giovedì 17 novembre 2016

Filosofia e Poesia. Lezioni in Mediateca IV


La storiografia, a sua volta, come ha rilevato Giambattista Vico, nasce dalla poesia.
"La storia romana si cominciò a scrivere da' poeti", scrive, e inoltre, utilizzando un passo di Strabone (I, 2, 6) sulla continuità tra l'epica ed Ecateo: "prima d'Erodoto, anzi prima d'Ecateo milesio, tutta la storia de' popoli della Grecia essere stata scritta da' lor poeti"[1]. Per la Grecia si pensi a Omero, a Tirteo, a Solone; per i Romani a Nevio ed Ennio.  
Un giudizio  apprezzato anche da Pavese: "Ciò che si trova di grande in Vico - oltre il noto - è quel carnale senso che la poesia nasce da tutta la vita storica; inseparabile da religione, politica, economia; "popolarescamente" vissuta da tutto un popolo prima di diventare mito stilizzato, forma mentale di tutta una cultura"[2].

Erodoto non esclude il mito dalla sua storia ricca di racconti fiabeschi; nemmeno Tito Livio il quale nella Praefatio (11) celebra il passato remoto come il tempo della grandezza: "nulla umquam res publica nec maior nec sanctior nec bonis exemplis ditior fuit ", mai nessuno Stato fu più grande né più virtuoso né più ricco di buoni esempi. 
Lo storiografo di Padova  preferisce i fatti antichi al punto che, nel raccontarli, il suo animo diviene, misteriosamente, antico:"Ceterum et mihi vetustas res scribenti nescio quo pacto anticus fit animus "(XLIII, 13, 2).
I poeti del resto hanno continuato a scrivere di storia e di politica anche dopo la nascita della storiografia. 
Ricordo la praetextae, tragedie romane nazionali, le quali drammatizzano fatti storici, come, per esempio, il Brutus del pesarese Lucio Accio, vissuto tra il 170 e il 90 o l’Ambracia di Ennio che celebrò la spedizione  vittoriosa di Marco Fulvio Nobiliore contro gli Etòli di Ambracia, sconfitti dopo un lungo assedio (189 a. C.). Echi di questo fatto militare possono trovarsi anche nell’Amphitruo di Plauto.
La storiografia - sostiene Diodoro - oltre ad essere profh'ti" th'" ajlhqeiva" è anche "madrepatria della filosofia (mhtrovpoli" th'" filosofiva")".

Diodoro aggiunge che bisogna supporre (uJpolhptevon) che la storia abbia il potere di attrezzare i caratteri per la kalokajgaqiva. La storia ha immortalato le qualità degli eroi.

 La  “storia monumentale” di Plutarco fornisce modelli e contromodelli


 La meraviglia favorisce l'apprendimento, in quanto tiene desta  l'attenzione. 
Anche il giovane scolaro prova un interesse maggiore per il maestro se questo è capace di suscitare il suo stupore colpendone la sfera emotiva. 
Insomma: la cultura non può ridursi a formule; essa è fatta di idee e anche di emotività.
 Allora, per suscitare stupore, diamo spazio all’inopinato, riportando il giudizio  sui filosofi, di Musil uno scrittore grande e autorevole che suscita meraviglia per quanto è malevolo: “Egli non era un filosofo. I filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò si impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema”[3].

Leopardi sostiene addirittura che la filosofia causò la fine della grandezza di Roma: “Or bene che giovò a Roma la diffusione, l’introduzione della virtù filosofica, e per principii? La distruzione della virtù operativa ed efficace, e quindi della grandezza di Roma (11 Dicembre 1821)”[4].
Ma forse è vero piuttosto che l’epoca moderna è troppo vecchia e disincantata per provare alcuna forma di meraviglia e di incanto: “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto”[5].

