NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 30 maggio 2018

L’"Ulisse" di Joyce. 2

La colazione sull’erba

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Lo scandalo della verità


I quadri di Manet suscitarono le escandescenze dei visitatori del Salon parigino nel 1863
Per questo motivo, quando il Salon nel 1863 gli rifiutò la Colazione sull'erba ed altri lavori, egli non fu molto sorpreso. Egli, tuttavia, non fu l'unica vittima dell'ostracismo della giuria, che non aveva accettato numerosissime altre opere. Per questo motivo Napoleone III decise di istituire un Salon des Refusés [Salon dei Rifiutati], così da consentire agli artisti non presenti nel Salon ufficiale di esporre comunque le loro opere. Manet, forte dell'avallo imperiale, decise di non lasciarsi sfuggire quest'opportunità e presso il Salon des Refusés espose la Colazione sull'erba.
La Colazione sull'erba fu al centro di uno dei più clamorosi scandali artistici dell'intera storia dell'arte. Gli animi benpensanti della borghesia di Parigi si indignarono rumorosamente di fronte alla donna nuda dipinta da Manet, e tacciarono l'intero quadro di una scandalosa «indecenza». Il nudo non solo era oggetto di studio nelle Accademie di tutto il mondo, ma era anche uno dei temi più accettati e consueti dell'intera storia dell'arte: gli artisti che si sono confrontati con il nudo, infatti, sono innumerevoli, da Sandro Botticelli (Nascita di Venere, 1482-1485 circa) a Diego Velázquez (Venere Rokeby, 1648 circa), passando per il veneratissimo Jean-Auguste-Dominique Ingres. Anche le due fonti iconografiche utilizzate dal Manet, il Concerto campestre e il Giudizio di Paride, raffiguravano nudi.
Lo scandalo dunque non nasceva dalla scelta del tema, bensì dal fatto che la presenza della giovinetta nuda accanto ai due uomini vestiti non fosse giustificata da alcun pretesto mitologico, storico o letterario. La donna raffigurata da Manet non è una ninfa, o un personaggio mitologico, bensì è clamorosamen te una parigina del tempo. Cfr. Togliere le mutande ai borghesi di Freud.
 A rincarare la dose neanche i suoi due compagni erano camuffati in paludamenti storici: ad abbigliarli non erano infatti abiti classici, o magari vesti rinascimentali, bensì «gli orribili costumi moderni francesi», come osservò disgustato il critico Hamilton. A sconcertare il pubblico era dunque il fatto che Manet avesse abbandonato il repertorio figurativo accademico e si fosse cimentato in un soggetto contemporaneo, fin troppo contemporaneo, senza ricorrere al «sostegno ipocrita del travestimento storico» (Abate).
L’arte cerca di rappresentare le cose associate all’idea platonica.
L’oggetto può venire violentato e deformato (Picasso). La filosofia è consapevole del fatto che lo spirito logico non può abbracciare la totalità del mondo.
 La poesia invece cerca di farlo. Goethe con il suo dilettantismo è l’uomo che, insoddisfatto di ogni scienza specialistica, tenta di raggiungere una conoscenza universale. L’arte vuole raggiungere la totalità: è una forma di religione questo puntare a una conoscenza totale
L’assillo della morte è un monito a riempire la vita di significati. L’opera d’arte risulta tanto durevole quanto più si avvicina alla totalità
L’opera d’arte deve essere non solo estetica ma anche etica. Chi mira alla sola bellezza rischia il Kitsch[1].
L’io deve essere al tempo stesso il sum e il cogito, il logos e la vita fusi in una unità dove balena lo spirito religioso. La poesia deve scoprire le forze che agiscono nell’epoca e simbolizzarle. Nella disintegrazione dei valori l’arte cerca nuovi miti e un nuovo ordine.

Ulisse 1922, 18 capitoli in parallelo con l’Odissea.
 T. S. Eliot lo recensì scrivendo che il romanzo era finito con Flaubert e James e che Ulisse aveva superato il romanzo narrativo attraverso il metodo mitico..
L’autore lo definì un’Odissea moderna e l’epica del corpo umano
Joyce ha scritto che ha voluto rendere il mito sub specie temporis nostri.
L’epopea di due razze (Israele-Irlanda), il ciclo del corpo umano e la storiella di una giornata. Dublino è il centro della paralisi a causa della religione cattolica oppressiva, delle convenzioni sociali, del dominio straniero e dell gretto nazionalismo che gli si contrappone.
 Joyce vi si oppose con l’esilio.
Joyce voleva il recupero della tradizione irlandese non in senso nazionalistico ma per inserirla nella cultura europea.
E’ una neo Odissea eroicomica. Il 16 giugno era il giorno in cui Nora Barnacle si era recata al primo appuntamento con J.
Leopold Bloom e Dedalus sono proiezioni dell’autore in due età diverse e Ulisse è Ognuno
Ulisse ripete in chiave ironica, eroicomica, lo smascheramento delle strutture oppressive presente nei Dubliners
Bloom è l’uomo medio, sensuale, inefficiente, curioso ma timido e cauto, alla ricerca di rapporti umani che non trova.
Dedalus è l’idealista alla ricerca di valori spirituali, anche lui incapace di realizzare le proprie aspirazioni.
 Sono personaggi complementari: entrambi ricercano.
Cercano anche, rispettivamente, un figlio e un padre.
Molly è Penelope ed è Calipso ed è Circe. E’ l’essenza della natura femminile, espressione della fisicità assoluta. Il sì finale è l’accettazione incondizionata eppure non passiva della condizione umana.
Gli incubi di Bloom e Dedalus in Molly diventano estasi. Molly è tutta carne, humus, fertilità naturale. E’ la terra madre da dove veniamo e dove torniamo.
nel Menesseno Platone scrive: "ouj ga; r gh' gunai'ka memivmhtai kuhvsei kai; gennhvsei (nella gravidanza e nel parto), ajlla; gunh; gh'n", e nel Menone il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d) e, dunque, anche l'uomo è stretto parente della grande madre e della natura in genere.

