Papa Francesco
Laudato si’
Sulla cura della causa comune
La presenza dei Greci in questa
enciclica
Francesco parte citando il santo suo
eponimo quando loda il Signore per “sora nostra madre terra/la quale ne
sustenta et governa, /et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba”.
Il papa associa la malattia del suolo, dell’acqua
e dell’aria alla “violenza del cuore umano ferito dal peccato”.
E’ il topos del nesso che intercorre
tra l’uomo, la sua psiche e la terra dove abita, il determinismo geografico.
Nel primo canto della Gerusalemme liberata di Tasso, l’esercito sfila davanti al “pio
Buglion”. Alcune schiere di crociati portano impressi i segni della terra di
provenienza: “ Ma cinquemila Stefano d’Ambuosa/e di Blesse e di Turs in guerra
adduce. / Non è gente robusta e faticosa, /se ben tutta di ferro ella riluce. /La
terra molle, lieta e dilettosa, /simli a sé gli abitator produce. /Impeto fan
ne le battaglie prime, /ma di leggier poi langue e si reprime” (T, Tasso, Gerusalemme liberata, I, 62) .
La terra dunque influisce sugli uomini,
e gli uomini, a loro volta, sulla terra.
I delitti e le malattie umane possono rendere
malata la madre comune e perfino il cielo: ricordo l'
Oedipus di Seneca dove il protagonista si accusa
dicendo "
fecimus coelum nocens (v.
36) , abbiamo reso colpevole il cielo. Nel
Macbeth,
un nobile scozzese, Lennox riferisce quanto si dice sia avvenuto nella notte
dell’assassinio del re: "
some say the earth was feverous, and did shake"
(II, 3) , la terra era febbricitante e ha tremato.
Dunque l’ecologia è
anche psicologia ed è pure etica
Francesco denuncia
gli stili di vita dannosi e grossolani. Dobbiamo cambiarli.
Sono i costumi corrotti della civiltà
decrepita descritta da Petronio nel Satyricon.
Trimalchione è il
gigante dell’intrapresa privata che possiede latifondi estesi da Terracina a
Taranto e vuole unirli a quelli della Sicilia.
Il pacchiano liberto smisuratamente
arricchito vanta i suoi colossali possessi: "deorum beneficio non emo, sed
nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non
novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere
agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem"
(Satyricon, 48, 2) , grazie a dio non
compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel
podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine
con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli voglio
unire la Sicilia, in modo che, quando mi andrà di recarmi in Africa, possa
navigare lungo le mie terre.
Lo spreco è un altro degli obiettivi polemici del Papa. Spreco del cibo.
Si può di nuovo pensare a
Trimalchione e al suo banchetto mostruoso dove i convitati non devono
riconoscere quello che mangiano, secondo il precetto di Apicio
,
oppure si può ricordare a Giovenale che nella I satira descrive persone le
quali
una comedunt patrimonia mensa (138)
, divorano patrimoni in un solo banchetto.
Si tratta di ingordi che imbandiscono per sé
cinghiali interi,
quanta est gula quae sibi totos
ponit apros, animal propter convivia natum!
poena tamen praesens cum tu deponis amictus
turgidus et crudum pavonem in balnea portas
hinc subitae mortes atque intestata senectus (140-144) . Quanto grande è la gola che
imbandisce per sé cinghiali interi, animale nato per i conviti? La punizione
però è pronta, quando tu ti togli le vesti gonfio di cibo e porti nel bagno il
pavone non digerito. Di qui morti improvvise e la vecchiaia senza testamento. Il
funerale che segue riceve applausi falsi dai clenti adirati.
Per certa gente, emula di
Caligola, lo spreco diviene predicato di
magnificenza e di felicità: Nepotatus
sumptibus omnium prodigorum ingenia superavit, con le spese dello sperpero superò il talento di tutti i prodighi (Svetonio, Caligula 37) .
Lo spreco presuppone
l’avidità priva di scrupoli.
Nell’ultima parte
del
Satyricon, ambientata a Crotone, la
senectus intestata viene corteggiata
dagli
heredipetae, giovani cacciatori
di eredità che si prostituiscono ai vecchi ricchi o sedicenti tali, come
Eumolpo cui una madre affida
,
la
speciosissima filia perché il vecchio poeta la inizi
ad pygesiaca
sacra, (140) ai sacri riti delle natiche.
La madre è una matrona
di Crotone, inter primas honesta, di primissimo rango, una che da
giovane aveva estorto personalmente multas hereditates, ma poi, divenuta
anus et floris extincti, vecchia e appassita, portava i figli a
compiacere i vecchi senza eredi et per hanc successionem artem suam
perseverabat extendere, e attraverso questa successione continuava a
sviluppare il suo mestiere.
La Roma di Petronio e Giovenale viene chiamata da
Nietzsche: "questo rospo velenoso con gli occhi di Venere"
.
Francesco denuncia anche la spogliazione delle foreste
Nel
terzo coro della Medea di Seneca, i
coreuti danno questo avvertimento: "Quisquis audacis tetigit carinae/nobiles remos nemorisque sacri/Pelion
densa spoliavit umbra, / quisquis intravit scopulos vagantes/et tot emensus
pelagi labores/barbara funem religavit ora/raptor externi rediturus auri, /exitu
diro temerata ponti/iura piavit. /Exigit poenas mare provocatum "
(Medea, vv. 607-616) , tutti quelli
che toccarono i remi famosi della nave audace, e spogliarono il Pelio
dell'ombra densa della foresta sacra; chiunque passò tra gli scogli vaganti e, attraversati
tanti travagli del mare, gettò l'ancora su una barbara spiaggia, per tornare
impossessatosi dell'oro straniero, con morte orribile espiò le violate leggi
del mare. Fa pagare il fio il mare provocato
Francesco,
nota il papa omonimo, “amava ed era amato per la sua gioia” (10) e aggiunge: “Se
noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore
e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della
bellezza della nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno
quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse
naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati” (11) .
