NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 30 novembre 2023

Logica e sentimenti aperti al contrasto.


 

 Anacreonte confessa la propria follia intermittente nell'amore dissociato e contraddittorio:" ejrevw  te dhu\te koujk ejrevw-kai; maivnomai kouj maivnomai" (fr. 79 D.), amo e poi invece non amo, sono pazzo e non sono pazzo.

Questi dimetri giambici contengono un motivo topico che si trova pure nella silloge teognidea ("il mio animo sta in pena per il  tuo amore, e non posso odiarti né amarti", vv. 1091-1092) e avrà un lungo seguito nella letteratura europea.

 Molto noto è il distico elegiaco del carme 85 di Catullo:"Odi et amo . Quare id faciam, fortasse requiris./Nescio, sed fieri  sentio et excrucior ", odio e amo. Forse tu domandi come  faccia questo. Non so, ma sento che accade e mi tormento.

"Nota l'antitesi fra faciam  e fieri : quello che accade non è un qualcosa che Catullo sia in grado di controllare, ma qualcosa che accade e che lui può solo subire, sentire nelle sue conseguenze dolorose (non a caso il poeta dice excrucior , utilizzando una forma medio-passiva, anziché usare il riflessivo me excrucio , che porrebbe con maggior vigore l'accento sul suo ruolo di soggetto attivo). L'analisi razionale non conduce al dominio dei sentimenti ma solo alla loro osservazione, all'ammissione di trovarsi in loro balia".[1]

Voglio commentare questi sentimenti aperti al contrasto con  alcune parole che cito dall’ultimo libro di Massimo Cacciari: “La realtà della cosa contiene in sé in qualche modo sia l’è che il non-è. Già d’altra parte sappiamo che in questa dimensione del Tutto che è la nostra dimora, in questa regione del corruttibile, può capitare che la stessa cosa sia e non sia, anche se non nello stesso tempo e sotto il medesimo rispetto: dynámei, considerata secondo  la sua potenza, e non secondo l’atto, la cosa infatti può contenere tà enantía, determinazioni opposte (IV, 1009, a 35)” (Metafisica concreta, Adelphi, 2023, Potenza o im-potenza?, p. 72)  

 

Bologna 30 novembre 2023 ore 21, 4 giovanni ghiselli.

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[1]G. B. Conte (a cura di) Scriptorium Classicum  2, p. 17.

Il cellulare quale strumento dei sadici maniaci del controllo.


 

Quando dico che non ho il cellulare mi prendono per pazzo.

Ma la mia pazzia è più saggia della saggezza del mondo dei più.

Il cellulare è uno strumento di controllo, quindi di potere.

Io non voglio comandare né essere comandato e altresì non voglio  controllare né essere controllato.

Il cellulare piace a quanti lo producono e lo vendono e piace ai  sadici maniaci del controllo. Tra questi, non pochi sono i delinquenti che vogliono tenere controllate le donne, e se non ci riescono le ammazzano.

Non scrivo nulla che non sia testimoniato, come Callimaco.

 

Cito queste parole dal quotidiano “la Repubblica” di oggi:

“E sono già emersi svariati racconti di come lo studente fosse eccessivamente “possessivo”, geloso, assillante nelle chiamate anche quando l’allora fidanzata andava a un semplice concerto con la sorella e non rispondeva al cellulare” (p. 12).

 

Le sorelle sono Giulia, la ragazza con aria da bambina il cui assassinio tanto mi accora, ed Elena Cecchettion ovviamente.

Il cellulare è una rete, uno strumento della strategia dell’assassino

 

Bologna 30 novembre 2023 ore 16, 56 giovanni ghiselli.

 

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Ifigenia LXXVIII. Contro le droghe

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Nell’ultimo pomeriggio della gita scolastica, a Montefiascone, ascoltai una ragazzina di una classe non mia, una che diceva di assumere droghe leggere.