Motivi ricorrenti: quello del rimorso di Dedalus, la storia come incubo e distruzione, il pensiero dell’infedeltà della moglie e della morte del figlio. La morte per annegamento. Sono leit-motiven inseriti nel tessuto narrativo. A volte sono segni musicali come il suono tintinnante del calessino di Boylan.
Per quanto riguarda il primo capitolo, Joyce nel 1904 passò dei giorni in una torre sulla spiaggia di Dublino con un amico (Oliver Gogarty, il Buck Mulligan del romanzo). J se ne andò via per l’arroganza e la superficialità dell’altro.
Gli episodi 1-9 contengono meno della metà delle pagine degli ultimi 9.
Il XV Circe il bordello è il più lungo e lo compose a Parigi nel 1920.
Nel XVII Itaca la casa, alle armi di Odisseo J-Bloom sostituisce quelle della ragione.
Il corpo umano ha una struttura ternaria (Bloom Dedalus Penelope), così il romanzo
I Telemachia Il figlio
II Il padre con le avventure di Odisseo
III Il nostos Il ritorno a casa con la figura della donna che nell’epica del corpo umano sostituisce lo spirito santo della trinità.
L’episodio Eolo il giornale (VII) è scritto nel linguaggio giornalistico, l’VIII I Lestrigoni il pranzo, è dominato dalle funzioni dello stomaco, e J scrisse a un amico che il “ritmo dell’episodio è quello dei moti peristaltici” (peristaltikovς, che spinge avanti comprimendo)
 Scilla e Cariddi la biblioteca (IX) alludono alla roccia di Scilla (l’Aristotelismo) e al gorgo di Cariddi (il Misticismo)
 Le Simplegadi le strade (X) invece alludono a Chiesa e Stato che schiacciano le persone. Protagonista delle Simplegadi è Dublino stessa con le sue strada labirintiche e la sua gente. L’episodio è composto di 18 brevi scene, tante quanti gli episodi del romanzo.
Le sirene la mescita (XI) è imperniato su temi musicali disposti nella fuga per canonem.
 il XII Il Ciclope la taverna contiene lo stile enfatico del nazionalista irlandese antisemita in contrasto con la dizione gergale dell’ignoto io narratore con effetti che Joyce definisce di gigantismo.
Gli episodi XIII, XIV, XV, la sera dalle 8 a mezzanotte, gli ultimi tre (XXVI, XVII; XVIII) la notte fino all’alba
Svevo ha scritto che l’Ulisse non è per un lettore sbadato.
Nel linguaggio, il suono (significante) prevale sul significato.
La traduzione italiana è di Giulio de Angelis, Mondadori, 1975


CONTINUA



[1] Il sostantivo tedesco Kitsch indica lo stile di oggetti artistici di cattivo gusto. Il kitsch è spesso associato a tipi di arte sentimentali, svenevoli e patetici; il termine può comunque essere utilizzato per descrivere un oggetto artistico che presenta una qualsiasi mancanza: una delle caratteristiche di questo tipo di arte consiste, infatti, nel tendere ad essere una imitazione sentimentale superficiale e teatrale. Si sottolinea spesso la mancanza, negli oggetti chiamati kitsch, del senso di creatività ed originalità propri dell'autentica arte. Una definizione generica adottata nell'architettura e nel design indica come kitsch qualsiasi oggetto la cui forma non derivi dalla funzione. In realtà l'evoluzione del termine è stata ampia e, sebbene ancora oggi conservi quel significato, connotazioni meno "superficiali" sono state attribuite ad esso. Ne deriva che artisti o artigiani possono deliberatamente ricorrere al kitsch come forma di espressione. Prodotti contemporanei caratterizzati nelle intenzioni o negli esiti da risultati esteticamente ambigui vengono spesso definiti trash.

martedì 29 maggio 2018

Giovani innamorati nel Mondo antico. Parte 4

L'incontro tra Odisseo e Nausicaa, favorito da Atena


Nel VI canto dell'Odissea Ulisse augura a Nausicaa quello che secondo lui è il bene più grande che le possa capitare.