E
pure incapace di pensiero filosofico: Aristotele afferma che gli uomini hanno cominciato a fare filosofia, sia
ora sia in origine, a causa della meraviglia: "
dia; ga;r to;
qaumavzein oiJ a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto filosofei'n"
.
La natura è "uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci
trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà" (12)
La deduzione della bontà del creato dalla bontà del creatore si trova, com’è
noto, nel Timeo di Platone: se il
cosmo è bello (eij me;n dh; kalovς ejstin o{de oJ kovsmoς) l’artefice è
buono (o Jdhmiourgo;ς ajgaqovς) .
Il demiurgo, il migliore degli
autori (a[ristoς tw'n aijtivwn) , ha guardato al
modello eterno (pro;ς to; ajivdion e[blepen) . Sicché il cosmo è
la più bella tra le cose nate (kavllistoς tw'n gegonovtwn 29a) .
Amare Dio significa amare il prossimo: “Amerai il tuo prossimo come te
stesso” (Libro del Levitico, 19, 18) .
Dio è amore. Platone consiglia l’assimilazione a Dio (oJmoivwsiς qew', Teeteto
(176b) .
Altra frase chiave dell’enciclica: “tutto nel mondo è intimamente
connesso” (16) .
Platone nel Menane scrive: “th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh" (81d) , tutta la
natura è imparentata con se stessa.
Dostoevskij fa dire
allo stariez Zossima che "il mondo è come l'oceano; tutto scorre e
interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si
ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere
perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato,
se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita
sarebbe certo migliore"
.
Bisogna dunque cogliere i nessi.
Più avanti (42) Francesco
torna su questo punto: “Poiché tutte le creature sono connesse tra loro, di
ognuna dev’essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi
esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri”
Seconda parte
Attraverso la
sofferenza, la comprensione
Il papa suggerisce
“di prendere dolorosa coscienza” e “osare trasformare in sofferenza personale
quello che accade nel mondo, e così riconoscere qual è il contributo che
ciascuno può portare” (20) .
È il nesso tra pavqo" (sofferenza) e mavqo" (comprensione) che risale all’Agamennone di Eschilo (tw'/ paqei mavqo",
v 177) e viene ripreso molte volte nella
letteratura europea. Ricordo solo l'Alcesti di Euripide, dove Admeto, sentendo
il peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio
della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è
rimasto e dice: "lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw",
condurrò una vita penosa: ora comprendo (v. 940) . In seguito, come si sa, gli
verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.
Quindi Francesco evidenzia i limiti
della tecnologia la quale “legata alla finanza, pretende di essere l’unica
soluzione dei problemi”, mentre “di fatto non è in grado di vedere il mistero
delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte
risolve un problema creandone altri” (20)
Lo stesso inventore antico della tecnologia,
Prometeo, ne denuncia la limitatezza “ tevcnh d j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ”, la conoscenza pratica è molto più debole
della necessità (Eschilo, Prometeo
incatenato, v. 514) .
Cfr. a questo
proposito anche Curzio Rufo: “Ceterum, efficacior
omni arte, necessitas non usitata
modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit” (Historiae
Alexandri Magni, IV, 3, 24) , del resto la necessità più potente di ogni
tecnica, suggerì loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono
i Tirii che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C.
Il sapere non è
sapienza
Quindi il Papa fa
una riflessione su “La vera sapienza” che è “frutto della riflessione, del
dialogo e dell’incontro generoso fra le persone”. Essa dunque “non si
acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e
confondere, in una specie di inquinamento mentale” (47) .
Ritrovo il: "to; sofo;n d j ouj sofiva" di Euripide (Baccanti, v. 395) , il sapere non è sapienza. Il sofovn è neutro e
non produce, non genera vita; la sofiva è
femminile ed è feconda.
Un’ idea del genere
si trova nel discorso finale del film di Chaplin The great dictator (1940) : il barbiere, sosia di Hynkel-Hitler, scambiato
per il grande dittatore deve parlare alla folla con parole che legittimino e
anzi esaltino la prepotenza del tiranno, presentato come il futuro imperatore
del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch-Goebbels. Ebbene il piccolo
grande uomo non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice di non volere
comandare su nessuno, ma aiutare tutti. Poi continua così: “Our knowledge has made us cynical, our
cleverness hard and unkind. We think to much and feel to little. More than
machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and
gentleness”, la nostra
conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi
pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno
di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza.
La sapienza non è di
vedute basse e volgari: Pindaro nell’ Olimpica
IX afferma che diffamare gli dei è
odiosa sapienza (tov ge loidorh'sai qeouv"-ejcqra; sofiva, vv. 37-38) , e
che le montagne della sapienza, essendo scoscese (sofivai menv-aijpeinaiv, 107-108) , comprendono la forza della
natura e richiedono grandi energie per scalarle.
La tecnologia e
l’economie devono essere regolate da norme perché può essere volta al bene ma
anche al male.
La tecnologia e
l’economia devono essere regolate da norme chiare e ineludibili: “Si rende
indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e
assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere
derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la
politica ma anche la libertà e la giustizia” (53) .