Le domandai perché lo facesse.  Rispose che aveva iniziato per imitare una sua amica. Diceva che l’ammirava perché l’aveva trovata più degna di rispetto di tanti giovani che deplorano lo squallore della società però vi si adattano e combinano affari meschini. Parlava stancamente e con una tristezza che contrastava con lo scherzare  e il ridere degli altri adolescenti.
Cercai di dissuaderla dal procedere sulla via dell’autodistruzione.
Le dissi: “prova a osservare la vitalità delle gemme, dei fiori, i colori della terra e del cielo, la forza dei voli degli uccelli contenti, l’ordine dei movimenti del sole, e cerca di essere più naturale, più viva, più sana e più bella anche tu”. Mi ringraziò e promise che avrebbe cercato di emanciparsi.
 
Oggi penso che quanti si drogano lo fanno perché non trovano a casa né a scuola modelli di forza mentale, caratteriale  e di pulizia morale; viceversa la debolezza, il vuoto spirituale e la prepotenza di cui tanti adulti e ragazzi danno spettacolo osceno da diversi palcoscenici e pulpiti, contagiano gli animi dei poveri d’identità propria, la povertà più esposta al rischio della mortificazione cioè dell’indifferenza, antipatia, ostilità e in definitiva dell’odio per la vita.
 
La sera finalmente telefonai a Ifigenia dicendole che mi mancava  la sua presenza vitale e radiosa. Ne fu contenta e si rassicurò sul mio amore per lei. Fui certo a mia volta del suo per me. Rimasto solo, pensai che non mi avrebbe lasciato o tradito neppure se Giove stesso o Gesù Cristo in persona le avessero fatto la corte.
Invece un paio di anni più tardi mi abbandonò per seguire un fanfarone in una notte di mezza estate.
Ora so che questo è stato un bene, ma allora ne piansi al lume della luna, bianca sulla spiaggia e tremula sul mare di Riccione.
Ogni amore finisce quando non esiste più e non ha più ragione di essere.
Questo si dovrebbe insegnare agli uomini che ammazzano le donne stanche di loro. Chi mi ascolta e mi legge lo sa.
 
Bologna 30 novembre 2023 ore 12, 06
giovanni ghiselli.

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Molti uomini criticano, biasimano e maledicono le donne, tuttavia le sposano

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Se le donne, soprattutto le impudiche che si innamorano e fanno l'amore, sono tanto deleterie e luttuose come le accusano diversi autori antichi e moderni, pagani e cristiani,  perché gli uomini le cercano, se ne innamorano, addirittura le sposano?
Lo domanda direttamente e ripetutamente la corifea nella Parabasi delle Tesmoforiazuse  di Aristofane, una specie di satira della vera o presunta misoginia euripidea:" eij kako;n ejsmen, tiv gameiq j hJma'", ei[per ajlhqw'" kakovn ejsmen" (v. 789), se siamo un male, perché ci sposate, se davvero siamo un male? Quindi la donna precisa e conclude la domanda chiedendo:"ajll j ouJtwsi; pollh'/ spoudh'/ to; kako;n bouvlesqe fulavttein; (v. 791), ma perché volete tenere con tanta cura un male del genere?
 