Secondo Nietzsche la filosofia è nociva solo agli infermi.
“Se mai essa si è manifestata soccorrevole, salvifera, preservatrice, è stato tra i sani, i malati li ha certamente resi ancora più malati”[6].
Si può pensare all’epigrafe funeraria dettata da Trimalchione il  quale, dopo il testamento, dà disposizioni al lapidarius Abinna per il proprio monumento funebre che deve essere, come per Seneca , l'immagine della sua vita, un'immagine capovolta rispetto a quella del filosofo. 
La vicenda terrena di Trimalchione viene riassunta in questa inscriptio satis idonea, iscrizione abbastanza adatta :"C. Pompeius Trimalchio Maecenetianus hic requiescit. huic seviratus absenti decretus est. cum posset in omnibus decuriis Romae esse, tamen noluit. pius, fortis, fidelis, ex parvo crevit, sestertium reliquit trecenties, nec umquam philosophum audivit. vale: et tu"( 71, 12), Caio Pompeo Trimalchione Mecenaziano, qui riposa. Gli fu decretato l'incarico di seviro in sua assenza. Pur potendo essere a Roma in tutte le decurie, non volle. Pio, forte, fedele, venne su dal nulla, lasciò trenta milioni di sesterzi, e non ascoltò mai un filosofo. Stai bene: anche tu. 

Torniamo a Nietzsche. Altrettanto benefica, per i sani, è la poesia  che del resto non esclude la visione dell’orrore e dell’assurdità dell’esistenza, ma la presuppone. La sanità è un risanamento operato dalle potenze artistiche dell’apollineo e del dionisiaco. Nietzsche ha scoperto dietro il volto olimpico “quell’ orribile miscuglio di voluttà e crudeltà”[7] che è il dionisiaco barbarico. 
“Con il coro trova consolazione il Greco profondo, dotato in modo unico per la sofferenza più delicata e più aspra, che ha contemplato con sguardo tagliente il terribile processo di distruzione della cosiddetta storia universale, come pure la crudeltà della natura, e corre il pericolo di anelare a una buddistica negazione della volontà. Lo salva l’arte, e mediante l’arte lo salva a sé la vita…In questo senso l’uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta uno sguardo vero nell’essenza delle cose, hanno conosciuto, e provano nausea di fronte all’agire; giacché la loro azione non può mutare nulla nell’essenza eterna delle cose, ed essi sentono come ridicolo o infame che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che è fuori dai cardini [8]. La conoscenza uccide l'azione, per agire occorre essere avvolti nell'illusione"[9].
L'arte però ci salva dalla negazione della volontà:"Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina, come maga che salva e risana, l'arte; soltanto lei è capace di volgere quei pensieri di disgusto per l’atrocità o l’assurdità dell’esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il sublime come repressione artistica dell’atrocità e il comico come sfogo artistico del disgusto per l’assurdo. Il coro dei satiri del ditirambo, ecco l'azione salvatrice dell'arte greca "[10].    


continua


[1] La Scienza Nuova , Pruove filologiche, III e VIII.
[2] Il mestiere di vivere , 30 agosto 1938.
[3] Musil, L’uomo senza qualità, p.243.
[4] Zibaldone, 2246.
[5] Leopardi, Zibaldone, 527.
[6] La filosofia nell’età tragica dei greci, p. 35.
[7] La nascita della tragedia, p. 28.
[8] "The time is out of joint" (Amleto, I, 5),  il tempo si è disarticolato, dice il principe di Danimarca dopo avere visto e sentito lo spettro del padre che chiede vendetta del turpe e snaturato assassinio Così pure il mondo del Thyestes di Seneca è uscito dai cardini. Il retrocedere del sole suggerisce  queste parole al quarto coro atterrito:"Nos e tanto visi populo/digni, premeret quos everso/cardine mundus;/in nos aetas ultima venit./O nos dura sorte creatos,/seu perdidimus solem miseri,/sive expulimus!" (vv. 876-882), noi tra tanta gente siamo sembrati degni di essere schiacciati dal mondo dopo il rovescio dei cardini; l'ultima era è arrivata su di noi. O creati con dura sorte, sia che abbiamo perduto il sole, disgraziati, sia che l'abbiamo cacciato (ndr). 
[9] La nascita della tragedia, p. 55.
[10] La nascita della tragedia, p. 56.

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