Versi 180-185 in greco
soˆ d qeoˆ tÒsa do‹en, Ósa fresˆ sÍsi menoin´j,
¥ndra te kaˆ okon, kaˆ ÐmofrosÚnhn Ñp£seian
™sql»n· oÙ mn g¦r toà ge kre‹sson kaˆ ¥reion,
À Óq' Ðmofronšonte no»masin okon œchton
¢n¾r ºd gun»· pÒll' ¥lgea dusmenšessi,
c£rmata d' eÙmenštVsi· m£lista dš t' œkluon aÙto….”

Traduzione
"A te gli dèi concedano tanto quanto tu desideri nel tuo cuore,/
181un uomo e una famiglia e la concordia degli animi vi diano/
nobile: infatti non c'è nulla di più forte e prezioso di questo,/182
di quando concordi nei pensieri reggono la casa/183
l'uomo e la donna: molto dolore per i malevoli,/ 184
e gioie per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro"(vv. 180-185 ).

- 181 a[ndra : ho preferito tradurlo con "uomo" invece del tradizionale "marito"; infatti una donna non potrebbe augurarsi un marito che non fosse anche un uomo, e in effetti tanti mariti sono uomini apparenti.

Ecco perché Temistocle dei due pretendenti alla mano della figlia scelse quello che era buono a quello ricco disse di preferire un uomo senza denaro al denaro senza uomo[1].
 tîn d mnwmšnwn aÙtoà t¾n qugatšra tÕn ™pieikÁ
toà plous…ou prokr…naj, œfh zhte‹n ¥ndra crhm£twn
deÒmenon m©llon À cr»mata ¢ndrÒj.

Similmente la Giovanna amata da Federigo degli Alberighi, riconosciuta la grandezza dell'animo di quell'uomo che aveva perso tutto il suo patrimonio per corteggiarla, volle sposarlo dicendo:"ma io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d'uomo"[2]. Del resto poi lo sposo prescelto divenne pure "miglior massaio".

-181 oJmofrosuvnhn: indica lo stesso modo di sentire e pensare che è imprescindibile per l'accordo di una coppia; anzi, quando c'è questa condizione invidiabile, nessuna opposizione, nessun incidente, può sciuparla o mortificarla. In questo caso l'amore non è volgare. Non solo: tale similitudine e concordia di anime (oJmov" e frhvn) arriva alla fusione reciproca o alla trasfusione dell'una nell'altra.

Nel Simposio di Platone, Pausania distingue l'amore volgare, figlio di Afrodite Pandemia, da quello celeste, figlio di Venere Celeste appunto; ebbene l'amante volgare (oJ ejrasth;" oJ pavndhmo" ) si innamora piuttosto del corpo che dell'anima (oJ tou' swvmato" ma'llon hj; th'" yuch'" ejrw'n, ) e non è costante, poiché ama una cosa che non è costante: non appena appassisce il fiore del corpo, vola via lontano, disonorando le sue parole e le sue promesse; quello invece che si entusiasma per un carattere nobile ne resta innamorato per tutta la vita , poiché si è fuso con qualche cosa di stabile ( ejrasth;" dia; bivou mevnei, a{{te monivmw/ suntakeiv" 183e).

Tiziano dipinse nel 1514 un'opera neoplatonica che raffigura Amor sacro e amor profano in due donne, una vestita e una quasi nuda; ebbene la Venere volgare è quella vestita e adorna di effimeri orpelli terreni, mentre la svestita rappresenta la Venere Celeste: la sua nudità infatti significa la bellezza eterna, universale, e la verità filosofica, mentre una fiamma tenuta alta nella mano sinistra simboleggia l'amor di Dio.
Il dipinto, a olio su tela, si trova a Roma nella Galleria Borghese.

Platone tende alla pianura della verità iperurania, Aristotele è piuttosto volto alla terra.
Rimanendo sulla pittura italiana del Cinquecento, ne La scuola di Atene [3] di Raffaello, dove sono raffigurati i maggiori filosofi dell'età classica, Platone con la mano destra indica il cielo e Aristotele la terra.

La trasfusione delle anime
 Il passaggio dall'uno all'altro amore viene sentito e dichiarato dal passionale Dimitri Karamazov:"questo amore mi tortura, mi tortura!...Prima, mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo!"[4].

 Esiste una versione latina di questa trasfusione di anime che, pur se prelude a un tradimento, e quindi, dentro il contesto, può far pensare a una "cinica autoironia"[5] del narratore, rievoca in endecasillabi faleci una notte d'amore, omosessuale oltretutto, comunque con una delicatezza e una profondità degna della migliore poesia amorosa latina:"qualis nox fuit illa, di deaeque,/quam mollis torus. haesimus calentes/et transfudimus hinc et hinc labellis/errantes animas. valete, curae/mortales. ego sic perire coepi " (Satyricon, 79), che notte fu quella, dei e dee, che morbido letto. ci stringemmo ardenti e ci trasfondemmo con le labbra a vicenda le anime deliranti. addio, affanni mortali. così io cominciai a morire.
Si tratta di una mezza nottata di amore tra Encolpio e Gitone che però viene sottratto a Encolpio da Ascilto iniuriae inventor…oblitus iuris umani (79)