La tecnologia e
l’economia infatti, se lasciate senza regole e arbitrarie, possono volgersi
tanto al bene quanto al male, come fa notare Sofocle nel celeberrimo I stasimo
dell’Antigone: l’uomo “ il quale possiede
il ritrovato della tecnologia, / che è un qualche sapere (sofovn ti) , oltre l'aspettativa/ora si volge al male,
ora al bene/ e le leggi della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è
grande nella città (u{yipoli") bandito
dalla città (a[poli'")
è quello con il quale /coesiste
la negazione del bello morale (to; mh; kalovn) , per la sfrontatezza. /Non mi stia accanto sul focolare/né sia uno
che ha lo stesso pensiero/chi compie queste azioni" (vv. 365 -375) .
Tote;
me;n kakovnm a[llotj ejpj ejsqlo;n e{rpei (367) , ora si volge al male, ora al bene
Difatti più avanti (102) Francesco scrive: “L’umanità
è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte
ad un bivio”.
E, ancora più avanti:
“la tecnica separata dall’etica difficilmente sarà capace di autolimitare il
proprio potere” (136)
Francesco deplora
assai giustamente “il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei
condizionatori d’aria”. Sono portatori di germi patogeni ma “i mercati, cercando
un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda” (55) .
Quindi la condanna
della guerra: che oltre distruggere vite umane “Causa sempre gravi danni
all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi diventano enormi
quando si pensa all’energia nucleare e alle armi biologiche. Si richiede alla
politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono
dare origine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato con la finanza è quello
che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno ampiezza
di vedute” (57) .
Antiche e nobili maledizioni
della guerra
Nel primo Stasimo dell’Agamennone di Eschilo (del 458) , Ares viene
definito "oJ
crusamoibo;" d j [Arh" swmavtwn" (v. 437) , il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra
distrugge le vite e arricchisce gli speculatori. Dai conflitti infatti,
"invece
di uomini
urne
e cenere giungono
alla casa di ciascuno" (Agamennone, 434-436) .
Nella Parodo dell’
Edipo re
Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come "il dio disonorato tra
gli dei" (
ajpovtimon
ejn qeoi'" qeovn, v. 215) .
In maniera analoga
il tenente Mahler, il disertore amante della contessa adultera del film
Senso
di Visconti pone questa domanda
retorica: "Cos'è la guerra se non un comodo metodo per obbligare gli
uomini a pensare e ad agire nel modo più conveniente a chi li comanda?".
Caso o Provvidenza?
Solo la Provvidenza (Provnoia) può dare all’universo l’ordine e la
bellezza che vediamo. La tragedia scoppia quando il disordine umano va a
cozzare contro l’ordine del kovsmo": “Che meravigliosa certezza è sapere che la vita di ogni persona non si
perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da
cicli che si ripetono senza senso! (Laudato
sì’, 65)
E più avanti (77) : “Perfino
l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei
pochi secondi di esistenza egli lo circonda con il suo affetto”
E Shakespeare: “there is a special providence in the fall of
a sparrow" (Amleto, V, 2) , c'è
una provvidenza speciale perfino nella morte di un passero.
Più avanti (96) il
Papa cita l’evangelista Luca: “Cinque passeri non si vendono forse per due
soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio” (et unus ex illis non est in oblivione coram
Deo, Lc 12, 6)
La proprietà invero
è solo un usufrutto da custodire.
La terra e ogni
altro bene che possediamo ci è stato dato in custodia (cfr. Gen. 2, 15) . “Custodire vuol dire
proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione
di reciprocità responsabile tra essere umano e natura (…) Perciò Dio nega ogni
pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non si potranno vendere per sempre, perché
la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv 25, 23) ”
(67)
Altrettanto
in Seneca che nella Consolatio ad Marciam
(10, 2) scrive: "mutua accepimus. Usus
fructusque noster est ", abbiamo ricevuto delle cose in prestito. L'usufrutto
è nostro.
La
giustizia arriva, prima o poi, comunque sempre.
In
questa enciclica non mancano, anzi prevalgono parole di ottimismo: “l’ingiustizia
non è invincibile” (74) .
Solone
ed Eschilo sono assertori della vittoria della Giustizia già qui sulla terra.
Vediamo i primi
versi dell'Elegia alle Muse di Solone
"Splendide
figlie della Memoria e di Zeus Olimpio,
Muse Pieridi, ascoltate
la mia preghiera:
concedetemi il
benessere da parte degli dei beati, e di avere una buona/
reputazione da parte di tutti gli uomini
sempre;
e di essere in tal
modo dolce per gli amici e amaro per i nemici,
rispettato dagli uni,
temibile a vedersi per gli altri.
Ricchezze desidero
averne, ma possederle ingiustamente
non voglio: in ogni
caso più tardi è solita arrivare Giustizia. (1-8)
Ora
sentiamo anche tragediografo. Nel terzo dramma dell’Orestea, le Erinni, sulla via di diventare Eumenidi, dicono: "Rispetta
l'altare di Giustizia, e non disprezzarlo calciandolo con piede ateo in vista
del guadagno: infatti poi segue il castigo" (vv. 539-541) .
Gli stessi accenti
posati sulla forza vincente e ineludibile della Giustizia si trovano nel primo
stasimo dell’Agamennone. Eschilo è in
effetti uno dei profeti della giustizia
"infatti
non c'è difesa di ricchezza contro Sazietà, per l'uomo che con arroganza ha
preso a calci il grande altare di Giustizia, con il proposito di
annientarla" (Agamennone, primo
stasimo 381-384) .
E, poco più avanti:
"Ogni
rimedio è vano. Il danno non rimane nascosto,
ma
risalta, quale luce di sinistro bagliore; e, come bronzo cattivo, per
sfregamento e colpi, diventa nero il colpevole sottoposto a giustizia, poiché insegue,
come un fanciullo, un uccello che vola" (Agamennone, 387-394) .
