giovedì 20 aprile 2017

recensione di "Il fiume di Eraclito. Poesie" di Adriana Pedicini. IV parte


Nel Satiricon 32 entra Trimalchio con indumenti rossi e due anelli, e, per non ostentare solo queste ricchezze "dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum ", ornato con un braccialetto d'oro.
Il denaro ha annientato il diritto:"quid faciant leges, ubi sola pecunia regnat? ", cosa possono fare le leggi dove comandano solo i quattrini? (14).
L’oro soppiantato l’arte: "noli ergo mirari, si pictura defecit, cum omnibus dis hominibusque formosior videatur massa auri, quam quicquid Apelles Phidiasque, Graeculi delirantes, fecerunt " (88), non devi dunque stupirti se la pittura è morta, dato che a tutti, dèi e uomini, sembra più attraente un mucchio d'oro di quello che fecero Apelle e Fidia, Grechetti matti

 Questi arricchiti, continua Nigrino, non tanto desiderano essere ricchi, quanto ritenuti felici per la ricchezza. Invero noi non siamo padroni ma usufruttuari della roba. I ricchi di Roma si fanno trasportare dagli schiavi come se fossero già sul feretro.

Seneca nel De brevitate vitae (2) scrive: "sed marcentes oscitantesque fata deprendunt ". Alcuni sono talmente presi da occupazioni inerti (iners negotium ) che non si accorgono nemmeno se sono seduti o in piedi: uno portato a braccia fuori dal bagno e seduto su una portantina, domandò:"iam sedeo? "(12).
 Infatti, racconta Nigrino, altri schiavi devono ricordare ai padroni che stanno camminando.
Luciano conclude che è rimasto colpito da Nigrino poiché nella sua natura c'è qualcosa di congeniale alla filosofia.

Omnia mea mecum porto
"Nec non saepe laudabo sapientem illum, Biantem, ut opinor, qui numeratur in septem; cuius quom patriam Prienam cepisset hostis ceterique ita fugerent, ut multa de suis rebus asportarent, cum esset admonitus a quodam, ut idem ipse faceret, 'Ego vero', inquit, 'facio; nam omnia bona mea mecum porto." (Cicero: Paradoxa 1, 1, 8).
Biante di Piene (nella Caria) VI secolo

Omnia mea mecum sunt
Seneca racconta che Stilpone di Megara (IV-III sec.) uscì sorridente dal fuoco che divampava ovunque nella sua città conquistata da Demetrio. Il Poliorcete lo vide e gli domandò num quid perdidisset. E il filosofo che pure aveva perduto persino la moglie e i figli: “Nihil-inquit- perdidi. Omnia mea mecum sunt: iustitia, virtus, prudentia, hoc ipsum, nihil bonum putare quod eripi posset” (Seneca Ep. 9, 18-19)

Si può aggiungere, utilizzando l'Epistola a Meneceo di Epicuro[1], che, tra i desideri (tw'n ejpiqumiw'n), alcuni sono naturali (fusikaiv), altri vani (kenaiv) e tra i naturali alcuni sono anche necessari (ajnagkai'ai, 127); ebbene tutto ciò che è naturale è a portata di mano:"to; me;n fusiko;n pa'n eujpovristovn ejsti” (130) . Ciò che è vano invece è difficile da procacciarsi: to; de; keno;n duspovriston.
Nei classici sono presenti problematiche e situazioni eterne, e la cultura greco-latina che diviene un potenziamento della fuvsi", ci aiuta a comprenderle. Cicerone nei Paradoxa Stoicorum[2] aveva scritto più sinteticamente:"non esse emacem vectigal est" (VI, 51) non essere consumisti è una rendita.
Cornelio Nepote, elogiando Tito Pomponio Attico, scrive: “ cum esset pecuniosus, nemo illo minus fuit emax, minus aedificator” (De viris illustribus, Atticus, 13), pur essendo ricco, nessuno ebbe meno di lui la smania di comprare, né quella di fabbricare.
“Più ricco è in terra chi meno desidera” “Meglio contentarsi che lamentarsi”[3].
Seneca mette tra i precetti che non hanno bisogno di alcuna dimostrazione (probatio) questa sentenza di Catone il Censore: “emas non quod opus est, sed quod necesse est; quod non opus est asse carum est[4], compra non quello che è utile, ma quello che è necessario; quello che è inutile, è caro anche se costa un soldo.
Cleante (filosofo stoico del III se, a. C.) a un tale che gli chiese come potrebbe uno essere ricco, rispose se è povero di desideri (eij tw`n ejpiqumiw`n ei[h pevnh~ (Stobeo, Flori. 95, 28 Mein.)
Sentiamo Marziale (I sec. d. C.): “reges et dominos habere debet/qui se non habet atque concupiscit/quod reges dominique concupiscunt” (II, 68), deve avere re e padroni chi non è padrone di sé e brama quello che re e padroni bramano.
La gente comincia a capire quanto il “bisogno” dell’automobile sia in contraddizione con tanti aspetti e bisogni reali della vita umana, se non addirittura della vita del pianeta.

I padroni ora vogliono che la gente compri le cose necessarie e pure le non necessarie, anche se ha pochi soldi. Sto seguendo un corso di lingua anglo americana: trascrivo qui quanto leggo in un esercizio assegnatomi per casa sulla pubblicità (advertising). In other wordsThe methods they use to persuade us to buy. One of the most effective techniques is to manipulate, or control, our emotions. Advertiser call this an emotional appeal”, in altre parole… il metodo che essi usano per persuaderci a comprare. Una delle tecniche più efficaci sta nel manipolare o controllare le nostre emozioni. Il pubblicitario chiama questo un richiamo emozionale.
Persone come Adriana e come me usano la cultura, l’arte, la letteratura la poesia come richiamo emozionale.

"Eteocle incentra tutto il suo elogio della tirannide sul "di più"[5], Giocasta obietta:"tiv d j e[sti to; plevon; o[nom j e[cei monon:/ejpei; tav g j ajrkounq j iJkana; toi'" ge swvfrosin", vv. 553-554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a turno, ce le portano via di nuovo.
 Giocasta infatti propugna l'uguaglianza:"kei'no kavllion, tevknon,-ijsovthta tima'n" (Fenicie, vv. 535-536), quello è più bello, figlio, onorare l'uguaglianza; infatti essa è legge cosmica:"nukto;" t j ajfegge;" blevfaron hJlivou te fw'"-i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543-544), l'oscura palpebra della notte e la luce del sole percorrono uguale il ciclo annuo. Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure[6], domanda la madre, tu non tollererai di avere una parte uguale del palazzo (su; d j oujk ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi che sia un gran che?
Pensi che essere guardati sia segno di valore? E' cosa vuota (kenovn, v. 551) di fatto. O vuoi avere molte pene con molte cose nella casa?




CONTINUA


[1] 341-271 a. C.
[2] Del 46 a. C.
[3] G. Verga, I Malavoglia (del 1881), p. 203.
[4] Ep. 94, 27.
[5]Lanza, op. cit., p. 53.
[6] Il consiglio di seguire la natura, in particolare osservando l'alternarsi del dì e della notte, per prendere decisioni equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la notte. I mortali non possiedono le ricchezze come cose proprie, esse sono degli dèi e noi le amministriamo, continua Giocasta ( Fenicie, v. 555-556). Seneca echeggia questo topos in Ad Marciam de consolatione (del 37d.C.) :"mutua accepimus. Usus fructusque noster est" (10, 2), abbiamo ricevuto le cose in prestito. Nostro è l'usufrutto.

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