Le figure famose della scena greca come Edipo e Prometeo sono tutte maschere di Dioniso. L’unico Dioniso dunque appare in una molteplicità di personaggi che hanno la maschera dell’eroe in lotta mentre è preso nella rete della volontà individuale.
Dioniso appare come un individuo che combatte e soffre. Il dio che patisce il dolore dell’individuazione è la fonte e la causa prima di ogni sofferenza.
Dalle lacrime di Dioniso sono nati gli uomini, dal suo sorriso gli dèi olimpici. Egli fu fatto a pezzi dai Titani e in questo stato venne venerato come Zagreus. E’ la versione orfica della nascita di Dioniso-Zagreus. (in Nonno di Panopoli IV-V sec., Dyon. 6. 165-176 e in frammenti orfici).
Le Dionisiache constano di 48 libri e più di 20 mila versi
In quanto dio smembrato, Dioniso ha la doppia natura di un demone crudele e selvaggio e di un dominatore mite e dolce (p. 72). Un Dionoso spaventato che fugge sotto le onde marine si trova nell’Iliade-
Cfr. Iliade VI, 130-140 Diwvnuso~ fobhqeiv~ (135) duvseq j aJlo;~ kata; ku`ma, e, viceversa, le Baccanti di Euripide; poi le Rane di Aristofane.
I vari aspetti di uno stesso mito e di Dioniso.
Per i poeti il mito è come una parola contenuta in un dizionario: quando essa entra in un testo, mantiene soltanto uno dei suoi possibili significati.
Così avviene per Dioniso
Arriano (95-175) ci fa sapere che gli Ateniesi venerano un altro Dioniso, figlio di Zeus e di Core, e il canto Iacco dei misteri viene intonato a questo dio, non a quello tebano figlio di Zeus e Semele (Anabasi di Alessandro, 2, 16, 3).
Così forse si spiega la differenza tra il Dioniso feroce delle Baccanti e quello di Omero, un dio impaurito (Iliade, VI, 135 Diwvnuso" de; fobhqeiv" ) e infantile, che, minacciato da Licurgo, si getta in mare dove Tetide lo accolse in seno spaventato e tremante per le grida dell’uomo. Poi c’è il Dioniso ridicolo delle Rane di Aristofane. In questa commedia il dio, terrorizzato da Empusa, fugge tra le braccia del suo sacerdote (v. 297). Più avanti Dioniso si caca addosso dalla paura di Empusa (v. 479) e viene apostrofato dal servo Xantia con:" oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!"(v. 486). Empusa era un fantasma del corteggio di Ecate. Beveva (cfr. ejmpivnw) il sangue degli uomini.
Personaggi risibili nelle commedie di Aristofane e nell’Italia di oggi
G. W. Hegel mette il Bacco delle Rane tra i personaggi “fin dal pincipio tratteggiati come stolti” delle commedie di Aristofane: “ Così per Strepsiade-nelle Nuvole n.d. r.-, che vuole rivolgersi ai filosofi per sbarazzarsi dei debiti; così per Socrate-Nuvole- che si offre come maestro di Strepsiade e di suo figlio; egualmente per Bacco-nelle Rane- , che egli fa scendere nel mondo sotterraneo per ricondurre alla luce un vero tragico; e lo stesso dicasi di Cleone-Cavalieri- , delle donne-Lisistrata-Ecclesiazuse- Tesmoforiazuse- , dei Greci che vogliono trarre dal pozzo la dea della pace –Pace- ecc. Il tono principale che risuona in queste manifestazioni è la fiducia che tutte queste figure hanno in se stesse, fiducia tanto più incrollabile quanto meno si mostrano capaci di eseguire ciò che intraprendono. Gli stolti sono dei semplicioni , e anche i più svegli presentano subito una contraddizione così evidente con ciò a cui mettono mano, che non perdono mai questa sicurezza ingenua della soggettività, comunque vadano le cose”[1].
Tra questi personaggi risibili non esito a mettere molti uomini cosiddetti grandi, veri servi currentes in politica, nel giornalismo e nei media in genere. Oggi non mancano quelli che si attribuiscono dei meriti per “il passo avanti” costituito dai colloqui di ieri in Alaska.
Personalmente non ho scorto la luce della fine del tunnel. Tanto meno ho visto dei meriti dei politici che hanno sempre soffiato sul fuoco della guerra.
La tragedia poi la farsa dei fatti storici che si ripetono.
Woody Allen fa dire a un personaggio del film Crimini e misfatti (1989): “Comedy is tragedy plus time”, la commedia è la tragedia più del tempo, nel senso che con il passare del tempo i fatti tragici possono diventare ridicoli. Potrebbe accadere un fatto risibile a porre termine a queste guerre: la tragedia allora diventerebbe ilarotragedia.
Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, conosciuto anche come Il 18 brumaio di Luigi Napoleone, è un'opera di Karl Marx, pubblicata per la prima volta nel maggio 1852. Marx analizza il corso del colpo di Stato del 2 dicembre 1851, compiuto in Francia da Napoleone III.
Napoleone I aveva posto fine al governo del Direttorio il 18 brumaio- 9 novembre del 1799-. Quindi istituì il Consolato essendone il primo Console su tre. Poi comsole a vita 1802 poi imperatore 1804.
Marx riprende Hegel scrivendo che se quest'ultimo aveva scritto che tutti i grandi eventi storici e personaggi si ripetono, per così dire, due volte, aveva omesso di specificare che la prima volta è sempre una tragedia, e la seconda una farsa.
La tragedia poi la farsa dei fatti storici che si ripetono.
Dioniso era comunque uno dei modelli per Alessandro Magno, che talora manifestava crudeltà e ferocia, talora delicatezza d’animo, talora anche volgarità. Lo è stato ancora di più per il triumviro Antonio.
Gli epopti, gli iniziati speravano nella rinascita di un terzo Dioniso come fine dell’individuazione. Nietzsche ricava, forse ancora da Nonno, che Demetra immersa in eterna tristezza si rallegra quando le si dice che può ancora una volta generare Dioniso.
“La dottrina misterica della tragedia è la conoscenza fondamentale dell’unità di tutto ciò che esiste, la concezione dell’individuazione come causa prima del male, l’arte come lieta speranza che il dominio dell’individuazione possa essere spezzato, come presentimento di una ripristinata unità (La nascita della tragedia, capitolo 10).
Una cura mentale contro l’egoismo e l’odio. Ci ha provato anche il comunismo in alcune parti del mondo. In Italia Aldo Moro ha cercato di portare il PCI al governo e lo hanno ammazzato. Era un uomo nobile e antico.
"In nulla al mondo, infatti, io credo così profondamente, nessun'altra idea mi è più sacra di quella dell'unità, l'idea che l'intero cosmo è una divina unità e che tutto il dolore, tutto il male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti inscindibili del Tutto, che l'io dà troppa importanza a se stesso. Molto dolore avevo sofferto in vita mia (…) L’unità che io venero dietro molteplicità non è un’unità noiosa, grigia, concettuale, teoretica. E’ la vita stessa, piena di gioco, di dolore, di risa".
H. Hesse, La Cura (del 1925, p. 77 e p. 137)
L’epos omerico, si diceva, è la poesia con cui la cultura olimpica intona il suo canto di vittoria sui terrori del Caos dominato da Titani e Giganti, gli eterni nemici del cosmo e della cultura
Sono interessanti le riflessioni di Rohde (1845-1898) su "l'uso di ardere i cadaveri". In effetti "Omero non conosce altro modo di seppellire i morti che la cremazione". Il filologo tedesco non trova soddisfacente per l'epica la congettura secondo cui "la cremazione, come l'usarono i Persiani, i Germani, gli Slavi ed altri popoli, provenga da un'epoca in cui la vita era nomade" e l'orda errante, riducendo in cenere il cadavere poteva "condurne seco i resti nel seguito dell'emigrazione". Questo uso dovrebbe valere solo per gli Achei lontani da casa. Nell'Iliade però "anche i Troiani sogliono abbruciare nella propria terra i loro morti". Del resto "le ceneri di Patroclo, di Achille, di Antiloco, di Aiace, riposano in terra straniera (Od ., 3, 109 sgg.; 24, 76 sgg.)...Non c'è dunque il proposito di portare con sé in patria i resti del cadavere". E allora? "Il vero scopo dell'arsione dei cadaveri non si deve cercare così lontano. Se si pensa che la distruzione del corpo per mezzo del fuoco ha per effetto il completo distacco dell'anima dalla terra dei vivi[2], si deve ammettere che i sopravvissuti che provocano questo atto, lo provocano appunto perché lo vogliono, e che dunque la relegazione dell'anima nell'Ade fu lo scopo, e l'intento di raggiungere questo scopo fu la ragione del sorgere della cremazione...l'unico fine che si perseguiva in tal modo era quello di produrre una pronta e completa separazione dell'anima dal corpo". Insomma si trattava di evitare la paura dei morti in "questo mondo omerico fatto naturalmente solo per i forti, gli accorti ed i potenti"[3].
Allora "con la cremazione del corpo si provvede ai morti, che cessano di vagare irrequietamente ed ancor più ai vivi, che non possono in tal modo imbattersi più nelle anime, relegate nella profondità della terra. I Greci di Omero, da lungo abituati ad ardere i cadaveri, sono liberi da qualunque timore degli spiriti "erranti"; ma alla cremazione deve bene avere indotto per la prima volta il timore di ciò che in futuro sarebbe poi stato evitato dall'arsione del corpo. Se le anime venivano cacciate con tanto zelo nell'al di là invisibile è segno che si dovevano temere come abitatrici sospette del nostro mondo"[4].