Anche
il male è funzionale al bene
Anche
il male serve al bene: “molte cose che noi consideriamo mali, pericoli o fonti
di sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori del parto, che ci stimolano a
collaborare con il Creatore” (Laudato si’,
80)
Ancora
l'assimilazione a Dio
e la condivisione delle sue decisioni, con la concezione della Provvidenza: “
Nihil
indignetur sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur ad
conservationem universi pertinere…placeat homini quidquid deo placuit” (
Ep.
74, 20) , (l’uomo) non si sdegni di nulla di quanto gli accade e sappia che
quelle stesse congiunture dalle quali gli sembra di essere danneggiato servono
alla conservazione dell'universo. Piaccia all'uomo tutto quanto piace a Dio.
Nietzsche chiama
questo atteggiamento
amor fati: “La mia formula per la grandezza
dell'uomo è
amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti
a sé, per tutta l'eternità…
amor fati è la mia più intima natura”
.
L’umanesimo è amore
per tutto ciò che è umano
Nel capitolo
successivo (81) si legge una massima umanistica: “A partire dai testi biblici, consideriamo
la persona come soggetto, che non può essere ridotto alla categoria di oggetto”.
I testi greci e latini non sono da meno.
Amore per l’umanità dunque che troviamo già in Omero. Sentiamo quello
che dicono Nausicaa a Odisseo e Eumeo sempre a Odisseo
La principessa dei
Feaci Nausicaa, nel VI canto dell’Odissea
(207-208) vuole aiutare Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e dice
queste parole alle ancelle in fuga spaventate dall’aspetto miserabile e
orribile di Odisseo: “ to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin
a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, dobbiamo prenderci cura di questo: da Zeus
infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro
Le stesse parole (Odissea, XIV, 57-59) dice Eumeo il guardiano dei porci di Itaca
quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante, irriconoscibile, e il
porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare
lo straniero (xei`non
ajtimh`sai) , nemmeno quando ne
arriva uno kakivwn più malconcio di lui.
Bisognerebbe che Salvini e la gente come lui
leggessero i classici.
Non dissimile è la situazione di Edipo
giunto a Colono cieco e vagabondo, per giunta malfamato. Teseo, il re di Atene,
lo aiuta poiché, dice “so di essere uomo” (Edipo
a Colono, v. 567) .
Il sapere di essere uomo che cosa comporta?
Significa incontrare una creatura mezza
distrutta come è Edipo cieco, esule e mendico, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande, chiedendo di
che cosa abbia bisogno: “
kaiv s j oijktivsa"-qevlw jperevsqai,
duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j
e[cwn, -aujtov" te chj sh; duvsmoro" parastavti"", (
Edipo
a Colono, vv. 556-559) , e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice
Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui, tu e
l’infelice che ti aiuta.
Essre uomo significa
ascoltare, mettersi nei panni del supplice e comprendere con simpatia poiché
siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte.
" Fammi
sapere-continua Teseo- infatti dovresti raccontarmi misfatti atroci perché mi
sottraessi; poiché so che anche io sono stato allevato da straniero, come te, e
in terra straniera ho affrontato più di ogni altro uomo lotte rischiose per la
mia vita, sicché non rifuggirei dal salvare nessuno straniero, come ora sei tu,
in quanto so di essere uomo (e[xoid j ajnh;r w[n, v. 567) e so che del domani nessun attimo appartiene più a me che a
te" (vv. 560-568) .
A queste parole si
può accostare l’
homo sum di Terenzio:
"
Homo sum: humani nil a me alienum
puto "
.
La natura ci educa e
contribuisce a formare la nostra identità
La natura può essere
una delle educatrici della sensibilità umana e una formatrice della nostra
identità: “Chi è cresciuto tra i monti, o chi da bambino sedeva accanto al
ruscello per bere, o chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando
ritorna in quei luoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità” (84)
H. Hesse in
Peter
Camezind scrive: "Le montagne, il lago, le tempeste e il sole erano i
miei educatori ed amici che per molto tempo mi furono più cari degli uomini e
del loro destino"
La natura non è
“qualcosa di separato da noi” né una “mera cornice della nostra vita” (Laudato si’, 139)
Tutto è pieno di dèi.
"
Qalh'" wj/hvqh
pavnta plhvrh qew'n ei\nai"
,
tutto è pieno di dèi, pensò Talete, non diversamente da quanto leggiamo in
questa enciclica: “c’è una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e
nel calare della notte” (
Laudato si’,
85)
Il sole è l’immagine
visibile della divinità, ne “porta significatione”.
A proposito del
riflesso di Dio in tutto ciò che esiste e in particolare del sole, papa
Francesco cita i versi del Cantico del santo di Assisi che lodano le creature
del Signore e “spetialmente messer lo frate sole, /lo quale è iorno, et
allumini noi per lui. /Et ellu è bellu e radiante con grande splendore: /de te,
Altissimo, porta significatione” (87)
Ebbene il Sole come
immagine visibile della mente divina si trova anche nel mito della caverna
della Repubblica di Platone: la luce
del sole nel visibile (e[n tw'/ oJratw'/ fw'ς) è generata dall’idea suprema del bene nel campo conoscibile (ejn tw̃/ gnwstw'/ teleutaiva hJ tou' ajgaqou' ijdeva, 517c) che a fatica si vede, ma, una volta
vista, va considerata quale causa per tutti di tutte le cose rette e belle.
E’ questa idea del
bene dunque che fa apparire il sole, signore della luce, ed è lei la signora (kuriva) che nell’intellegibile (e[n te nohtw'/) elargisce la verità e l’intelligenza.