  A parte che non tutti gli uomini, nemmeno tutti gli eterosessuali si sposano, una risposta a perché molti lo fanno l'ha data Schopenhauer nei Parerga E Paralipomena :"La natura ha destinato le giovinette a quello che, in termini teatrali, si chiama "colpo di scena": infatti, per pochi anni la natura ha donato loro rigogliosa bellezza, fascino e pienezza di forme, a spese di tutto il resto della loro vita, affinché, cioè, siano capaci di impadronirsi durante quegli anni della fantasia di un uomo in misura tale, che egli si lasci indurre a prendersi onestamente una di loro per tutta la vita, in una forma qualsiasi, passo al quale la mera riflessione razionale non sembrerebbe aver dato nessuna sicura garanzia di invogliare l'uomo. Perciò la natura  ha provvisto la femmina, appunto come ogni altra delle sue creature, delle armi e degli utensili di cui ha bisogno per la sicurezza della sua esistenza e per tutto il periodo in cui ne ha bisogno; e anche qui la natura ha provveduto con la sua consueta parsimonia. Come ad esempio, la formica femmina, dopo l'accoppiamento, perde per sempre le ali, superflue, anzi pericolose per la prole, così, di solito, dopo una o due gravidanze, la donna perde la sua bellezza e probabilmente, perfino, per la stessa ragione. In conformità con ciò, le giovinette considerano nel segreto del loro cuore, i loro lavori domestici o professionali una cosa secondaria, forse, perfino, un semplice trastullo: come loro unica seria professione esse considerano l'amore, le conquiste e ciò che vi si collega, come acconciature, balli, eccetera"[1]. E, poco più avanti:" per la donna una sola cosa è decisiva, vale a dire a quale uomo essa sia piaciuta" (p. 838).
 
 L'amore che porta l'uomo a sposarsi dunque è conseguenza di un inganno, una trappola preparata dalla natura e fatta scattare dalle  giovani femmine umane .
Di questo parere è anche l'uxoricida della Sonata a Kreutzer di Tolstoj:
" Che poi una sia molto versata in matematica, un'altra brava a suonar l'arpa, non cambia nulla. La donna è felice e soddisfatta in ogni suo desiderio soltanto quando riesce a intrappolare un uomo. Né ad altro si ingegna, perché tale è il suo compito. Così è stato, così sarà. Così nel nostro ambiente fa una fanciulla da marito, così fa quando è maritata. Quando una è ragazza, pensa ad accaparrarsi uomini per la scelta-quando è maritata, a tener sotto i piedi il marito".
Tutt'altra risposta ho trovato nel "dramma inedito" Platonov di Cechov :"Senza la donna l'uomo è come una locomotiva senza vapore!" (IV, 7).
Oggi non poche donne lavorano stipendiate e possono fare a meno di sposarsi. Oggi è forse più difficile per l’uomo vivere solo e dignitosamente. Bisogna organizzarsi e farci l’abitudine.
 
Bologna  30 novembre 2023 ore 11, 08

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[1] Tomo II, pp. 832-833.

La provvidenza può provvedere a noi anche affibbiandoci delle difficoltà e perfino dei mali.


 

Concezione simile si trova nel De providentia di Seneca il quale  trova un significato positivo non solo nel lavoro ma pure nelle disgrazie (incommoda)  nei dolori e nelle perdite quali prove per esercitare e temprare la virtus :"Marcet sine adversario virtus" (2, 4), senza un avversario la virtù marcisce; e dio nei confronti degli uomini buoni ha l'animo di un padre, li ama con forza, e ha questi progetti:"Operibus, inquit, doloribus, damnis exagitentur, ut verum colligant robur" (2, 6), con lavori, dolori, perdite, si affannino per raccogliere la vera forza. "Languent per inertiam saginata nec labore tantum sed motu et ipso sui onere deficiunt", infiacchiscono nell'ozio i corpi ingrassati e non solo per la fatica ma per il movimento e il loro stesso peso vengono meno. E' la medesima impostazione del Giobbe biblico:"Se nella cultura occidentale inglobiamo, per l'innesto operato dal cristianesimo, la cultura ebraica, allora la più antica occorrenza di questo "perché"[1] potrebbe essere il Libro di Giobbe "[2]. Questo dovrebbe risalire al V sec. a. C. Ne riporto una massima:"Felice l'uomo che è corretto da Dio"[3].

 

C'è un Giobbe moderno (1930) di Joseph Roth,  un pio ebreo orientale, Mendel Singer:"la sua vita era una perpetua fatica". Aveva un figlio piccolo, Menuchim, che cresceva male, era malato, ma il Rabbi disse alla madre Deborah:"il dolore lo farà saggio, la deformità buono, l'amarezza mite e la malattia forte. I suoi occhi saranno grandi e profondi, le sue orecchie limpide e piene di risonanze"[4].

