sabato 16 agosto 2025

Nietzsche e i Greci 14. Preghiere nere.


Le donne allieve di Ecate

“L’uomo vuole la donna arrendevole –ma la donna nella sua essenza, è proprio tutt’altro che arrendevole, è simile al gatto, per quanto si sia esercitata a darsi un’apparenza pacifica”[1]

“Tanto nella vendetta quanto nell’amore, la donna è più barbara dell’uomo[2].

Si pensi a Medea nella cara tragedia di Euripide e in quella  di Seneca. E’ una barbara allieva di Ecate. Si può pensare anche alla madre e alle zie di Penteo nelle Baccanti  o a  Procne con Filomela in diversi testi da Ovidio a T. S. Eliot. Hanno ammazzato i figli.

La Medea di Seneca invoca Ecate triforme[3],  (vocetur Hecate, Medea, v. 577),  la dea nera, a presiedere i sacra letifica (Medea, 577) i riti mortali. Questa divinità infernale  sembra essere la principale vindice delle donne abbandonate.

Ecco la preghiera nera della Medea di Euripide

“Infatti per la signora che io venero

più di tutti e mi sono scelta come alleata- xunergovn-

Ecate , che abita nei penetrali del mio focolare,

nessuno di costoro rallegrandosi farà soffrire il mio cuore (Euripide, Medea, vv. 395-397).

 

Poi quella di Seneca

La Medea di Seneca si è costruita un'identità cattiva per controbattere un mondo cattivo. Già l'invocazione iniziale, dalle "connotazioni stilistiche decisamente innologiche" è una "preghiera nera" [4] indirizzata "voce non fausta " (v. 12), con parole di maledizione. Dopo avere pregato Giunone e Minerva, Nettuno ed Ecate triforme[5], la donna furente chiama  "quosque Medeae magis fas est precari" (vv. 8-9), anche gli dèi che Medea ha maggior diritto di invocare, ossia le potenze delle tenebre:" noctis aeternae chaos[6],/ aversa superis regna, manesque impios,/ dominumque regni tristis et dominam fide/ meliore raptam, voce non fausta precor  " (vv. 9-12), caos della notte eterna, regni opposti al cielo, ombre empie, signore del regno cupo e signora rapita con miglior fede[7], con parole non propizie vi prego.

 La moglie abbandonata dunque cerca di congiurarsi con le divinità infernali attraverso una specie di devotio: consacro a voi me stessa, i miei figli e i miei nemici.

 

 

Simeta, l'amante che nell’Idillio II di Teocrito. Le incantatrici,  vuole avvincere l'uomo in fuga , il bell'atleta Delfi,  con filtri (favrmaka) degni di Circe (vv. 15- 16), di  Medea, nipote di Circe, figlia del Sole, e della maga Perimede,  nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate tremenda, Ecate sotterranea che atterrisce anche i cani (Le incantatrici Teocrito, v. 12) .

Pure Didone, lasciata da Enea, invoca, con l'Erebo e il Caos, Ecate triplice ( tergeminamque Hecaten,  Eneide IV, 511) la dea "nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes " (Eneide, IV, 609) chiamata a ululati nei trivi notturni per le città.

 

Ecate compare anche nel Macbeth: si rivolge alle streghe (the weird women, the weird sisters, le donne, le sorelle fatali) rimproverandole di non averla consultata, dato il suo ruolo:"And I, the mistress of your charms,/the close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra?  

 

D’altra parte: “Tutte le donne sono un po’ fattucchiere quando sono innamorate”[8].

 

“Giovane: un antro arabescato di fiori. Vecchia: un drago che esce fuori”[9].

 

La donna e i mostri.

 “Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare te” (Nietzsche, Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 146.)

 

Si pensi a Deianira

Nelle Trachinie  di Sofocle Deianira è la moglie infelice, sposa dell'infedele Eracle. Sin da ragazza, quando abitava con il padre, ebbe una dolorosissima paura delle nozze (v. 7-8). Infatti ricorda:"Mnhsth;r ga;r  h\n moi potamov",  jAcelw'/on levgw" (v. 9), il mio pretendente era un fiume, dico l'Acheloo. Insomma era corteggiata da un mostro.

 "Deianira appartiene ancora, in qualche modo, al regno dei mostri: è stata richiesta in sposa da uno di essi, desiderata da un altro[10], che l'ha toccata, che si confida con lei e ne fa una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha fattezze ferine. Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e come fremito, Deianira non potrà uscire"[11].

