrocità e il comico come sfogo artistico del disgusto per
l’assurdo. Il coro dei satiri del
ditirambo, ecco l'azione salvatrice dell'arte greca "[10].
continua
[1] La
Scienza Nuova , Pruove filologiche, III e VIII.
[2] Il mestiere di
vivere , 30 agosto 1938.
[3] Musil, L’uomo senza qualità, p.243.
[4] Zibaldone, 2246.
[5] Leopardi, Zibaldone, 527.
[6] La
filosofia nell’età tragica dei greci, p.
35.
[7] La nascita
della tragedia, p. 28.
[8] "The time is out of joint"
(Amleto, I, 5), il
tempo si è disarticolato, dice il principe di Danimarca dopo avere visto e
sentito lo spettro del padre che chiede vendetta del turpe e snaturato
assassinio Così pure il mondo del Thyestes di Seneca è uscito dai cardini. Il
retrocedere del sole suggerisce queste
parole al quarto coro atterrito:"Nos e tanto visi populo/digni,
premeret quos everso/cardine mundus;/in nos aetas ultima venit./O
nos dura sorte creatos,/seu perdidimus solem miseri,/sive expulimus!"
(vv. 876-882), noi tra tanta gente siamo sembrati degni di essere schiacciati
dal mondo dopo il rovescio dei cardini; l'ultima era è arrivata su di noi. O
creati con dura sorte, sia che abbiamo perduto il sole, disgraziati, sia che
l'abbiamo cacciato (ndr).
[9] La nascita
della tragedia, p. 55.
[10] La nascita
della tragedia, p. 56.
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