  

Tratta questo tema anche Shakespeare nel Cimbelino[5]  quando Giove “nella teofania che lo vede discendere cavalcando l’aquila fra tuoni e fulmini (l’equivalente pagano del “turbine” dal quale Dio parla a Giobbe), disegna con fermezza il confine fra le competenze umane e quelle divine, formulando la legge che governa l’insondabile giustizia e la segreta caritas provvidenziale della divinità: “Non v’angustiate di pene mortali:/non è vostra, ma nostra la cura./Chi più amo più metto alla prova,/per far che i miei doni, più attesi,/siano ancor più graditi . Tranquilli,/la nostra grande divina potenza/solleverà vostro figlio umiliato” 

 “Be not with mortal accidents opprest;/No care of yours it is; You know ‘tis ours./Whom best I love I cross; to make my gift,/The more delay’d, delighted. Be content;/Your low-laid son our godhead will uplift” V , 4,  99-103:.Questa non è più soltanto la comparsa in scena del tradizionale, risolutorio deus ex machina. Si tratta, invece, di una vera e propria teodicea. Le “pene mortali” sono preoccupazioni esclusive della divinità, e gli uomini non se ne devono angustiare. “Chi più amo, più metto in croce”, sembra dire Giove usando la parola “cross”, e offre la chiave teologica di tutto il dramma; la felicità si ottien soltanto dopo grandi, dolorose prove, ed è un dono gratuito di Dio, che lo ritarda perché gli uomini vi trovino ancor maggiore diletto”[6].

Già Eschilo del resto ha scritto tw`/ pavqei mavqo~ (Agamennone, 177), attraverso la sofferenza, la comprensione.

L’ho sempre creduto e non mi sono mai sottratto ai patimenti necessari a capire.

 

Bologna 30 novembre 2023 ore 10, 30 giovanni ghiselli

 

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[1] Quare aliqua incommoda bonis viris accidant, cum providentia sit . E' il sottotitolo, probabilmente autentico, del De providentia: perché agli uomini buoni capitano delle disgrazie dal momento che c'è la provvidenza.

[2] A. Traina (a cura di) La provvidenza, p. 8.

[3] La Bibbia di Gerusalemme, Giobbe , 5.

[4] J. Roth, Giobbe, p. 19.

[5] 1609-1610

[6] P. Boitani, Il Vangelo Secondo Shakespeare, p. 95.

L’eterna Bellezza dell’Antico. L’eterno ritorno del classico.


 

 A proposito del classicismo che si ripropone periodicamente nella nostra Civiltà, possiamo aggiungere che la bellezza si coniuga non solo con la semplicità ma anche con l'antichità.

Lo suggerisce Plutarco nella Vita di Pericle quando afferma che ognuna delle "opere di Pericle", ossia degli edifici fatti costruire sull'Acropoli, era,  kavllei, per la bellezza  già allora antica , ajrcai'on;  mentre per la loro rifioritura (ajkmh'/ ) appare ancora oggi recente e appena ultimata (13, 5).

Questo pensai quando mi iscrissi a Lettere antiche nell’ottobre del 1963 emigrando da Pesaro a Bologna.

Oggi credo che anche la letteratura se pure tratta di fatti contemporanei debba apparire antica per la bellezza e tuttavia attuale. Un eterno ritorno è quello del classico.

 

Bologna 30 novembre 2023 ore 9, 46 giovanni ghiselli.

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Cerco di educare al classico parlando e scrivendo, con qualche successo: non in termini di miseri quattrini, né in ambito istituzionale.

Faccio meglio e di più.

Questi sono i lettori degli ultimi 30 giorni

Italia

6.356

Stati Uniti

3.425

Finlandia

878

Germania

346

Irlanda

268

Francia

209

Regno Unito

158

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Paesi Bassi

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Cechia

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Spagna

11

Svezia

11

Hong Kong

9

India

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Singapore

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mercoledì 29 novembre 2023

Il carcere dovrebbe essere una scuola rieducativa per i malfattori.


