María Zambrano |
L'amore maturo
significa un'uscita dalla gelosia e dalla possessività.
Alla fine dell'amore di Swann troviamo un suggerimento per la guarigione.
Vediamo: "appena Swann se la poteva raffigurare senza orrore, appena
rivedeva bontà nel suo sorriso... il suo amore ridiventava soprattutto un gusto
delle sensazioni dategli dalla persona di Odette, del piacere che provava
nell'ammirare come uno spettacolo o nell'interrogare come un fenomeno,
l'alzarsi di uno sguardo, il formarsi d'un suo sorriso, l'emissione d'un tono
di voce" (Proust, Dalla parte di
Swann, p. 322).
Amare una persona rispettandola dunque significa osservarla
senza la pretesa di cambiarla, contemplarla come si può fare con un paesaggio o
un tramonto.
Una soluzione del genere si trova in La Noia di Moravia: "insomma, lei non volevo più possederla
bensì guardarla vivere, così com'era, cioé contemplarla, allo stesso modo che
contemplavo l'albero attraverso i vetri della finestra"[1].
Anche il protagonista di Un
Amore di Buzzati arriva alla comprensione e alla compassione per la ragazza
che l'ha fatto soffrire quando gli ha rivolto contro l'intenzione che lui aveva
di usarla, osservandola sine ira et studi:
"dal sonno di lei così abbandonato e confidente viene a lui un senso di
pietà e di pace, una specie di invisibile carezza"[2].
L'invidia si supera trovando la propria identità: "se
cerchiamo l'identità di essere qualcuno al di sopra e al di là di quello che ci
accade e di quello che viviamo, allora non potrà nascere l'invidia. Perché
l'invidia è passione dell'altro, passione dell'identità dell'altro, passione
della libertà dell'altro, nella propria vacillante unità e libertà"[4].
La publica salus deve
importare al re assolutamente. Nell'Edipo
re il figlio di Laio dice: "ma se ho salvato questa città, non mi
importa" (v. 443). Qui sta la sua grandezza e questo è il significato più
vero e utile della tragedia sofoclea: l'impiego del dolore per il vantaggio, la
bellezza, la salvezza propria e della comunità. Chi riesce a fare questo è un
uomo, e chi assiste alla metamorfosi del pavqo" in mavqo" diventa migliore. Il poeta scrive
per tale risultato che dà senso alle sue parole e alle danze del coro
(cfr.v.896).
La formulazione latina di tale principio si trova in
un'epistola di Seneca: "Vivit is qui multis usui est, vivit is qui
se utitur" [5],
vive chi si rende utile a molti, vive chi si adopera.
Anche in Virgilio c'è una regina, che prima di decadere a
donna abbandonata esprime questo tw/'
pavqei mavqo": "non
ignara mali miseris succurrere disco", Eneide, I, 630, non
ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati.
Una humanitas questa che viene echeggiata dalle prime
parole del Decameron :"Umana cosa è l'aver compassione degli
afflitti"[6].
“Per una misteriosa
simpatia delle cose d'intorno, quasi che cielo e terra fossero tristi
della tristezza di quei due esseri umani, il cielo d'un subito si schiarì e
un'ondata di sole scese dall'alto, investì la foresta, rise sopra ogni foglia
verde, colorì d'oro ogni foglia morta, accarezzò teneramente i vecchi tronchi
grigi e rugosi…L'amore, sia quando nasce, sia quando risorge da un letargo che
era sembrato mortale, sprigiona tanta luce che tutto il mondo d'intorno se ne
accende; ma quand'anche sulla foresta si fosse disteso ancora il livido cielo
di dianzi, essa sarebbe apparsa egualmente inondata di sole agli occhi di
Hester e di Dimmesdale" (La lettera scarlatta[7],
p. 161).
Innaturale è dunque l'odio tra gli uomini; innaturalissimo
quello tra i maschi e le femmine umane. Il medico del Macbeth, vedendo
la regina malata e udendola sussurrare parole orrende, fa la sua
diagnosi: "Unnatural deeds do breed unnatural troubles" (V, 3),
atti innaturali generano turbamenti innaturali.
Innaturale qui è stato il delitto generato dall'ambizione.
Un bel frammento di
Menandro ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che in natura "niente è tanto
congeniale come l'uomo e la donna, a guardarci bene". Come poeta d'amore
il massimo autore della commedia nuova[8]
non può trascurare o biasimare tale inclinazione reciproca.
L'inimicizia delle donne nei confronti degli uomini ha
avuto, almeno in passato, la genesi che Seneca attribuisce a quella degli
schiavi per i padroni: "non habemus
illos hostes, sed facimus" (Epist. ad
Luc., 47, 5), non li abbiamo nemici, ma li rendiamo tali.
Le lacrime manifestano commozione e la creano. Alcuni autori
hanno simpatia per le lacrime: Euripide
è stimolato a comporre dal carattere patetico del soggetto: al drammaturgo
ateniese, come a Virgilio[9],
interessano le situazioni che grondano pianto. Il piangere, come scarso
controllo delle situazioni, come uscita dalla realtà, può essere consolatorio
:"come sono dolci le lacrime per
quelli che vivono male (wJ" hJdu; davkrua toi'" kakw'" pepragovsi )/e i lamenti dei pianti e una musa che
narri il dolore " afferma il coro delle Troiane (vv.