Anche quando non si arriva alla fusione, l'accordo e l'intesa costituiscono la forza e la coesione inscindibile della coppia.
Nell'Andria di Terenzio, Panfilo, parlando con Miside, la serva dell'amata Glicerio, le chiede di riferire alla padrona che non la abbandonerà mai:" conveniunt mores. Valeant/ qui inter nos discidium volunt: hanc nisi mors mi adĭmet nemo "(696-697), i nostri caratteri vanno d'accordo. Vadano a farsi benedire quelli che vogliono una rottura tra noi: questa non me la strapperà nessuno tranne la morte.
Del resto il termine discidium , dal verbo scindere , significa lo spezzarsi, o il taglio (cfr. discindere, tagliare) di un filo troppo teso in due parti i cui capi si possono riannodare; mentre il divortium implica il volgersi altrove (divertere ) e non incontrarsi più.

Similmente Kierkegaard afferma:" sincerità, apertura di cuore, rivelarsi, intendendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale... L'intesa, ecco dunque il principio vitale del matrimonio"[6].
Analoga riflessione si trova in Svevo:"Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"[7].


CONTINUA



[1] Plutarco, Vita di Temistocle, 18.
[2] Boccaccio, Decameron, V, 9.
[3] Palazzi Vaticani, Stanza "della Segnatura", 1509-1511.
[4]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov (del 1880), p. 709.
[5] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 178.
[6]Enten-Eller (Aut-Aut) , Validità estetica del matrimonio , trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 163 del Tomo Quarto.
[7] Una vita , p. 208.

domenica 27 maggio 2018

La figura di Sonia nel romanzo "Delitto e castigo". Parte 3

Riccardo II d'Inghilterra

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Nel Riccardo II (III, 2) di Shakespeare si legge che la Morte tiene la corte nella corona cava che cinge le tempie mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato e con un ghigno alla sua pompa
Riccardo II[1] deposto da Bolingbroke che sarà Enrico IV espone “le tristi storie delle morti dei re”

For within the hollow crown
That rounds the mortal temples of a king
Keeps death his court; and there the antic sits,
Scoffing his state and grinning at his pomp.

Seneca nell’Oedipus fa dire al protagonista: “Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis"(vv.7-8), qualcuno gode del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto una facciata così lusinghiera!
Sono parole di Edipo che dà inizio al dramma descrivendo l'infuriare della pestilenza.
Nelle Phoenissae Giocasta chiede a Polinice di rinunciare alla guerra poiché il premio che spetta al vincitore non è desiderabile: anzi Eteocle pagherà il fio del successo a caro prezzo, con il solo fatto di essere re: "poenas, et quidem solvet graves: regnabit" (v.645).
Manzoni riprende il tovpo" nell' Adelchi quando il protagonista ferito consola il padre sconfitto: "Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa nomarsi/Dritto." (V, 8). E' il diritto del più forte, il potere smascherato: viene tolta la maschera (demitur persona, manet res)
Il regno è quasi sempre una tirannide: un bene scivoloso, un potere claudicante, in particolare quello di Edipo lo zoppo e dei suoi figli.

Viene tolta la maschera non solo alle persone ma anche alle cose
Non hominibus tantum sed rebus persona demenda est et reddenda facies sua (Seneca, Ep. 24, 13)
 Cfr. Lucrezio: “ Quo magis in dubiis hominem spectare periclis/convenit adversisque in rebus noscere qui sit;/nam verae voces tum demum pectore ab imo/eliciuntur <et> eripitur persona, manet res" (De rerum natura, III, 55-58), tanto più è necessario provare la persona nei pericoli rischiosi e conoscerne la qualità nelle situazioni sfavorevoli; infatti le parole autentiche allora finalmente escono dal fondo del cuore e si strappa la maschera, rimane la sostanza.