 

Sostenere di avere ammazzato senza averlo deciso e voluto non è un’attenuante, bensì un’aggravante. Chi ha ucciso trascinato da non si sa quale demone può sempre rifarlo.

Con queste parole non auspico l’ergastolo per il ragazzo che ha ucciso pure in modo brutale.

Sono contrario al carcere a vita,  perché la prigione deve compiere una rieducazione, dovrebbe essere per i malfattori quello che è la scuola per gli scolari.

Credo che una ventina di anni possano bastare per rieducare un giovane, il quale però, passato il ventennio tutto intero in galera, dovrà superare un esame di criminalità smaltita. In questi quattro lustri l’assassino dovrebbe leggere autori di filosofia morale, come Seneca per esempio, leggerli e rendere conto di averli assimilati.

Non solo la mia deformazione professionale mi fa scrivere questo ma altresì la mia formazione etica e il doloroso amore che sento per la vita e mi ha spinto a piangere per Giulia con particolare accoramento perché mi ha fatto pensare alla figlia carina, mite, intelligente, che non mi è nata tanti anni fa.

 Del resto ho provato grandi dispiaceri anche per altri  femminicidi e  ho concepito sempre una volontà di rivolta contro le uccisioni  di tante ragazze e donne ammazzate dentro casa, in famiglia, o mentre camminavano  per strada accoltellate o fatte a pezzi dalle automobili.

 

 Vittime in massima parte trascurate o ignorate quasi da tutti.

 

Né si può restare indifferenti di fronte ai massacri di innumerevoli bambini, donne e uomini durante le guerre che devastano città, rendono desolate le terre, e offendono l’umanità.

Putroppo c’è chi le approva e questo non solo suscita dolore ma anche schifo e ribrezzo.

 

 

Bologna 29 novembre 2023 ore 19, 45 giovanni ghiselli

 

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La giusta misura - Est modus in rebus

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La giusta misura - Est modus in rebus -
mesovth~ -
La  stolta dismisura delle bocche senza freno.
 
Il modus,  la giusta misura è topicamente la quintessenza del rectum, in Orazio:"est modus in rebus, sunt certi denique fines,/quos ultra citraque nequit consistere rectum " (Satire , I, 1, vv. 106-107), c'è una misura nelle cose, ci sono limiti definiti dopotutto al di là e al di qua dei quali non può sussistere il giusto.
Per Seneca il modus si identifica sempre con la virtus: "cum sit ubique virtus modus " (De Beneficiis , II, 16, 2). Dietro questa concezione "vi sono secoli di filosofia ellenistica: la mesovth" - qualità o quantità o condizione  media - era stata peripatetica; la metriovth" la giusta misura era stata definita e propugnata dall'accademico Crantore, poi dal neostoico Panezio, il quale aveva avuto sulla morale della classe colta romana una grande influenza"[1].
 
 L'eccesso è la quintessenza di ogni male nella cultura greca classica.
La formulazione più chiara e sintetica è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro  gli fece vedere i suoi cospicui tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui,  nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni".  Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle  domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "[2]. Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica condannano spesso la dismisura.
La stolta dismisura
Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone:" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato  avrà vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina" (oujde;n e{rpei - qnatw`n brovtw/ pavmpoluv g j ejkto;~ a[ta~ vv. 611-614). - e[pei cfr. latino serpo
Anche il "sacrilego" Euripide considera questo valore: "ajcalivnwn stomavtwn - ajnovmou t j  ajfrosuvna" - to; tevlo" dustuciva, cantano le Baccanti  nel Primo Stasimo (vv. 387-389), di bocche senza freno, di stupidità senza misura, il termine è sventura.
 
Pensate la chiacchiera insignificante di quanti voglio mettersi in mostra  anche approfittando delle sventure. O anche alle contraddizioni dei politici i quali  ogni volta  che si esibiscono fanno una scena finalizzata ad accaparrarsi dei voti, cadendo pure in contraddizione. Sull’euro per esempio.
 
