lunedì 10 dicembre 2018

Epitteto. Parte I


Epitteto

Percorso della conferenza di oggi 10 dicembre ore 18 biblioteca Ginzburg

Epitteto
Epitteto fu lo scolaro più importante di Musonio. Nato a Ierapoli in Frigia, verso il 50 divenne schiavo del liberto Epafrodito. Era zoppo e si sentiva chiamato da Dio a scuotere gli uomini dal loro torpore morale. Epafrodito, lo emancipò, Domiziano lo bandì dall’Italia ed Epitteto fondò una scuola a Nicopoli (fondata da Ottaviano prima della battaglia di Azio). Adriano lo ebbe in grande favore. L’imperatore e il filosofo morirono nello stesso anno (138). Epitteto, come Socrate, insegnava solo oralmente.
 Flavio Arriano fu il suo Platone o il suo Senofonte, insomma il suo apostolo e trascrisse le lezioni. Otto libri di Diatribe (ne rimangono 4) e la loro sintesi nell’ jEgceirivdion, un libro, un manuale di edificazione. Diverrà un breviario di vita per pagani, cristiani e mussulmani
Epitteto ricevette la libertà dal padrone Epafrodito, il segretario di Nerone (a libellis) che aiutò l’imperatore a suicidarsi.
 Libero- scrive nelle Diatribe - è chi vive come vuole-  ejleuvqero;"  ejstin oj zw'n wJ" bouvletai (IV, 1, 1).
Gli uccellini chiusi in gabbia cercano di fuggire e se non ci riescono a volte si lasciano morire. L’uomo apprende la libertà dalla filosofia.
Le Diatribe in 8 libri dei quali restano 4 furono scritte dal suo allievo Arriano (95-175) che usò gli appunti.
Le Diatribe non nascono da lezioni ex cathedra ma da un uditorio attivo che sollecita il maestro.
Anche il compendio jEgceirivdion Manuale è stato composto da Arriano su appunti.

Epitteto considera gli Epicurei teorici dell’immoralità. Quanto a uno scettico gli verserebbe in testa salsa di pesce invece di unguento per fargli capire il valore della testimonianza dei sensi (Diatribe, II, 20).
Socrate fu l’archegeta della filosofia stoica secondo Epitteto. Fu anche maestro di vita pratica come pure Diogene. Crisippo è invece il maestro dell’ortodossia stoica, meritevole di onori più di Trittolemo che introdusse la coltivazione delle biade. La filosofia consiste nell’etica pratica. Epitteto non aveva interessi scientifici.
La filosofia contiene lo qewrhtikovn che insegna il valore delle cose, l’ oJrmhtikovn con la dottrina degli istinti (oJrmaiv) , e il praktikovn con quella delle azioni. La logica deve rimanere ancella dell’etica.
Compito del logos è il giusto uso delle rappresentazioni crh'si" tw'n fantasiw'n.
L’uomo è qnhto;n zw'on crhstiko;n fantasivai" logikw'" (III, 1, 25), un animale mortale che fa uso delle rappresentazioni secondo logica.
Epitteto odiava le vie di mezzo.
Medea nella sua efferatezza gli riusciva più simpatica dei tiepidi che non fanno nulla ex abundantia cordis e degli ipocriti che professano i princìpi filosofici senza mai applicarli. 

Cfr. Giovenale.
Il prevalere della parte emotiva in Medea e in Progne, altra madre assassina, secondo Giovenale costituisce un’attenuante dei loro pur immani delitti: “Et illae/grandia monstra suis audebant temporibus, sed/non propter nummos. Minor admiratio summis/debetur monstris, quotiens facit ira nocentem/hunc sexum et rabie incendente iecur feruntur/praecipites…Illam ego non tulerim, quae computat et scelus ingens/ sana facit.” (VI, 644 sgg.), anche quelle osavano delitti mostruosi ai loro tempi, ma non per denaro. Meno stupore è dovuto ai massimi orrori, ogni volta che l’ira rende colpevole questo sesso e quando la rabbia brucia il fegato sono portate giù a precipizio …io non posso sopportare quella che calcola e compie delitti colossali a mente fredda. Si tratta di Pontiasaevissima vipera (v. 641), avvelenatrice di due figli in una sola cena. Anzi la crudelissima madre dice: “Septem, si septem forte fuissent” (v. 642). 