Bachtin trova che Delitto e castigo sia una menippea cristianizzata
R provoca Sonia dicendole che Napoleone non si fermava davanti ai delitti: “io ho semplicemente ucciso un pidocchio inutile e dannoso. Per avere ragione bisogna osare molto. Chi è capace di sputare sulle cose diventa il loro legislatore. Cfr. Medea: tolmhtevon tavde (1050)
C’è il confronto con la fede di Sonja che lo invita a baciare la terra insozzata da lui stesso ad accettare la sofferenza, a capire a riscattarsi con essa: tw'/ pavqei mavqo" /Eschilo, Agamennone, 177[2].
Anche lo Starez Zossima dei Fratelli Karamazov bacia la terra, muore baciando la terra: “si lasciò scivolare dolcemente dalla poltrona sul pavimento, e inginocchiandosi, si chinò col viso fino a toccar terra, si prosternò, allargò le braccia in croce; e come invaso dall’estasi, baciando la terra e pregando (come appunto aveva insegnato a fare), serenamente e gioiosamente rese l’anima a Dio”[3]. Alioscia segue l’esempio del maestro: “Una notte fresca e calma fino all’immobilità avvolse la terra…Alioscia rimase a guardare per un momento quello spettacolo, poi, ad un tratto, si gettò con la faccia a terra come se l’avessero falciato. Egli non sapeva perché l’abbracciasse, non si rendeva conto della ragione per cui gli fosse venuta quella terribile voglia di baciarla, di baciarla tutta; ma egli la baciava piangendo, singhiozzando, inondandola delle sue lacrime, e giurando, in uno slancio impetuoso, di amarla, di amarla eternamente. “Inonda la terra delle tue lacrime di gioia, e amale, codeste tue lacrime…”, disse una voce nella sua anima”[4].
Si pensi alla “cura di Anteo”, un gigante libico che uccideva i viandanti e acquisiva forza dal contatto con sua madre, che poi è la madre di tutti, la Terra. Ercole dovette sollevarlo dal suolo e togliergli il contatto con la madre per strozzarlo:"La civilizzazione e l'intellettualità son belle cose, son grandi cose, non vogliamo certo negarlo. Ma senza quella che noi un giorno definiremo la compensazione di Anteo, sono rovinose per l'uomo e creano la malattia"[5].
In ogni caso non si deve mai perdere l’amore per la vita terrena e per la stessa terra: “Bleibt mir der Erde treu, meine Brüder, mit der Macht euer Tugend!” Restatemi fedeli, fratelli miei, alla terra con tutta la forza della vostra virtù! Il vostro amore, che tutto dona, e la vostra conoscenza servano il senso della terra”. Così parla Zarathustra… Bacia la terra e amala incessantemente, insaziabilmente-dice lo starets Zosima-cerca questa estasi e questa esaltazione. Bagna la terra con le lacrime della tua gioia e ama queste tue lacrime”[6].

Il giudice istruttore Porfiri Petrovič consiglia a R di abbandonarsi alla vita senza ragionare: il flusso della vita lo riporterà a riva e lo rimetterà in piedi. To; mevllon h[xei, il futuro verrà (Eschilo, Agamennone, 1240)
 Il punto di incontro dei due ragazzi reietti è la lettura del Vangelo.
“Un mozzicone di candela illuminava con luce fioca nella misera stanza l’assassino e la peccatrice stranamente riuniti nella lettura del libro eterno”
Provocatoria del pensiero e dei sentimenti è la tendenza a confutare i luoghi comuni e i dogmi dei più.
La prostituta Sonja è una peccatrice che ha venduto se stessa, ma nemmeno una goccia di vera depravazione era entrata nel suo cuore. Cfr. La logica aperta al contrasto nelle Coefore di Eschilo (461):   [Arh" [Arei xumbalei', Divka/ Divka.
R le si inginocchia davanti poiché la ragazza è un simbolo della sofferenza umana e nella sofferenza c’è un’idea.
Tutto si svolge sulla soglia o sulla strada dove si vivono momenti di crisi. A D interessa il tempo della crisi, mentre salta quello biografico. Anche nell’Idiota (1869) c’è la carnevalizzazione. Myskin è un eccentrico pieno di diversità dalla gente usuale: è privo di ogni diffidenza, non mente, non dà importanza al denaro, non occupa alcuna posizione che possa limitare la sua umanità. E’ del tutto stravagante: non sa cosa sia la malafede e arriva ad amare il rivale Rogožin che ha cercato di ucciderlo. Dove compare il principe si rompono le barriere della menzogna e si crea la sincerità carnevalesca. Vedi l’episodio del vaso cinese.
Un libro di critica non privo di arbìtri dilettanteschi ma nemmeno di spunti interessanti è quello di Merezkoskij Tolstoj e Dostoevski del 1902.
Secondo questo autore, D mostra che il pensiero scientifico dal Rinascimento in poi ha portato l’Europa sull’orlo dell’abisso dove cadrà se non tornerà a volgersi verso la religione. I Demoni (1873), i terroristi, sono stati educati male, pervertiti da un intellettuale occidentalista.
Stepan Trofimovič cattivo maestro di Nikolaj Stavrogin
L’essenza dei tempi moderni è il nichilismo che è la negazione di Dio e si trova tanto nel liberalismo quanto nel comunismo. Wille zum Nichts.
  
Bisogna tornare al popolo russo, alla terra russa, al cristianesimo. D sente che la civiltà occidentale sta per esplodere siccome l’Europa è piena di egoismo, odio, diffidenza. La scienza moderna si occupa di quisquilie inutili o dannose. L’unica scienza utile è quella del bene e del male. Cfr. Prometeo incatenato di Eschilo e Cfr. Platone e il massimo oggetto di scienza
La scienza deve renderci liberi di giungere a vedere l’idea del bene. L’uomo ispirato dalla visione del bene-ijdeva tajgaqou' il massimo oggetto di scienza[7]- ha tutte le virtù e sa affrontare tutti gli imprevisti della vita. E’ la dialettica che ci porta a vedere l’idea del bene che è fonte dell’ajlhvqeia e dell’oujsiva, della realtà e dell’essere.
Seneca deplora le quisquilie degli studi letterari: Quaeris Ulixes ubi erraverit potius quam efficias ne nos semper erremus? (Ep., 88, 7).
O dove abbia errato Ulisse piuttosto che fare in modo di non essere noi a errare?