Più avanti il coro canta che Dioniso odia chi non si prende cura di tenere il cuore e la mente lontani dagli uomini straordinari[3]:ajpevcein prapivda frevna te ;;;;;;- perissw'n para; fwtw'n" (vv.427-428).
La virtù che consiste nell'evitare la dismisura si presenta in vari saggi della letteratura antica: ricordo il Catone Uticense della Pharsalia  celebrato da Lucano come uomo ricco di virtù in testa alle quali c'è quella serbare la giusta misura ("servare modum ", II, 381).
Secondo questa concezione, l'amore, in quanto dismisura, è vizio che può addirittura arrivare all'abominio di una Pasife, cui Sileno nella VI bucolica  rivolge un' apostrofe, carica di pathos simile a quella diretta a Coridone:"A, virgo infelix, quae te dementia cepit? " (v. 47).
Pasife del resto non era vergine quando il toro divenne il sui ganzo“ et Minos a bove victus erat” (Ovidio, Ars amatoria, I, 302), Minosse era stato superato dal toro
 
Bologna  30 novembre 2023, ore 10, 33 
giovanni ghiselli

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[1] A. La Penna, Orazio, Le Opere. Antologia , p. 16.
[2] Plutarco , Vita di Solone , 27.
[3] In Delitto e castigo  di Dostoevskij, "gli uomini si dividono in -ordinari- e -straordinari-.Quelli ordinari devono vivere nell'obbedienza e non hanno diritto di violare la legge, perché essi, vedete un pò, sono appunto ordinari. Quelli straordinari, invece, hanno il diritto di compiere delitti d'ogni specie e di violare in tutti i modi la legge, per il semplice fatto d'essere straordinari"(p.290).

lunedì 27 novembre 2023

Ifigenia LXXVII. Il sogno del prato di Sorte

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
La notte sognai. Sognai Ifigenia
 in forma di falce di luna brillante ma tanto sottile che a un piccolo tocco di vento cadeva dal cielo ancora rosso su un prato di colchici viola. Quindi sopraggiungeva la notte. Sul prato si ergevano i boschi e sopra questi i pallidi monti della Valle di Fassa, quelli che mi sembravano grandi e buone figure di eroi, di santi e di sante quando ero bambino. Come ebbi visto precipitare dall’alto la strana, ibrida forma composta di membra femminili e di luna, corsi verso la zona dov’era caduta la contaminata creatura illuminando l’erba e lasciando quasi nel buio il povero cielo vedovo della sua face notturna più bella. Al suo posto era rimasta una nicchia che prefigurava i buchi neri scoperti anni più tardi.
Il prato fosforescente era quello compreso tra il cimitero di Moena e la frazione di Sorte.
Anche questo luogo preannunciava un evento: nel giugno del 1980 avrei passato una notte triste con Ifigenia nella Malga Panna di Sorte.
La ragazza lunare era tutta spezzata: le sue membra erano sparse a terra qua e là.
Le osservai a lungo con gli occhi quasi accecati dal pianto, quindi mi diedi a raccogliere i pezzi più belli che invece di sangue versavano luce. Poi cominciai a intrecciarli tra loro facendone una luminosa corona che mi posai sulla testa. Infine raccolsi dei fiori e ne feci una ghirlanda di cui mi recinsi le tempie. Superbo del duplice serto andai a specchiarmi nell’acqua di un piccolo lago sormontato da pini e rupi appuntite, simile a quello di Carezza che riflette i boschi  e le guglie del Latemar
Nel lago vedevo riflesso il mio volto incorniciato dalle lucide membra femminili e lunari, dai colchici velenosi e dalla catena montuosa. Così sovraccarico di strani orpelli, il viso assumeva un’espressione demoniaca.
Ossrrvavo l’immagine bella e ripugnante: mista di voluttuoso e di ascetico, di depravato e di santo. Il lago poi diventava la fontana antistante la facciata dell’ università di Debrecen. Intorno alla grande vasca passeggiavano le mie tre finlandesi amate da me più di ogni altra donna incontrata sulla terra durante la mia vita mortale.
A un tratto i pezzi della ragazza-luna si ricomposero nel corpo intero, perfetto di Ifigenia che con un balzo tornò nella nicchia lasciata vuota quando era precipitata dal cielo. Questo un poco alla volta si annuvolò lasciando nel buio le rocce, i boschi e il prato dove cadeva una pioggia fredda e pesante che in poco tempo disfece la ghirlanda di fiori. Infine un buio pesto mi tolse la visione del mondo.
Pensai che fosse la morte, invece mi svegliai. Dovevo pensare al significato di queste immagini oniriche numerose e diverse.
 
