martedì 5 marzo 2013

Il pericolo


Se non verrà posto un rimedio alla sempre crescente disuguaglianza tra i pochi ricchi e i tanti poveri, il prossimo scossone verrà dalla rabbia degli affamati. Giorni fa camminavo per via Rossini, il cardo della sedes Pisauri che Catullo definì moribunda [1].
Ebbene questa via  della cittadina marchigiana, una delle “vasche” dove nei maggi odorosi degli anni Sessanta noi ragazzi passeggiavamo per mirare le fanciulle in fiore ed essere mirati da loro e rallegrarci nel cuore, l’altro giorno era presidiata da schiere di poveracci, neri e bianchi, che chiedevano l’elemosina. Era un problema scegliere i più malconci per aiutarli con qualche moneta, schivare gli aggressivi, trovare le parole buone con le quali rispondere ai più educati. Se queste truppe di disperati cresceranno fino a diventare maggioranza, fino a costituire un esercito infuriato, guidato da caporioni pronti a tutto,  non si limiteranno a infastidirci con le loro richieste troppo insistenti, come già fanno alcuni, a darci sensi di colpa con le loro flebili querimonie, ma colpiranno e deruberanno quanti avranno l’aria di essere benestanti. Gli agiati veri e quelli presunti. La fame infatti non distingue, e il bisogno estremo scaccia la paura.
Paura di che poi? Delle sentenze dei giudici? Ma i poveri le sentenze più dure e spietate le hanno già subite da questa società che umilia o annienta il lavoro e differenzia gli stipendi con sproporzioni colossali, creando discrepanze che gridano vendetta. Quella umana e probabilmente anche quella divina. Allora è necessario porre un rimedio a questo. Levare a chi ha troppo per darlo a chi ha troppo poco. Le disuguaglianze attuali costituiscono un’offesa alla dignità umana e  sono di fatto la negazione della democrazia, della religione cristiana, dell’equità tanto sbandierata quanto presa a calci. Non basterà continuare a ripetere frasi fatte e luoghi comuni rancidi e falsi come: “abbiamo avuto senso di responsabilità” o “siamo stati salvati dal baratro”. La gente oramai ha capito che lor signori hanno di fatto la responsabilità del baratro nel quale stiamo cadendo.
Dicono che vogliono portare le donne al potere. In realtà non poche di loro, magari dall’aspetto gradevole e non solo dio  sa quanto mi piacciono le femmine umane venuste, vengono mandate allo sbaraglio nelle trasmissioni televisive dove ripetono a pappagallo gli slogan oramai fuori corso coniati dai capi, politici di lungo corso e lunga rapina. Magna inter fures concordia. Dopo la quinta apparizione  le petulanti donzelle paiono pure brutte.
Certo, ci vuole senso di responsabilità, ma prima bisogna capire quali sono i mali e quali i rimedi. Prognosi, diagnosi  e “medicine forti” come ebbe a scrivere lucidissima   mente il  segretario fiorentino.
Il primo male dunque è la disuguaglianza innaturale tra esseri umani che respirano tutti con il naso e mangiano tutti con la bocca. Taccio altre analogie, che pure ci sono, con pudica aposiopesi.
Il secondo male è l’ignoranza che dilaga dappertutto. Rozza incultura che comporta cattivo gusto, maleducazione, arroganza, peccati estetici e misfatti morali.
Faccio un esempio di assoluta evidenza, un paradigma fortemente negativo.
Berlusconi, conciato come il maiale per la festa del santo patrono del paese con il palo della cuccagna e tutto il resto, rivolge battute triviali a una donna che lì per lì non reagisce, poi si reca in tutte le trasmissioni possibili levando lai e lanciando accuse, anche giuste per carità, ma espresse in una lingua franca tra l’italiano e non so quale dialetto comprensibile or sì or no. Né manca il sospetto che dietro tali apparizioni ci sia qualche astuto burattinaio.
Sarebbe bastato replicare al vecchio satiro: “certe battute vai a farle con tua figlia!” e andarsene via, magari dopo avere appioppato un paio di ceffoni al grugno sfacciato.
Questa povera gente dunque è stata espropriata di tutto: del lavoro, della scuola, del linguaggio, della dignità.
Non credo che si accontenterà di chiacchiere trite e ritrite ancora per molto tempo.
Un caro saluto ai miei 8400 lettori che ispirano questi pezzi ricchi di pathos. Facit indignatio verba.  

Giovanni Ghiselli         





[1] 81, 3.