"Laggiù, nel cupo regno d'abisso, esse vanno vagando, prive di coscienza, od al massimo dotate di una semi-coscienza crepuscolare, con voce fioca e stridula, deboli, insensibili, essendo spariti carne, ossa e tendini"[5].
Odisseo, giunto ai confini (peivraq j) dell’Oceano dalla profonda corrente[6] "sulla riva del regno del nulla dove deve sprofondare ogni gioia ed ogni potenza di vita"[7], evoca le yucaiv . Queste si accostano "prive di coscienza, o al massimo dotate di una semi-coscienza crepuscolare"[8], tranne Elpenore, poiché il suo corpo non è ancora stato bruciato, e pure il vate Tiresia che per grazia di Persefone ha conservato anche il dono profetico. Gli altri, le teste svigorite (" ajmenhna; kavrhna", XI, 29) vogliono avvicinarsi al sangue degli animali sgozzati e devono berlo per esprimersi umanamente e veracemente.
Stazio nella Tebaide racconta che Tiresia con libagioni di vino, latte, miele, e di sangue che attira le ombre, evoca il vulgus exangue (IV. 519) dei morti.
Se vogliamo ricordare Carducci: "Non paure di morti ed in congreghe/diavoli goffi con bizzarre streghe"[9].
Ma nella tragedia i miti omerici appaiono trasformati da una concezione ancora più profonda. Alla fine della trilogia prometeica, Zeus si allea con il Titano così la cultura titanica viene riportata dal Tartaro alla luce.
I miti del mondo omerico devono accogliere, come Eschilo, la mitologia inferiore-le Erinni- e la filosofia della natura selvaggia.
Fu la forza erculea della musica a liberare Prometeo dai suoi avvoltoi e a trasformare il mito in un veicolo di sapienza dionisiaca. Il mito correva il rischio di rattrappirsi nella ristrettezza di una pretesa realtà storica.
Le religioni si estinguono quando i presupposti mitici vengono sistematizzati come eventi storici e il mito pretende di avere una fondatezza storica. Gà Ecateo razionalizza i mito risibli (il Tenaro, il cane e i buoi di Eracle in Ambracia) poi Tucidide elimima il mito.
Con Eschilo il mito morente fu afferrato dal genio della musica dionisiaca e fiorì ancora una volta mandando un profumo che suscitava il presentimento struggente di un mondo metafisico. Tuttavia dopo questa rinascita, il mito declina, le sue foglie appassiscono e i beffardi Luciani dell’antichità cercano di ghermirne i fiori scoloriti e inariditi. La tragedia giunta al suo significato più profondo si solleva ancora una volta come un eroe ferito e nell’occhio gli arde un ultimo potente bagliore.
L’empio Euripide, il sacrilego Euripide. cercò di costringere ancora una volta questo eroe a servirlo e il mito morì tra le sue braccia violente. Lo sostituì, nel dramma euripideo un mito mascherato che cercava di adornarsi con l’antica pompa come la scimmia di Ercole.
Con Euripide moriva il mito e moriva anche il genio della musica. Euripide la saccheggiava a piene mani da tutte le parti ma giunse a una musica imitata e mascherata. Aveva abbandonato Dioniso e anche Apollo abbandonò Euripide. I discorsi dei suoi eroi sono scritti nel linguaggio di una dialettica sofistica e hanno passioni imitate e mascherate. Euripide conta e ragiona senza avere capito che la vita non è un conto o una figura geometrica, ma un prodigio. Euripide è sottovalutato e pure frainteso da Nietzsche,
A dire alcune donne delle sue tragedie hanno una dimensione eroica. Gli uomini piuttosto sono spessi dei graeculi.
Villa Fastiggi di Pesaro 16 agosto 2025 giovanni ghiselli ore 18, 49
p. s.
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[1] Hegel, Estetica, p. 1618.
[2]V. specialmente Il . 23, 75, 76; Od . , 11, 218-222.
[3]E. Rohde, Psiche , p. 2.
[4]E. Rohde, op. cit., pp. 29 e sgg.
[5]E. Rohde, Psiche , p. 11. In nota l'autore cita:"ouj ga;r e[ti savrka" te kai; ojsteva i'jne" e[cousin"(Odissea , XI, 219), infatti i tendini non reggono più le ossa e la carne.
[6] Odissea, XI, 13.
[7]E. Rohde, Psiche , p. 55.
[8]E. Rohde, op. cit., p. 10
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