Bologna 27 dicembre 2023 ore 12, 20

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Ifigenia LXXVI. "Grazie davvero"

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Mentre si beveva un poco di questo vino ontologico parlammo
 di D’Annunzio, in particolare del romanzo Il piacere con il protagonista che aveva sostituito il senso morale con quello estetico.
 
A un tratto Teresa mi fece una domanda che mi spiazzò: “quanto bene conosci la giovane collega che frequenti?”
“Abbastanza bene”
“Allora ti sarai accorto che è un’avventuriera”
“Può darsi, comunque mi piace molto. Da quando la frequento mi trovo visco concupiscentiae expeditus, liberato dal vischio della concupiscenza per altre donne.
“Capisco: è davvero bella. Peccato che sia cretina: se fosse anche intelligente potrebbe conquistare la terra con quell’aspetto”.
 
Questa volta la “cara collega” mi aveva offeso prima dicendo che la mia compagna era scema, poi aggiungendo che se fosse stata meno imbecille avrebbe conquistato vette molto più alte della misera duna sabbiosa costituita dal pofessorucolo di ginnasio che ero io.
 
Tuttavi risposi con civiltà: “Per quanto la conosco sinora, Ifigenia non è una cretina, anzi è una ragazza geniale. Quanto a successivi traguardi, ha tutto il tempo per raggiungerli data l’età”
“Ma quali traguardi? E’ un’oca sesquipedale! Tu sei già troppo per lei! Non è della tua levatura!”
“ A me va più che bene. Il vino era buono. Grazie davvero”.
 
Dire “grazie davvero” invece del semplice “grazie” è un segno di   irrisione o di perfetta idiozia. E’ sufficiente a marchiare l’imbroglione, il ruffiano o l’imbecille.
L’amica che era intelligente, oltre che maliziosa, replicò: “grazie davvero? Non per finta?”
“Scusa, il davvero è riferito al fatto che ora vado a dormire. Ciao Teresa. Se i fatti daranno ragione alle tue parole, te lo farò sapere. Buona notte”.
 
Mi aveva comunque turbato perché in quella ragazza c’era qualcosa che non mi convinceva, a parte i tripudi nel talamo pieni di piacere e di gioia.
Il senso estetico e quello edonistico erano più che soddisfatti ma quello etico era carente.
Data l’ora non le telefonai: non sapevo nemmeno con chi vivesse.
Sicché andai a fare due passi per le strade deserte di Viterbo, quindi tornai in camera mia a dormire da solo. E mi andava bene così.
 
Bologna 27 novembre 2023 ore 10, 55 giovanni ghiselli     
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domenica 26 novembre 2023

The Old Oak, un film da vedere almeno una volta.


 

Ho visto per la seconda volta il film The Old Oak. Mi ha commosso. Ho rivisto l’atmofera dei primi anni Settanta quando le persone buone, generose, leali erano, eravamo, in maggioranza e perfino “di moda”.

Ora la moda è cambiata mentre io sono rimasto a quella di allora. Mi sono commosso anche perché la protagonista del film, l’attrice Ebla Mari, e il  meraviglioso personaggio Yara da lei interpretato, mi hanno ricordato, fin nei particolari, nell’aspetto e nello stile, Helena, il mio amore dell’estate 1971, il più bello, il più vero della mia vita.