Giuliano Augusto detto dai Cristiani l’
"Apostata" riassume questi elogi dell'antichità in termini
neoplatonici nella orazione A Helios re
dedicata a Salustio. Questo "sermone natalizio" fu redatto alla fine
del 362 d. C. per celebrare il 25 dicembre, dies
natalis Solis invicti. Elio è visto come il signore del mondo intelligente
e viene definito dio mediatore e potentissimo assai simile al Bene preesistente
a tutte le cose. Giuliano cita la Repubblica
di Platone dove (508c) si dice che il Sole è figlio del Bene ("tou' ajgaqou' e[kgonon") che il Bene generò simile a sè ("oJ;n tajgaqo;n
ejgevnnhsen ajnavlogon eJautw'/") e
ciò che è il Bene nel mondo intelligibile, rispetto all'intelletto e agli intelligibili,
è Helios nel mondo visibile rispetto alla vista e alle cose visibili (5, 17-21)
. L’Uno (e{n) o il Bene (tajgaqovn) , come lo
chiama Platone, ha rivelato da sé Elios dio potentissimo del tutto simile a sé.
Quindi Elios viene identificato con Zeus e con Apollo (31)
Alla fine (44) Giuliano prega Elio, to;n basileva tw'n
o{lwn, di accordargli una vita virtuosa, una
intelligenza più piena e una mente divina. E alla fine della vita vorrebbe
congiungersi a lui.
Sor’ aqua
Per quanto riguarda il verso “Laudato
si’, mi’ Signore, per sor’aqua” del Cantico Francesco, gli avvicino l’incipit
dell’Olimpica I di Pindaro: “a[riston me, n u[dwr, ottima è l’acqua.
La proprietà privata
La proprietà privata è considerata
legittima, tuttavia “su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale,
perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato…Questo
mette seriamente in discussione le abitudini ingiuste di una parte
dell’umanità” (93) . Mi vengono in mente i bambini scheletrici di certe ampie
zone del mondo, e gli obesi i torpidi ghiottoni che disonorano il nostro paese.
Sant’Ambrogio nel De Nabuthae già ricordato da papa Francesco,
scrive: “Non de tuo largiris pauperi sed
de suo reddis” (53) , non concedi del tuo al povero, ma gli rendi del suo.
L’energia nucleare.
Il papa prosegue (104) notando il
“tremendo potere” insito nell’energia nucleare, nella biotecnologia et cetera. Come
il sapere non è sapienza, così il potere non è potenza, oppure è una potenza
malvagia se è privo di “un’etica adeguatamente solida, una cultura e una
spiritualità che realmente gli dia un limite e lo contenga entro un lucido
dominio di sé” (105)
E’ necessaria “una politica, un
programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad
una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico” (77)
E’ questo l’invasore cui ultimamente penso
quando mi viene in mente e magari mi metto a cantare “Bella ciao” che i cori
della mia generazione ripetevano spesso.
Sviluppo senza progresso e consumismo.
Francesco polemizza molto giustamente
anche con quello che Pasolini chiamava lo sviluppo senza progresso e con il
consumismo (112) suggerito dalla pubblicità, dai mass media e dai governi.
Già Epicuro
suggeriva che i consumi davvero necessari sono limitati e facilmente
procurabili: Tw̃n ejpiqumiw'n aij me;n eijsi fusikaiv, aiJ de; kenaiv, kai;
tw'n fusikw'n aiJ me;n ajnagkai'ai, aiJ de; fusikai; movnon, dei
desideri alcuni
sono naturali, altri invece sono vuoti, e dei naturali alcuni sono necessari, altri
solo naturali.
Ebbene tutto ciò che
è naturale è a portata di mano: "to; me;n fusiko;n pa'n eujpovristovn ejsti” (Epistola
a Meneceo 130)
Gli fa eco Lucrezio“Ergo corpoream ad naturam pauca
videmus-esse opus omnino, quae demant cumque dolorem” (De rerum natura, II, 20-21) , dunque vediamo che alla natura sono
del tutto necessarie poche cose che tolgono il dolore e in tal modo offrono
anche il piacere.
“Nessuno vuole
tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per
guardare la realtà in altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e
sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da
una sfrenatezza megalomane” (114)
I grandi valori
imprescindibili. L’arte politica, la giustizia, il rispetto.
Sono quelli indicati
da Platone nel Protagora
In questo dialogo platonico, il sofista
Protagors racconta che Prometeo donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza
tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i mortali commettevano
ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou") in
quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b) . Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto
e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo
l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a portare tra gli uomini
rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta
eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c) . Chi non le avesse accettate, doveva essere
ucciso come malattia della città (322d) .
Nel Politico,
Platone fa dire allo straniero di Elea che l’arte politica regia è quella di
prendersi dell’intera comunità umana (ejpimevleia dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~
koinwniva~, 276b) . Guidare gli uomini come fanno i
pastori con gli animali, dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n tevcnhn, tecnica dell’allevamento, non basilikh;n kai;
politikhvn tevcnhn (276c) , non arte
regia e arte politica. Infatti il re e l’uomo politico è quello che si prende
cura (ejpimevleian) di uomini bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn dipovdwn, 276d) .
Il sogno prometeico
è ingannevole.
“Molte volte è stato
trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato
l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli” (116) . Il “sogno
prometeico” di fatto è ingannevole.
Lo stesso Titano di Eschilo deve
riconoscere: ho infuso in loro
cieche speranze ("tufla;" ejn aujtoi'"
ejlpivda" katw/vkisa", Prometeo incatenato, v. 250) .