A me personalmente interessa la lotta contro la reificazione dell’uomo e dei rapporti umani nella società capitalistica.
D fu conservatore, slavofilo e ostile al socialismo, ma credo che possa essere comunque impiegato in senso antiborghese. D lottava contro il nichilismo e il nichilista adoratore del nulla è il borghese.


CONTINUA


[1] Riccardo II Plantageneto (Bordeaux, 6 gennaio 1367 – Pontefract, 14 febbraio 1400) è stato re d'Inghilterra dal 1377 al 1399. La tragedia di Shakespeare è del 1595.
[2] E, poco più avanti :"goccia invece del sonno davanti al cuore/il penoso rimorso, memore delle pene inflitte; e anche/sui recalcitranti arriva il momento della saggezza" ( kai; par j a[-konta" h\lqe swfronei'n , Agamennone, vv. 179-181).
[3] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 407.
[4] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 451.
[5] T. Mann. Carlotta a Weimar, p. 403.
[6] D. Merezkovskij, Tolstòj e Dostoevskij., p. 366.
[7] mevgiston mavqhma, il massimo oggetto di scienza che è l'idea del Bene, (cfr.Platone, Repubblica, 505a:"hJ tou' ajgaqou' ijdeva mevgiston mavqhma".).

mercoledì 23 maggio 2018

"La Riunione di Famiglia" di Eliot. Parte prima



Presentazione sommaria della conferenza 
Le Erinni nell’"Orestea" di Eschilo e in "Riunione di famiglia" di T. S. Eliot: la necessità dei classici
del 24 maggio 2018 a Padova


Questo percorso commenta The family reunion di T. S. Eliot attraverso un metodo comparativo.
Vengono presentati continui confronti con le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide e di Seneca, con particolare attenzione alla trilogia eschilea Agamennone, Coefore, Eumenidi.
E’ stato evidenziato il tema della paura non senza il rilievo che questa può avere aspetti positivi ed essere funzionale all’ordine nella polis.
Lo notano tanto le Erinni (vv. 517-519) quanto Atena (vv. 698-699) nelle Eumenidi che concludono l’Orestea rappresentata ad Atene nel 458.
Nel dramma di Eliot la paura è diffusa, è parte dell’aria, persino del tempo atmosferico carente di luce e calore, e viene ripetutamente deprecata dal Coro alla fine della parte prima (I am afraid of all that has happened, and of all is to come, ho paura di tutto quello che è accaduto e di tutto quello che ha da venire) non senza del resto che la coreuta Ivy affermi di volere combattere contro il più indecoroso terrore (This is a most undignified terror, and I must struggle against it, I, 3).
Il Coro è formato da Ivy, Violet, Gerald, Charles, due sorelle e due cognati di Amy, la madre dolorosa di Harry, il nuovo Oreste.
In The family reunion la paura viene superata quando diventa conoscenza e comprensione nei personaggi di Harry, Agatha un’altra zia, e Mary una cugina, i tre del gevno" che vogliono e possono capire.

Alla comprensione è funzionale anche il dolore tanto nella trilogia di Eschilo quanto nel dramma di Eliot.
Lo afferma il coro di vecchi argivi nella Parodo dell’Agamennone: tw/' pavqei mavqo" (v. 177), attraverso la sofferenza si giunge alla comprensione.
Amy, la madre di Harry e di altri due figli secondari John e Arthur, è il personaggio più oppresso dal dolore e attribuisce lo strano comportamento del primogenito, che al pari di Oreste vede spettri, al clima nebbioso e alla stanchezza del viaggio compiuto dal figlio con la moglie che dalla nave è sparita nel mare, non si sa come.
 Agatha, un’altra sorella di Amy, invece suggerisce al nipote di comprendere quello che ancora non ha capito: è la via verso la libertà: There is more to understand: hold fast to that as the way to freedom (I, 1).

In una scena successiva, dopo vari accadimenti, e visioni di Erinni con una ripresa testuale delle Coefore[1], Harry dice che non è certo di non avere spinto in mare dalla nave la moglie annegata (Perhaps I only dreamt I pushed her II, 2).

Agatha risponde che loro non hanno scritto un racconto di delitto e castigo- of crime and punishment- but of sin and expiation, ma di peccato e di espiazione (II, 2).
Però prima di espiare il peccato, per espiarlo, esso va conosciuto.
It is certain-that the knowledge of it must precede the expiation.
It is possible that sin may strain and struggle –in its dark instinctive birth, to come to consciousness-and so find expurgation, è possibile che il peccato si sforzi e lotti nella sua oscura nascita istintiva, per arrivare alla coscienza e così trovare purgazione[2].