 

Bologna 26 novembre 2023  ore 23, 59. giovanni ghiselli

 

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Ifigenia LXXV. Una collega simpatica. Est, est, est

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
La sera del 23 marzo ero di nuovo a Viterbo, questa volta in gita scolastica.

Ifigenia a Bologna si aspettava una telefonata che non potei farle. Quando la vidi un paio di giorni più tardi mi disse che aveva passato diverse ore vicina al telefono aspettando che la  chiamassi. Veramente ne venni ostacolato ma sappiamo tutti che se uno ha tanta voglia di fare una cosa come telefonare, trova il modo di farla. Dopo la cena in effetti mi ero messo in fondo a una piccola fila di giovani rumorosi in attesa del mio turno di fare la chiamata promessa.
A un tratto mi si accostò una collega  simpatica, Teresa, una cinquantenne ben messa e vispa davvero. Aveva in mano un grosso cartoccio grigio e un poco unto.
Disse: “vieni Gianni Ghiselli,  vieni con me: ti faccio assaggiare un’offa buona da impazzire.
“Cioè? Che cosa mi offri? Una prelibatezza locale, un lusso adatto a un ventre  erudito? Il mio è quasi analfabeta, abituato com’è a pane ordinario e rape cotte. Quando va bene un morso di cacio”, le dissi per stare al gioco.
“Una sorpresa” rispose a bassa voce protendendo l’offerta che mandava odore di porchetta molto pepata.
Ero incuriosito dalle mosse della donna che all’epoca consideravo troppo matura viro, ossia per il vir  che ero allora, non ancora trentacinquenne.
Salimmo dunque nella sua camera. Quando fui entrato, la signorina appoggiò l’involto sul tavolino, lo spalancò con mossa rapida, quasi felina e disse: “guarda che meraviglia! Mezzo chilo di porco cotto e drogato!”.
Mi venne in mente un capitolo dell’Ulisse di Joyce che stavo studiando: “Calipso, la colazione”
La vispa seguitò: “ Il cibo sciapo del ristorante non mi ha appagata. Sicché ho girato qui intorno cercando una rosticceria e ho trovato questa delizia.
Poi c’è una seconda prelibatezza: una bottiglia di vino vero, sostanziale, tre volte essenziale: Est, Est, Est di Montefiascone!” E lo tirò fuori dall’armadio posandolo sul tavolino accanto alla porchetta.
La cena era stata davvero modesta ma non mi ero meritato di più con il  movimento perciò non allungai le mani sulla carne di porco che pure mi piace. La collega invece prese il pezzo più grosso e pepato, quindi me lo allungò dicendo: tieni caro collega, ti offro il boccone più grande e più condito, un brano di carne sapida e palpitante:  sei giovane e snello: goditi la vita!”
Devo chiarire che questa donna era una brava insegnante e aveva una buona educazione. Era carina e umana. Quando parlava si teneva a metà tra l’ironica predilezione crepuscolare per le buone cose di pessimo gusto e il compiacimento felliniano della mostruosità stupefacente. Tutto con ironia.
Risposi che la sua ospitalità era regale, ma io non avevo fame. Ne avrei mangiato un pezzo il giorno dopo se me l’avesse serbato.
“Non sai  quello che perdi, ghiselli. La porchetta oltretutto è un ottimo afrodisiaco. Ovidio  nell’Ars amatoria consiglia :"bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces", tu me lo insegni ma io ti avverto che questo boccone è più efficace. Vero è però che tu con la splendida ragazza che hai tra le mani non hai bisogno di altri stimoli. Sicché non insisto. Il vino quintessenza però devi accettarlo.
“Sì volentieri, collega, compagna e cara amica Teresa”.
 
Bologna 26 novembre 2023 ore 17, 25 giovanni ghiselli.
p. s.
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