Egli è divinità solo apparentemente benefica in
quanto portatore di conoscenze pratiche fuorvianti: " qnhtou;" g j e[pausa mh; prodevrkesqai movron", ho fatto smettere ai mortali di prevedere il destino
di morte" (v. 248) .
Prometeo ha reso ciechi gli uomini
riguardo al futuro.
Le leggi e i loro limiti.
“La logica dell’usa e getta produce
tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di
cui realmente si ha bisogno. E allora non possiamo pensare che i programmi
politici o la forza della legge basteranno a evitare i comportamenti che
colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si
riconosce più alcuna verità oggettiva o princìpi universalmente validi, le
leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da
evitare” (123)
E più avanti: “Le leggi possono essere
redatte in forma corretta, ma spesso rimangono come lettera morta” (142)
A proposito
dell’impotenza delle leggi, riferisco quanto disse Anacarsi Scita a Solone
Solone, ammirata la prontezza di spirito di quello
straniero, lo accolse amichevolmente e lo trattenne per qualche tempo presso di
sé, quando già si occupava degli affari pubblici e stabiliva le leggi. Anacarsi
venutolo a sapere, derideva l’opera di Solone che pensava di fermare le
ingiustizie e le pretese dei cittadini con norme scritte, le quali non
differiscono per niente dalle ragnatele ἃ mhde;n twn ἀracnίwn diafšrein, ma, come
quelle, trattengono i deboli e i piccoli tra gli irretiti, mentre dai potenti e
ricchi verranno lacerate. Plutarco
Vita di Solone, 5, 2-4.
Sentiamo anche Tacito il quale afferma che la
legge non vale di fronte alla consuetudine e denuncia la corruzione dei costumi
dei Romani contrapponendo spesso illic
a ibi o ad alibi: “ Nemo illic vitia
ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur” nessuno là, tra i
Germani, si prende gioco dei vizi, né corrompere ed essere corrotti si chiama
moda (Germania, 19) ,
E alla fine dello
stesso capitolo: “ plusque ibi boni mores
valent quam alibi bonae leges” e valgono più là i buoni costumi che altrove
le buone leggi.
Negli Annali lo storiografo scrive che le
leggi sono impotenti contro la forza, l’intrigo, il denaro leges quae vi ambitu postremo pecunia turbabantur (I, 2) .
Nel III degli Annali, Tacito scrive alcuni capitolo sull’ordinamento sociale e
giuridico dei romani. Nei primi tempi c’era l’aequalitas e non c’era bisogno di leggi. Poi irruppero ambizione e
violenza e si stabilirono signorie o leggi come quelle cretesi di Minosse, quelle
di Solone, e a Roma Romolo e Numa che impose al popolo il freno della religione,
poi Tullo e Anco. Il primo ordinatore delle leggi fu Servio Tullio (III, 26) . Leggi
semplici in origine.
Nel capitolo seguente (III, 27) Tacito scrive
che le 12 tavole segnarono finis aequi
iuris, la fine del diritto giusto.
In seguito le leggi per vim latae sunt, quindi vennero i Gracchi e i Saturnini, turbatores plebis, turbatori della plebe
poi Silla che impose un freno alle novità, ma i tribuni ebbero di nuovo licenza
di agitare il popolo, et corruptissima
repubblica plurimae leges.
Monachesimo in fuga
dal mondo e monaci attivi. Necessità e nobiltà del lavoro.
Il Papa ricorda che
a una fase di monachesimo che fuggiva dal mondo seguì Benedetto da Norcia (480-547)
il quale “volle che i suoi monaci vivessero in comunità, unendo la preghiera e
lo studio con il lavoro manuale (Ora et
labora) (126) .
La fase della fuga
dal mondo è rilevata da Rutilio Namaziano, prefetto di Roma nel 414, il quale
nel De reditu suo scrive dell’isola
di Capraia che
Squalet lucifugis insula plena viris
Ipsi se monachos graio cognomine dicunt. (I, 440-441)
“La realtà sociale
del mondo di oggi (…) esige che si continui a perseguire quale priorità
l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti” (127) .
Il
primo encomiatore del lavoro è stato Esiodo: gli dei e gli uomini odiano
l'inoperoso, simile per indole ai fuchi senza pungiglione (Opere e giorni, 303) , mentre l'uomo che lavora è assai più caro
agli immortali (309) . Non è vergognoso il lavoro, ma l'ozio (311) .
I
piccoli produttori e la teoria della classe media.
“Le
autorità hanno il diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e
fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione” (129)
.
Tre sono le classi
dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli
che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere
dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro
i possidenti.
In conclusione: "Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j
o{ntin j a]n tavxh/ povli"",
(Supplici, vv. 244-245) , delle tre
parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa
dispone. Anche Plutarco nella Vita di
Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli
unificò la popolazione e fondò la democrazia dell’Attica ma non permise che questa,
risultante da una massa indistinta riversatasi là, fosse disorganizzata e
confusa (ouj
mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2) .
Concludo con l’Oreste (del 408) .
“Egli
vede negli
aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli
sono in grado di salvare la
polis. Il
v. 920 dell'
Oreste - "un
lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la
patria"
-ricorda
da vicino
Suppl. 244: "delle tre
parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi
per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di
loro proprietà"
.
Il relativismo
culturale
“La visione consumistica dell’essere umano (…)
tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale,
che è un tesoro dell’umanità (…) Neppure la nozione di qualità della vita si
può imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e
consuetudini propri di ciascun gruppo umano” (95) .
Si può pensare al relativismo culturale di
Erodoto o pure alla logica aperta al contrasto delle due Divkai delle Coefore.