Può darsi che tu sia la coscienza della tua famiglia infelice, aggiunge la zia veggente, il suo uccello mandato in volo attraverso la fiamma purgatoriale, its bird sent flying through the purgatorial flame.
Harry allora si sente felice, come se la felicità consistesse in una visione diversa in a different vision. This is like an end, questo è come un fine (II, 2).
Agatha aggiunge : “the burden’s yours now, yours-the burden of all family. And I am little frightened, il fardello di tutta la famiglia ora è tuo e io sono un poco impaurita.
Ma il nipote fatica a immaginare la paura di questa zia: You, frightened! I can hardly imagine it, e comincia a comprendere: I only now begin to have some understanding-of you, and of all of us. Agatha è la mente più lucida della famiglia.

Harry ha capito e ha vinto la paura. Quando le Eumenidi appaiono per l’ultima volta, il giovane si rivolge a loro con queste parole : You cannot think that I am surprised to see you non crediate che io sia sorpresi di vedervi, and you shall not think that I am afraid to see you, e non crediate che abbia paura di vedervi. Questa volta siete reali, siete fuori di me e perciò sopportabili, this time you are real, this time you are outside me, and just endurable. Pensavo di sfuggirvi venendo qui dove voi invece mi aspettavate (II, 2). Ora finalmente vedo che vi sto seguendo Now I see at last that I am following you e che può esserci un solo itinerario e una sola destinazione. Let us lose no time. I will follow.

Pure Oreste giunto sull’acropoli di Atene non ha più paura delle Erinni: le affronta e rivendica le proprie azioni, compreso il matricidio con il quale ha vendicato il proprio padre: e[kteina, touvtou d j ou[ti" a[rnhsi" pevlei (Eumenidi, 588), l’ho uccisa e di questo non c’è negazione.
Oreste rivendica dignità al proprio delitto, come Prometeo (Prometeo incatenato, v. 266).


giovanni ghiselli



[1] Harry: no, no, non lì, laggiù. Voi non le vedete, ma io le vedo, ed esse vedono me. You don’t see them, but I see them, and they see me (I, 1).
Cfr. Eschilo, Coefore 1061: “uJmei'" me;n oujc oJra'te tavsd j, ejgw; d j oJrw'- ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgw v”, voi non le vedete ma io le vedo, sono sospinto e non posso più restare. E’ Oreste che si rivolge al Coro delle portatrici di libagioni.
Questi due versi sono posti come epigrafe di Sweeny agonistes, Fragments of an Aristophanic Melodrama: you don’t see them, you don’t-but I see them: they are hunting me down , I must move on 
[2] Cfr. l’Orestea di Eschilo dove il matricida deve andare a Delfi, poi ad Atene per sapere quanto conti, pesi, significhi il suo peccato. Anche Edipo deve fare una lunga indagine su se stesso nella tragedia di Sofocle.

La paura. Le Erinni nell'"Orestea" di Eschilo e in "Riunione di famiglia" di T. S. Eliot: la necessità dei classici



venerdì 18 maggio 2018

"Eracle" di Euripide



Eracle di Euripide (416 circa)


Prologo (1-106)
Nel prologo Amfitrione si presenta come figlio di Alceo, nipote di Perseo e padre di Eracle. Il vecchio che è Argivo, si trova a Tebe , la città degli Sparti dove regnava Creonte figlio di Meneceo e padre di Megara che Eracle sposò. Poi però Eracle è andato ad Argo da dove Anfitrione è dovuto andare in esilio per avere ucciso il suocero Elettrione, padre di Alcmena. Eracle per potere rimanere ad Argo e portarci i suoi, ha offerto a Euristeo misqo;n mevgan (19), un alto prezzo del ritorno (kaqovdou): ejxhmerw'sai gai'an (20), bonificare la terra, liberarla dai mostri (h{mero", domestico, mite, mansueto). L’eroe è domato dagli sproni di Era oppure agisce secondo la necessità (tou' crew;n mevta).

La necessità è la potenza superiore a tutte già nell’Alcesti del 438 e ancor prima nel Prometeo incatenato di Eschilo.
Prometeo sopporta di sapere il suo destino senza venirne schiacciato, ma sa che gli uomini non sarebbero capaci di reggere una simile tensione (v. 514): “ tevcnh d j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/”, la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.
Cfr. a questo proposito Curzio Rufo: “Ceterum, efficacior omni arte, necessitas non usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”( Historiae Alexandri Magni, IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono i Tirii che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C.
Avanzando nella Sogdiana Al. si trovò in difficoltà per il freddo e incendiò un bosco: “efficacior in adversis necessitas quam ratio, frigoris remedium invenit” (8, 4, 11). Ancora la necessità che prevale sulla ratio (cfr. 7, 7, 10: necessitas ante rationem est).

Il potere assoluto dell' jjjjAnavgkh verrà apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti. Nel terzo Stasimo della tragedia più antica ( è del 438) tra le diciassette a noi pervenute, il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972). Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.
Alcuni versi prima, nel terzo episodio, Eracle aveva affermato l’impotenza della tevcnh nei confronti della tuvch: “non è chiaro dove procederà il passo della sorte (to; th'" tuvch"), e non è insegnabile (ouj didaktovn) e non si lascia prendere dalla tecnica (oujd j aJlivsketai tevcnh/ )” (vv. 785-786)

La fatica in corso è quella relativa a Cerbero: Eracle è andato nell’Ade Tainavrou dia; stovma, attraverso la bocca del Tenaro e di là non è tornato.