La lotta da cui Eracle esce vincente è un fragore di mani, di archi di corna taurine insieme confuse (Trachinie , vv. 517-518).

La Deianira delle Heroides[12] di Ovidio,  lontana da Eracle occupato a inseguire  terribili fiere,  è ossessionata dal pensiero dei mostri con i quali il marito deve lottare:"inter serpentes aprosque avidosque leones/iactor et haesuros terna per ora canes " (IX, 39-40), mi aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni bramosi, e cani[13] pronti ad attaccarsi con tre bocche. Senza contare gli amori con le straniere:"  peregrinos addis amores "(v. 49).

 

Mostruosità rivendicate da alcuni, e la delicatezza d’animo necessaria per vincere i mostri.

 

 

Ora viviamo in mezzo a diverse mostruosità: la guerra in Ucraina che nessuno vuole concludere, la morte per acqua dei profughi lasciati annegare senza soccorsi, e senza alcuna mea culpa da parte di alcuno,  il bullismo degli adolescenti in una scuola che non istruisce, tanto meno educa, i lavoratori trattati come schiavi, i femminicidi, i puericidi, la lingua nostra maltrattata e avvilita dalle chiacchiere mediatiche degli ignoranti e dei bugiardi. Ci stiamo abituando a questo e rischiamo di mostrificarci tutti. Molti sono già dei mostri.

Calvino nelle Lezioni Americane – 1993-(capitolo Leggerezza, p. 10)  cita Ovidio  che nelle   Metamorfosi (IV, 740-752) racconta un atto di delicatezza da parte di Perseo: il figlio di Danae, dopo avere ucciso la Gorgone anguicrinita, ne appoggia la testa al suolo ma, usandole un premuroso riguardo, ammorbidisce la terra con foglie e stende verghe nate nel mare:"anguiferumque caput dura ne laedat harenā " (v.  741), per non sciupare con la sabbia scabra il capo che porta serpenti.

 "Qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatezza d'animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri…Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo è l'eroe non potrebbe essere meglio rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quell'essere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile e fragile. Ma la cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla Medusa"

Villa Fastiggi 16  agosto 2025 ore 17, 30 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 131.

[2] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 139.

[3] "Divinità primitiva e trina (triformis ), essendo associata a divinità appartenenti ai tre regni: la luna (il cielo), Diana (la terra) e Proserpina (gli inferi)". (G. G. Biondi, op. cit., p. 91, n. 5.)

[4] G. G. Biondi, op. cit., p. 91, n. 1.

[5] "Divinità primitiva e trina (triformis ), essendo associata a divinità appartenenti ai tre regni: la luna (il cielo), Diana (la terra) e Proserpina (gli inferi)". (G. G. Biondi, op. cit., p. 91, n. 5.)

[6] Sul caos della notte eterna e peggio si illude di avere riportato vittoria  Ercole:"Noctis aeternae chaos/et nocte quiddam gravius, et tristes Deos/et fata vici"  (Hercules furens, vv. 609-611), ho vinto il caos della notte eterna e qualche cosa di più pesante e gli dei inesorabili e i destini.  

[7]Proserpina che, pur rapita dal re delle tenebre, Plutone, ha ricevuto un trattamento migliore di Medea da Giasone. Come dire che l'inferno peggiore è questo qui sulla terra. Si noti come nei pochi versi citati la parola  fides compaia due volte.

[8] S. Màrai, La donna giusta, p. 204.

[9] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, Le nostre virtù, 237

[10] Il centauro Nesso.

[11]U. Albini, Interpretazioni teatrali , Le Monnier, Firenze, 1972, p. 59.

[12]Sono  lettere d'amore. in distici elegiaci,di donne amanti di eroi, e altre  lettere di uomini a donne del mito con le risposte. Il primo gruppo ( epistole I-XV) uscì secondo alcuni attorno al 15 a. C. ,  fra la prima (20a. C.) e la seconda edizione degli Amores  (1 a. C.). Altri abbassano la data fino al 5 a. C.  Il secondo gruppo di epistole doppie ( XVI-XXI) fu composto poco prima dell'esilio (tra il 4 e l'8 d. C.). Il metro è il distico elegiaco.

[13]Come Cerbero, il cane di Ades, dal ringhio metallico.


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