Per le comunità
aborigene con le loro tradizioni culturali “la terra non è un bene economico, ma
un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano
,
uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la
loro identità e i loro valori” (
Laudato
si’, 146) .
L’ ajgorav necessaria.
“Come sono belle le città che, anche nel loro
disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione,
favoriscono il riconoscimento dell’altro!” (152) . Insomma com’è bella l’ajgorav con le sue discussioni e i suoi valori (divkh, povno~, aijdwv~,
fides, disciplina, pudicitia etc)
“bisogna aggiungere
che i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando mancano le grandi
mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di significati, capaci di
conferire ad ogni società un orientamento nobile e generoso” (181)
Il problema di fondo
è quello dell’auri sacra fames, dell’adorazione
del denaro e del consumo, dell’idolatria.
Il tempo.
“Il tempo è
superiore allo spazio” (178) .
Il tempo soltanto rivela l’uomo giusto, crovno~ divkaion a[ndra
deivknusin movno~, si legge
nell’Edipo re di Sofocle (614) .
Sant’Agostino
definisce il tempo distentionem ipsius
animi (Confessiones, XI, 25)
Il potere che non
subisce controlli è quello del tiranno.
“Se i cittadini non
controllano il potere politico-nazionale, regionale e municipale-neppure è
possibile un contrasto dei danni ambientali” (179)
Nelle Storie di Erodoto la teoria antitirannica è attribuita al nobile
persiano Otane il quale, durante il dibattito costituzionale, contrappone alla
monarchia il potere del popolo che prima di tutto ha il nome più bello: "
ijsonomivhn", poi non fa nulla di quanto perpetra
l'autocrate: infatti esercita a sorte le magistrature ed ha un potere soggetto
a controllo: "
uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei" (III, 80, 6) .
Erodoto attraverso Otane formula già la
teoria, poi riproposta da Polibio, secondo la quale la monarchia degenera
inevitabilmente in tirannide. Tra i sette nobili Persiani, quando ebbero
parlato anche Megabizo, che propugnava l'oligarchia, quindi Dario, il quale sosteneva
la monarchia e l'inevitabilità della degenerazione sia della democrazia sia
dell'aristocrazia (III, 82) verso le rispettive forme deteriori, prevalse
quest'ultimo con l'argomento che a loro la libertà era venuta da un monarca. Allora
Otane non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una
specie di manifesto dell'antisadismo: "ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III,
83, 2) , infatti non voglio comandare né essere comandato.
“Una forte tendenza al rifiuto di obbedire è spesso
accompagnata da una tendenza altrettanto forte al rifiuto di dominare e di
comandare”.
La politica e l’economia. Questa non deve prevalere su
quella. Ratio e Natura.
“La politica non deve sottomettersi all’economia (…) Oggi,
pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e
l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente
della vita umana” (189) . La politica, come la cultura deve potenziare la
natura seguendone le indicazioni. La ratio
dell’uomo deve osservare, rispettare, seguire e pure imitare la natura: “sequitur autem ratio naturam. Quid est ergo
ratio? Naturae imitatio” (Seneca, Ep.
66, 39)
Il progresso deve comprendere la sfera etica e quella
estetica.
Dobbiamo “ridefinire il progresso. Uno sviluppo
tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita
integralmente superiore, non può considerarsi progresso” (194) . Progredire
significa infatti avanzare, procedere verso il meglio. E il meglio è il buono e
il bello.
Il profitto.
“Il principio della massimizzazione del profitto, che
tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione
concettuale dell’economia” (195) . Il kevrdo~ (profitto)
è una delle fissazioni del tiranno.
Tucidide scrive che i tiranni delle città greche, siccome
badavano solo al proprio vantaggio, non compirono alcuna impresa notevole (I, 17)
.
Il condizionamento pubblicitario al consumismo
compulsivo. Aconzio e Cidippe.
“Dal momento che il mercato tende a creare un
meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone
finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese
superflue” (124) .
E’ il meccanismo inventato da Aconzio per sedurre
Cidippe (cfr. gli Aitia di Callimaco
e le Heroides di Ovidio) .
“L’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto
quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e
distruzione reciproca” (204) . Tornando alla omoivwsi~ qew`/ di Platone (Teeteto, 176) alla
assimilazione a Dio, nell’ Eracle di
Euripide leggiamo che Dio non ha bisogno di nulla (v. 1341) e dunque l’uomo che
gli somiglia ha bisogno di poco.
Possedere e utlizzare.
Non si devono acquistare prodotti nocivi alla vita: “acquistare
è sempre un atto morale oltre che economico” (206) .
Si può pensare alla distinzione tra kth`sqai, (possedere) e crh`sqai (utilizzare)
dell’Economico di Senofonte
Il Socrate di Senofonte dice a
Critobulo: le medesime cose per chi sa servirsene sono averi utili, per chi
invece non sa servirsene non sono averi utili: "Taujta; a{ra o[nta tw'/
me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de;
mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata"
(Economico, I, 10) ; così i flauti sono
utili per chi li sa suonare bene; per chi non lo sa, non sono niente più che
sassi inservibili ("oujde;n ma'llon h] a[crhstoi livqoi") . Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il
denaro; bisogna anche sapersene servire (crh'sqai) .
Luogo simile in Seneca: “Stulto nulla res opus est (nulla enim re uti
scit) , sed omnibus eget” (Ep, 9,
14) , allo stupido non occorre nulla (infatti non sa fare uso di nessuna cosa) ,
ma sente la mancanza di tutte.
“Non va trascurata la relazione che c’è
tra un’adeguata relazione estetica e il mantenimento di un ambiente sano” (214)
. Il bello infatti e parte costitutiva del buono. Non c’è bontà senza bellezza
e viceversa Cfr la kalokajgaqiva.