4 commenti:

  1. Sulla questione, ormai arcinota, della signora Angela Bruno vs Berlusconi, vorrei esprimere il mio dissenso rispetto a quanto scritto dal prof. Ghiselli nell’articolo “Il pericolo”.
    Ciò che non mi trova d’accordo, anzitutto, è un certo tono ostile, in via di principio, alle donne che si impegnano in politica. Che vuol dire “si vogliono portare le donne al potere”? Chi ce le vuole portare? Le donne aspirano, come è giusto che sia e come succede in tutti i paesi civili, a ricoprire ruoli istituzionali alla pari degli uomini. O dobbiamo forse pensare che tali ruoli debbano essere riservati solo agli uomini, mentre le donne – soprattutto quelle ”venuste”, si direbbe – è bene che si occupino di altro? Certo, in televisione di donne petulanti, arroganti ed ignoranti se ne vedono alquante; ma non meno uomini, con le stesse caratteristiche, anzi elevate al quadrato. E mi pare anche inappropriato sottolineare che questo succede con donne “magari dall’aspetto gradevole”, come se fosse naturale, al contrario, aspettarsi quei comportamenti riprovevoli solo da donne dall’aspetto sgradevole. Un tale criterio non dovrebbe entrare in campo nel valutare la bontà delle idee di una persona; non ci entra, in genere, nei confronti degli uomini, tende ad entrarci, invece, nei confronti delle donne. In questo caso, mi verrebbe da dire, il berlusconismo si insinua dove meno te l’aspetti.
    Ma, soprattutto, vorrei spezzare una lancia a favore della signora Bruno. Certo che sarebbe stato bello e giusto se la signora, invece di mostrarsi divertita al pari del pubblico, avesse reagito immediatamente alle volgari battute del vecchio satiro, magari appioppandogli un ceffone. Sarebbe stato da applausi. Ma come non ritenere umanamente comprensibile, in quella situazione, l’atteggiamento della signora? Si tratta di una dipendente dell’azienda, che aveva di fronte un uomo di grande potere, alle spalle tutta la dirigenza schierata che applaudiva, in sala tutto il pubblico che rideva di gusto. Dico di più: il fatto che nessuno, in quella sala, abbia avuto il coraggio di gridare al vecchio satiro “Smettila, cialtrone!” a me pare ben più vergognoso della reazione posticipata della signora.
    In quella reazione posticipata c’è stato qualche consiglio, o, come dice Ghiselli, un “burattinaio”? Forse, non si può escludere che qualcuno l’abbia fatta riflettere sull’umiliazione subita, ma non mi interessa. Mi interessa che quella reazione, ancorchè ritardata, fosse giusta – come riconosce lo stesso Ghiselli. Ma allora perché rimproverarle di essersi espressa in una “lingua franca tra l’italiano e non so quale dialetto comprensibile or sì or no”? Se la signora ha modi ed eloquio poco eleganti, che toglie questo alla sostanza della questione? Ancora una volta, vogliamo valutare la sostanza di una questione morale sulla base di criteri estetici? E’ vero, anche a me la signora è parsa poco gradevole a sentirsi, ma questo non mi ha indotto a pensare che, dunque, visto che si esprimeva male, qualcuno, per trarre vantaggi elettorali, l’avesse spinta ad accusare il vecchio satiro, né mi ha fatto velo nel riconoscere pur sempre in lei la vittima offesa pubblicamente, e che pertanto aveva tutto il diritto di “levare lai e lanciare accuse” pubblicamente.
    Certo, nella forma saranno sembrati, a chi l’abbia visto in televisione, più gradevoli i modi e più appropriato l’eloquio del signor Galan; ma ben più ignobile nella sostanza mi è parso quel suo sventolare il cellulare a mo’ di avvertimento mafioso nei confronti della signora, minacciando di rivelare chissà quali nefandezze sul suo conto, qualora avesse persistito nel dichiararsi poco onorata dalle simpatiche battute del vecchio satiro.

    Marcello Tartaglia (marcellotartaglia@tin.it)

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  2. Caro Marcello,
    ti ringrazio per le tue osservazioni tutt'altro che sciocche. Mi fanno pensare, come ogni parola sentita da te durante il lungo percorso delle nostre vite segnate da sentieri paralleli, a partire dal liceo Mamiani di Pesaro, via via attraverso le scuole medie nella provincia veneta, il Galvani Bologna, le maturità, i concorsoni, la SSIS.
    Tutto questo non è un caso. Et tu litteras scis et ego. Dunque, fratello, intende: laetaberis.
    Un abbraccio
    Tuo
    Gianni

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    1. Alle nostre vite parallele aggiungo il collegio universitario e il pensionamento contemporaneo.
      Sono contento, comunque, che il dissenso sulle idee non infici un'antica amicizia.
      Marcello

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  3. Un saluto a entrambi con grande simpatia, in ricordo del biennio della SSIS 2006/2008
    Roberto

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