608-609).
La razionalità viene sopraffatta dal patetico e dal pianto
che può essere pure piacevole:"avanti,
ridesta lo stesso lamento/solleva il piacere che viene dalle molte lacrime (a[nage poluvdakrun
aJdonavn)", si
esorta Elettra nella tragedia
euripidea di cui è eponima (vv. 125-126).
Nell'Elena di Euripide, Menelao che ha ritrovato Elena dichiara il suo amore e la sua
felicità con il pianto: "le mie lacrime sono motivo di gioia: hanno
più/dolcezza che dolore"(654-655).
La confusione e la mescolanza dei sentimenti, la voluttà
delle lacrime è reperibile pure in D'Annunzio:
Tullio Hermil, ebbro di sentimenti buoni e amorosi per Giuliana prima di
scoprirla impura, ne beve le lacrime con felice voluttà:"- Oh, lasciami
bere - io pregai. E, rilevandomi, accostai le mie labbra ai suoi cigli, le
bagnai nel suo pianto"[10].
"Tutto ciò che
si pensa è simpatia o antipatia, si disse Ulrich" (L'uomo senza qualità,
di Musil, p.210)
Certo, dalla donna
che ci fa soffrire si impara anche.
Su questo possiamo
sentire Proust:"Una donna di cui abbiamo bisogno, che ci fa soffrire, trae
da noi serie di sentimenti ben più profondi, ben altrimenti vitali di quanto
possa fare un uomo superiore che ci interessi. Resta da sapere, secondo il
piano su cui viviamo, se davvero ci sembra che il tradimento col quale ci ha
fatto soffrire una donna sia ben poca cosa in confronto delle verità che ci ha
rivelate, verità che la donna, paga d'aver fatto soffrire, non avrebbe potuto
comprendere...Facendomi perdere il mio tempo, facendomi soffrire, forse
Albertine mi era stata più utile, anche sotto l'aspetto letterario, di un
segretario che avesse messo in ordine le mie "scartoffie". Tuttavia,
allorché un essere è così mal conformato (e può darsi che nella natura un tal
essere sia proprio l'uomo) da non poter amare senza soffrire, e da aver bisogno
di soffrire per imparare certe verità, la vita d'un tale essere finisce col
riuscire ben spossante!"[11].
Dal dolore dei Greci
si sviluppa non solo la sofferenza ma anche la bellezza, una sorta di tw/' pavqei kavllo": "Una
questione fondamentale è il rapporto del Greco col dolore… la questione se in
realtà il suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di
divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata dalla mancanza, dalla
privazione, dalla malinconia e dal dolore… quanto dovette soffrire questo
popolo, per poter diventare così bello!"[12].
Perrotta confuta
alcune interpretazioni dell’Antigone: "lasciamo
stare l'interpretazione cristiana, che è di tutte quella assolutamente falsa.
Ma è anche errata l'interpretazione di chi...riassume tutta la tragedia in un
conflitto tra le leggi ideali ed eterne rappresentate da Antigone e le leggi
scritte rappresentate da Creonte. Chi intende a questo modo il dramma, cade
ancora nella interpretazione hegeliana, anche se ritiene di essersene liberato:
importa relativamente poco s'egli sostituisce, alla tesi e all'antitesi che
vedeva in questa tragedia l'Hegel, un'altra tesi e un'altra antitesi non troppo
differenti"[13].
Sofocle secondo Perrotta aiutato da Goethe sostiene che
Sofocle non parte da un’idea cui subordini le situazioni e i caratteri in
quanto gli importano molto di più le situazioni e i caratteri (p. 117). Non c’è
un conflitto tra due princìpi opposti, bensì tra due persone, tra due individui
omni modo determinati. Solo
parzialmente vera è l’interpretazione di Goethe che definisce Antigone “la più
sororale delle anime”, ed è inaccettabile l’interpretazione di Kaibel (filologo
classico tedesco, 1847-1901) che vede in Antigone una violenza selvaggia senza
tenerezza né amore.
CONTINUA
[2]D.
Buzzati, Un Amore , Mondadori,
Milano, 1965, p. 250.
[3]
L'uomo e il divino pp. 258-259.
[4]
M. Zambrano, L'uomo e il divino p. 264.
[6]
Che nella fattispecie sono in particolare le donne innamorate.
[7]
Di Nathaniel Hawthorne, del 1850.
[8]
"Fabula
iucundi nulla est sine amore Menandri", nessuna commedia del piacevole
Menandro è senza amore, ricorda Ovidio (Tristia
, II, 369).
[9]
Cfr. :" sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt" (Eneide,
I, 462), ci sono lacrime per le sventure e le vicende mortali toccano il cuore.
[11]M.
Proust, Il tempo ritrovato , pp. 239
e 242.
[12]
F. Nietzsche, La nascita della tragedia (1872), p. 7 e p. 163.
[13]I tragici greci , p. 117.