Il “di più” non serve.
La Bibbia insegna che “meno è di più” (222) . Ma non
solo la Bibbia.
Nelle Fenicie di Euripide troviamo un contrasto fra Eteocle che sostiene il proprio
potere assoluto, e Giocasta che gli fa notare la presenza dell’uguaglianza nel
cosmo.
"Eteocle incentra tutto il suo elogio
della tirannide sul "di più"
,
Giocasta obietta: "
tiv d j e[sti to; plevon;
o[nom
j e[cei monon: /
ejpei; tav g j ajrkounq
j iJkana; toi'" ge swvfrosin",
vv. 553-554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta
ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi
amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a turno, ce le
portano via di nuovo.
Ma Giocasta propugna
l'uguaglianza più in generale: "
kei'no kavllion, tevknon, -ijsovthta tima'n" (
Fenicie,
vv. 535-536) , quello è più bello, figlio, onorare l'uguaglianza; infatti essa
è legge cosmica: "
nukto;" t j ajfegge;" blevfaron hJlivou te
fw'"-i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" (vv. 543-544) , l'oscura palpebra della notte e la luce del sole
percorrono uguale il ciclo annuo. Ora se il sole e la notte si assoggettano a
queste misure
,
domanda la madre, tu non tollererai di avere una parte uguale del palazzo (
su; d j oujk ajnevxh/
dwmavtwn e[cwn i[son, v. 547) e
di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (
tiv th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549) , la onori eccessivamente e pensi che sia un gran che?
Pensi che essere
guardati sia segno di valore? E' cosa vuota (kenovn, v. 551) di fatto. O vuoi avere molte pene con molte cose nella casa?
Agitarsi e
affannarsi non serve.
“Gesù
ci invitava a guardare i gigli del campo e gli uccelli del cielo” (226) . In
senso anticonsumistico e antinevrotico.
"Et de
vestimento quid solliciti estis? Considerate lilia agri quomodo crescunt: non
laborant neque nent. Dico autem vobis quoniam nec Salomon in omni gloria sua
coopertus est sicut unum ex istis" (Matteo, 6, 28) , e quanto al
vestire perché vi affannate? Considerate come crescono i gigli dei campi: non
si affaticano e non filano. Eppure vi dico che neppure Salomone in tutta la sua
gloria è stato coperto come uno di loro.
“Un’ecologia
integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la
logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo
del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita
in ogni sua forma” (230)
I piccoli gesti
quotidiani possono testimoniare “una cultura della cura che impregni tutta la
società” (231)
Torno a ricordare “so di essere uomo” (Edipo a Colono, v. 567) detto da Teseo a
Edipo che gli ha domandato per quale ragione lo aiuti.
Segue l’elogio di Maria.
“E’ la donna “vestita di sole, con la
luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo” (Laudato si’ 241) (mulier amicta sole, et luna sub pedibus eius, et, super caput eius
corona stellarum duodecim” (Ap. 12,
1) .
E pure l’encomio di Giuseppe che “Nel
vangelo appare come un uomo giusto, lavoratore, forte” (242)
La necessità di un rinnovamento
“Alla fine ci incontreremo faccia a
faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr. 1
Cor 13, 12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero
dell’universo…Gesù ci dice: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap. 21, 5) ”
(243) . Ecce nova facio omnia, ijdou; kaina; poiw`
pavta. Credo ci sia davvero bisogno di un
rinnovamento.
Papa Francesco conclude la sua
enciclica con una Preghiera per la nostra terra con la quale riconosce ancora
una volta “che siamo profondamente uniti con tutte le creature” (246)
Dato a Roma, presso San Pietro, il 24
maggio, Solennità di Pentecoste, dell’anno 205, terzo del mio Pontificato.
Segue la firma Franciscus
giovanni ghiselli. Bologna, 25 giugno
alle 19, 30
“Ad mensam nemo agnoscet quid manducet”, De re coquinaria (IV, 2)
Cotidie
Nabuthae sternitur, cotidie occiditur…Nescit natura divites, quae omnes
pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum auro argentoque
generamur. Natura omnes similes creat, omnes
similes gremio claudit sepulchri (Ambrogio, De
Nabuthae, 1 -. 2)
Penso con gratitudine ai miei antenati: la nonna
Margherita, il bisnonno Guglielmo e il trisavolo Adamo Scattolari. Non ho
venduto la loro terra a un costruttore, rinunciando ai soldi e agli
appartamenti che mi aveva offerto. E non sono pentito.
Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a
proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi: non
ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j
uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~
ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5) , poiché quelli che hanno imparato a
non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte
le circostanze.
Diodoro Siculo racconta una
cosa del genere a proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza
introdotto dai filosofi: non ci sono schiavi e rispettano in tutti
l’uguaglianza: “tou;~
ga;r maqovnta~ mhvq j uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein
bivon pro;~ aJpavsa~ ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5) , poiché
quelli che hanno imparato a non prevalere e a non sottomettersi ad altri
avranno una vita migliore in tutte le circostanze.
Il consiglio di seguire la natura, in particolare
osservando l'alternarsi del dì e della notte, per prendere decisioni
equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa
dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6) , prendi
decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la
notte.
I mortali non possiedono le ricchezze come
cose proprie, esse sono degli dèi e noi le amministriamo, continua Giocasta (Fenicie, v. 555-556) . Seneca echeggia
questo topos in Ad Marciam de consolatione (del 37d. C.) : "mutua
accepimus. Usus fructusque noster est" (10, 2) , abbiamo ricevuto le
cose in prestito. Nostro è l'usufrutto.