Nelle Rane di Aristofane, Dioniso chiede a Eracle di insegnargli la strada che fece quando andò a prendere Cerbero. Indicargli i porti (livmenaς) le panetterie (ajrtopwvlia) i bordelli pornei'a, le fermate, i crocicchi, le fontane (krhvnaς), strade, città. E gli alloggi dove ci sono meno cimici (vv. 112-114). C’è specularità tra il mondo terreno e quello infero.
La via più breve, dice Eracle è il suicidio: corda e sgabello per impiccati. Poi c’è to; kwvneion, la cicuta
 Quindi Eracle racconta il suo viaggio. Si arriva a un grande lago, poi si sale su una barchetta dove un gevrwn nauvthς, un vecchio barcaiolo, ti traghetterà per due oboli (cfr. la Morte a Venezia e il ramo d’oro dell’Eneide). Due oboli era il compenso medio degli Ateniesi, quindi Eracle dice che laggiù li portò Teseo.
Poi si passa tra i dannati: bovrboron, fango, to; skw'r -skatovς merda, scatologia, parlare di escrementi.
Dentro ci sta chi offese l’ospite xevnon hjdivkhse, o chi ha inculato un ragazzo senza pagarlo- h} pai'da kinw'n tajrguvrion uJfeivleto, chi ha picchiato la madre o il padre, chi ha giurato falso ejpivorkon o{rkon w[mosen (150) e il drammaturgo che commette plagio da Morsimo, scadente poeta tragico.
Più avanti si trovano gli iniziati (oiJ memuhmevnoi da muevw, inizio ai misteri) tra uno spirar di flauti aujlw'n pnohv (154) e una luce bellissima fw'ς kavlliston , come qui w[sper ejnqavde.
Là vedrai tiasi beati di uomini e donne e un gran battere di mani krovton ceirw'n poluvn (155).

Una volta su Tebe-continua Anfitrione-regnavano Lico e Dirce, poi Anfione e Zeto, figli di Zeus e Antiope.
Questi costruirono le mura di Tebe (cfr. Odissea, XI, 260-265 dove Antiope però è detta figlia di Asòpo)
 I due fratelli, i dioscuri tebani, uccisero Lico e Dirce che aveva maltrattato la madre. Lico era fratello di Nitteo, il padre di Antiope e secondo alcune versioni del mito l’aveva sposata prima di Dirce. Anfione sposò Niobe.

Un figlio di Lico, di nome Lico pure lui, ha ucciso Creonte e regna su Tebe dopo essere piombato sopra la città malata per la guerra civile-stavsei nosou'san thvnd j ejpespesw;n povlin (34).
 La parentela (kh'do") con Creonte, padre di Megara è per gli Eraclidi e la madre kako;n mevgiston (36).
 Ora Lico, dopo avere ammazzato il padre e i fratelli di Megara, vuole uccidere anche Megara e i suoi figli poiché teme la vendetta. I perseguitati siedono sull’altare di Zeus eretto da Eracle dopo la vittoria sui Minii.
  
Ercole nei Fasti di Ovidio
Nel I libro dei Fasti[1] di Ovidio Eracle costruisce e dedica a se stesso l’ara Maxima
Qui Caco è Aventinae timor atque infamia silvae (I, 551) un mostro kakov" contrapposto a Evandro, l’uomo buono. Dall’ingresso della caverna pendono teschi e braccia inchiodate ora super postes affixaque brachia pendent (I, 557) e il suolo squallido biancheggia di ossa umane,
Squalidaque humanis ossibus albet humus (558).
I buoi rubati muggirono rauco sono (560). Ercole disse accipio revocāmen (561) accolgo il richiamo. Il racconto è velocizzato e semplificato, il pathos è attenuato rispetto a Virgilio.
La vicenda si conclude con l’ ai[tion dell’ara Massima: il vincitore immola a Giove uno dei tori rubati e costruisce a se stesso un’ara detta Massima
Constituitque sibi quae Maxima dicitur aram
Hic ubi pars Urbis de bove nomen habet (581-582).
E’ il Forum Boarium dove si trovava la statua bronzea di un bue.

I supplici sono bisognosi di tutto: pavntwn crei'oi, sivtwn, potw'n ejsqh'to" di cibo, bevande e vesti (51-52) e mantengono la posizione nel tempio con le costole stese ajstrwvtw/ pevdw/ (52) sul pavimento nudo, senza coperte. Vengono in mente i nostri profughi.
 Tra gli amici, alcuni Anfitrione li vede ouj safei'", non chiari, altri ajduvnatoi proswfelei'n (56), impossibilitati a portare aiuti. Tale è la duspraxiva, la sventura per gli uomini. Non auguro a nessuno di dover provare questa verifica davvero infallibile degli amici-fivlwn e[legcon ajyeudevstaton (59).


CONTINUA



[1] Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare gli antichi miti e costumi latini.