Arriano all’inizio del Manuale distingue le cose che sono in nostro potere (giudizio, istinto, desiderio, paura) da quelle che non lo sono (possessi, reputazione, cariche). Questa diaivresi" –distinzione- è il fondamento dell’etica.
Devi distinguere ciò che è in tuo potere da ciò che non lo è ta; sa; kai; ta; ouj sav. Il felice corso dipende dall’abbandonare ciò che non puoi decidere tu. Averi, possessi, lo stesso corpo qui sulla terra ci vengono solo dati in prestito (cfr. Seneca: mutua accepimus).
 Seneca nella Consolatio ad Marciam (10, 2) scrive:"mutua accepimus. Usus fructusque noster est ", abbiamo ricevuto delle cose in prestito. L'usufrutto è nostro.
 Chi mira al denaro si rende schiavo di chi lo possiede. I potenti sono schiavi dell’ambizione (cfr. Sisifo in Lucrezio) e non devono essere chiamati signori ma servi. I veri tiranni sono dentro il nostro petto ; sono i giudizi sbagliati, la brama dei piaceri e della potenza.
Non adoperarti perché gli eventi accadano come vuoi, ma devi volere gli eventi come avvengono, e avrai un corso favorevole kai; eujrohvsei" (Manuale 8). Se uno è sano non gli viene in mente di fare un torto agli uomini per amore delle cose. Né aspira ai successi che non dipendono dalla sua volontà. Epitteto ripete le parole di Socrate: Anito e Meleto possono uccidermi ma non farmi del male. Se ti riferiscono che qualcuno ha detto male di te, rispondi: “ colui ignorava gli altri miei difetti altrimenti non avrebbe parlato solo di questi” (Manuale, 33).

L’anima che raggiunge l’atarassia gode della sicura salute eujstavqeia che garantisce l’eu[roia, il sicuro scorrere della vita e conseguentemente l’eujdaimoniva. Alle rappresentazioni che non ricevono l’assenso del logos per la loro asprezza, devi dire : “oujde;n pro;" ejmev, tu non mi riguardi affatto (Manuale, I, 5). Allora la morte diviene un mormoluvkeion, uno spauracchio per bambini. La distinzione tra ciò che ci riguarda e non ci riguarda ci protegge dalla paura e dalla cupidigia. La virtù dell’uomo o del cane o del cavallo è da ricercare nella natura di ciascuno. Nell’uomo è la ragione con la megaloyuciva.(cfr. mikroyuciva, la meschinità).
Virtù è anche ejpisthvmh tou' bivou, scienza del vivere. La proaivresi" è una predecisione razionale e pregiudiziale riguardo al bene e al male.
Si tratta di limitare i nostri desideri alle cose che sono in nostro potere. Le cose esterne sono solo la materia del nostro agire. Sono indifferenti ma non lo è il loro uso: aiJ u|lai ajdiavfora, hJ de; crh'si" aujtw'n oujk ajdiavforo".
Medea si abbandona alla sua passione perché è in errore riguardo al vero bene.
Non sono le cose che determinano il nostro agire ma il giudizio. Il dovgma che ci fa tremare davanti a un tiranno del quale un bambino non ha paura, il giudizio che l’esilio sia un male spinge Polinice a fare guerra al fratello. Seneca insisteva sul velle, la volontà, mentre Epitteto dà maggiore importanza all’educazione. L’uomo deve sapere che può realizzare il suo destino solo cercando il bene in se stesso, non nelle cose esterne che non sono in suo potere. Come Seneca, Epitteto raccomanda l’esame di coscienza regolare, quotidiano. Consiglia anche esercizi ascetici quali mangiare poco e rinunciare al vino
Due doti sono l’ aijdwv" e la pivsti".
l’ aijdwv" secondo Panezio era il naturale rispetto che l’uomo ha per la sensibilità etica ed estetica dei propri simili.
Per Epitteto è il sentimento morale fondamentale radicato in noi dalla natura. E’ il rispetto che l’uomo ha per la propria dignità umana.
La pistis riguarda la condotta dell’uomo verso i propri simili e risente l’influsso della fides romana. Aidòs e Pistis fuse insieme danno la perfezione morale.
Il corpo secondo Epitteto è un impasto di fango trattato con disprezzo. Tuttavia va nutrito e curato. “chi non si lava e non si pulisce i denti è un porco”. I cinici che trascuravano il corpo vengono biasimati. “concèntrati per non scivolare eij" ijdiwtismovn, nel comportamento comune (Manuale, 33)
Eppure il proprio utile è raggiungibile solo se si collabora al bene comune.

CONTINUA

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