Creonte, tiranno greco Giuseppe Diotti |
Ma
torniamo a Erodoto e alla tirannide. Tiranno per lo storiografo è anche il mouvnarco" raffigurato da
Otane, nel dibattito sulla migliore costituzione (III 79 - 84), come colui che
invidia i migliori, si compiace dei peggiori, ed è pronto ad accogliere le
calunnie. Infatti dai beni che possiede gli deriva l' u{bri", mentre fin
dall'origine gli è innato lo fqovno".
Siccome ha questi due vizi, e[cei pa'san kakovthta, detiene ogni malvagità (III, 80, 4). Dunque
egli: "novmaiav
te kinevei pavtria kai; bia'tai gunai'ka" kteivnei te ajkrivtou"" (III, 80, 5)
sovverte le patrie usanze, violenta le donne e manda a morte senza giudizio. "Così
il persiano Otane riassume ciò che è in sostanza il motivo comune fra i Greci
per l'opposizione alla tirannide"[1].
Nelle tragedie il
tiranno è il paradigma mitico della negatività del potere.
La mancanza di
controllo ne fa l'antitesi del capo democratico. Tale è Edipo finché non
comprende, tale il Creonte dell'Antigone
di Sofocle, tale Serse nei Persiani di
Eschilo, il grande re il quale, pur se sconfitto, " oujc uJpeuvquno"
povlei" (v. 213), non è tenuto a rendere conto alla città, come
invece lo è uno stratego eletto dal popolo. Anche se Serse perderà la guerra, si
consola la madre Atossa, dopo avere raccontato il sogno premonitore della
sconfitta e il brutto segno dato dagli uccelli "swqei; ~ d j oJmoivw~ th'sde koiranei' cqonov~" (v. 214),
basta che si salvi e continuerà comunque a comandare su questa terra.
La
logica del tiranno non può permettergli alcuna “opra pietosa”[2].
Lo dichiara Agamennone nell’Aiace di
Sofocle: “tov toi tuvrannon
eujsebei'n ouj rJa/dion”
(v. 1350), non è facile che un tiranno sia anche una persona pia. Insomma
tirannide e pietà sono incompatibili.
Un personaggio tragico che afferma l'insindacabilità del
potere assoluto è Lady Macbeth nella scena del sonnambulismo: "What
need we fear who knows it, when none can call our power to account it? "
(V, 1), perché dovremmo temere chi lo sappia, quando nessuno può chiamare la
nostra potenza a renderne conto?
Adesso questo potere sta dentro tutte le case: "La televisione è diventato un potere
incontrollato e qualsiasi potere non controllato è in contraddizione con i
princìpi della democrazia"[3].
La televisione, come il tiranno, esige il livellamento
delle teste.
Eschilo contrappone
al potere assoluto il sistema democratico di Atene quando la regina Atossa
domanda ai vecchi dignitari chi sia il pastore e il padrone dell'esercito. Allora
il corifeo risponde: "ou[tino"
dou'loi kevklhntai fwto; " oujd j uJphvkooi" (Persiani, v. 242), di nessun uomo sono
chiamati servi né sudditi.
Nelle Supplici di Eschilo il re, siccome greco, nega
di gestire un potere assoluto: Pelasgo, sovrano di Argo, si rifiuta di fare
qualsiasi promessa prima di essersi consultato con tutti i cittadini (vv. 368 -
369).
Un padrone assoluto è
Zeus nel Prometeo incatenato: "tracu; " movnarco" oujd j
uJpeuvquno" kratei'" (v. 324), un sovrano rigido, né impera
obbligato a rendere conto. Ma Zeus è un dio. Per giunta è costretto alla durezza
dal fatto che il suo regno è nuovo: ": "a{pa" de; tracu; " o{sti"
a}n nevon[4]
krath'/", ogni potere che comanda da poco tempo è duro"
dice Efesto (v. 35). E' uno dei tanti arcana imperii. Lo rivela anche
Didone la quale anzi se ne scusa con i Troiani: "Res dura et regni
novitas me talia cogunt/ moliri" (Eneide, I, 563 - 564), la
dura condizione e la novità del regno mi costringono a tali precauzioni. Una
condizione svelata "alle genti"[5]
pure da Machiavelli: "Et infra tutti e' principi, al principe nuovo è
impossibile fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di
pericoli" (Il Principe, XVII).
Nelle Supplici[6]
di Euripide, Teseo[7]
è il Pericle in vesti eroiche il quale elogia la costituzione democratica
dialogando con l'araldo mandato da Creonte re, anzi tiranno di Tebe. Atene
dunque non è comandata da un uomo solo, ma è una città libera (ejleuqevra povli",
v. 405).
Anche Plutarco attribuisce a Teseo la promessa mantenuta, ai
potenti, di un governo senza re e democratico, nel quale egli si sarebbe
riservato solo il comando dell’esercito e la custodia delle leggi, mentre
avrebbe offerto a tutti uguaglianza di diritti (Vita di Teseo, 24, 2). Poco più avanti (25, 3) Plutarco aggiunge
che di questa rinuncia alla monarchia dà una testimonianza Omero quando nel
catalogo delle navi chiama dh'mo"
solo gli Ateniesi (Iliade, 2, 547).
L'araldo tebano delle
Supplici di Euripide ribatte che il
governo di un solo uomo non è male: infatti il monarca esclude i demagoghi, i
quali, gonfiando la folla con le parole, la volgono di qua e di là a proprio
profitto. Del resto come potrebbe pilotare uno Stato il popolo che non è in
grado di padroneggiare un discorso? Chi lavora la terra non ha tempo né per
imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche: " oJ ga; r crovno"
mavqhsin ajnti; tou' tavcou" - kreivssw divdwsi (vv. 419 - 420), è
infatti il tempo che dà un sapere più forte, invece della fretta.
Nel Duvskoloς (del 316) di
Menandro, Gorgia diffida Sostrato dal cercare di sedurre la sorella
approfittando della sua superiorità economica:
"non è giusto
che il tuo tempo libero (th;
n sh; n scolhvn) danneggi noi
che tempo libero non abbiamo (toi`~
ajscoloumevnoi~). Sappi che il povero il quale
subisce ingiustizia è l'essere più arrabbiato del
mondo" (vv. 293 - 296). E' questo un invito a non esasperare il malessere
dei poveri attraverso la loro umiliazione che invece va attenuata con il
rispetto e la filantropia.
Teseo non controbatte la critica ai demagoghi, che condivide,
ma risponde che il tiranno è l'entità più ostile alla polis: " oujde; n turavnnou dusmenevsteron povlei"
(Euripide, Supplici, v. 429). Egli
infatti uccide i migliori, quelli dei quali considera la capacità di pensare, in
quanto teme per il suo potere: "kai; tou;
" ajrivstou" ou{" a]n hJgh'tai fronei'n - kteivnei, dedoikw; "
th'" turannivdo" pevri" (vv. 444-445). Sicché la città
si indebolisce: come potrebbe essere forte quando uno miete i giovani come da
un campo di primavera si porta via la spiga a colpi di falce? (vv. 447 - 449). Inoltre
il despota si impossessa dei beni altrui rendendo vane le fatiche di chi voleva
acquistare ricchezze per i propri figli. Per non parlare delle figlie che l'autocrate
vuole rendere strumenti del suo piacere.
l'Elettra di
Euripide recitando il biasimo funebre di Egisto allude, con pudica e verginale
aposiopesi, alle porcherie che l'usurpatore faceva con le donne: "ta; d j eij" gunai'ka", parqevnw/ ga; r
ouj kalo; n - levgein, siwpw' " (Elettra, vv. 945 - 946).
Sono gli stessi
motivi della storiografia sulla quale torneremo tra poco. Del resto non sono
molto diversi i tiranni bolliti sonoramente, con "alte strida", nel
Flegetonte dell'Inferno di Dante: "Io vidi gente sotto infino al
ciglio; /e 'l gran Centauro disse: " E' son tiranni/che dier nel sangue e
nell'aver di piglio" (XII, 103 - 105).
CONTINUA
[1]C.
M. Bowra, Mito E Modernità Della
Letteratura Greca, p. 170.
[2]
Cfr. Alfieri, Antigone, V, 2, v. 76.
[5] Cfr. Foscolo, Sepolcri, 157.
[6] Data probabile: 422 a. C.
[7] Il re di Atene che del resto, nel
carme 64 di Catullo e nella Fedra di
Seneca è presentato come perfidus, sleale, dalle due sorelle figlie di Pasife e
di Minosse, Arianna e Fedra appunto.
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