martedì 11 dicembre 2018

Lucano, "Pharsalia". Parte III


Molto diverso è il Cesare del De bello civili.
Nella sua opera sulla Guerra civile Cesare non fa cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11 gennaio: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non è il Cesare del Bellum civile, ma il Cesare delle Historiae scritte dal suo ufficiale più “indipendente” e acuto: Asinio Pollione.
Nel suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni storico-giuridiche della decisione presa, “condensate” in un’arringa ai soldati (B. C. I, 7)”[7].
Insomma la più famosa fanfaronata di Cesare non ce l’ha raccontata lui stesso.

Ne De bello civiliCaesar apud milites contionatur , e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur” (I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi.
Perfino Silla che aveva spogliato la tribunicia potestas, tamen intercessionem liberam reliquisse. Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la legalità.
Asinio, che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”, dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione suprema”.
Il racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici più tardi[8].
Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e quello di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore “tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i momenti irrazionali della sua stessa impresa…le Historiae di Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più adeguata, senza preoccupazioni apologetiche…Il Cesare autentico è però un incontro della razionalità tucididèa…con la passione politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[9].

Cesare “Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo cuore disponesse della sua testa”[10].

Quindi il ductor impiger mette in marcia l’esercito già nella notte minax invadit Arimīnum mentre si fa giorno. Però maestam tenuerunt nubila lucem (I, 235).

La negazione della luce
Leggiamo i primi cinque versi dell’Oedipus di Seneca:"Iam nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida exoritur iubar, /lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste solatas domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies " (vv. 1-5), già, cacciata la notte, torna un Titano incerto, e il suo splendore spunta cupo da una nuvola sporca, e, portando una luce afflitta con fiamma luttuosa, osserverà le case desolate dall'avida peste, e la strage che la notte ha compiuto la farà vedere il giorno.
 Il sole incerto dallo splendore cupo (moestum iubar), la luce afflitta (lumen triste) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica) significa il capovolgimento della natura. La luce che vivifica e rallegra è capovolta a fiaccola mortuaria che mette in mostra una strage.

Quindi stridor lituum lo stridore delle trombe ricurve clangorque tubarum e il clangore di quelle diritte e con il raucum cornu emisero insieme squilli non pii non pia classica. I Riminesi si preparano a combattere ma prendono scudi disfatti, giavellotti dalla punta piegata, “et scabros nigrae morsu robiginis enses” 243) spade ruvide per il morso della ruggine nera.
Lamentano la loro posizione di confine e il dovere Latii claustra tueri (253) custodire la serratuta del Lazio. c est iter bellis, di qui passa la strada per la guerra. Ma non osavano palesare la paura, nello stesso modo rimangono silenziosi i campi volǔcres cum bruma coercet (259) quando la bruma chiude la gola agli uccelli.

Cfr. Eschilo, Agamennone: “ceimw'na dj eij levgoi ti" oijwnoktovnon (563), e se qualcuno dicesse dell’inverno che uccide gli uccelli.

La fortuna fa apparire giusti i movimenti di Cesare: il Senato con il senatus consultum ultimum del 7 dicembre del 50, agitando il fantasma dei Gracchi, aveva cacciato da Roma divisa in due i tribuni Marco Antonio e Cassio Longino.
Curione lingua venali, dall’oratoria che si vende[11], li porta da Cesare. Quindi consiglia al duce “tolle moras semper nocuit differre paratis” (281).

 Dante lo mette tra i seminatori di discordia (cerchio VIII, bolgia IX) “Questi, scacciato, il dubitar sommerse in Cesare /affermando che ’l fornito sempre con danno l’attender sofferse” (Inferno 28, 97-99). Più sintetico (e bravo) Lucano

A Roma non ti aspetta il trionfo dice Curione: livor edax tibi cuncta negat (288), il livore ingordo ti nega tutto. Partiri non potes orbem-, solus habere potes (290-291)
Cesare ne ricevette incitamento come il destriero che a Olimpia sente la folla che acclama.

Discorso di Cesare
Il duce radunò l’esercito,… tumultum “composuit vultu dextraque silentia iussit” 298 e disse “bellorum socii, qui mille pericula Martis-mecum, ait, experti, decimo iam vincitis anno” (299-00), sono già dieci anni che vinciamo insieme
cfr. Dante Inferno XXVI, 112-113: o frati, dissi, che per cento milia-perigli siete giunti all’occidente”
A Roma ci danno la caccia. Terra marique-iussus Caesar agi (306-307) si è ordinato di dare la caccia a Cesare.
Veniat longa dux pace solutus-Pompeo sfatto da una lunga pace. milite cum subito, con soldati raccogliticci, Marcellusque loquax et nomina vana Catones (313), il chiacchierone Marcello e i nomi inconsistenti dei Catoni.
I fautori di Pompeo sono extremi empti clientes dei clienti di infimo grado sociale, comprati. Pompeo intimidiva i giudici con i soldati.
Quando Milone (nel 52) era accusato dell’assassinio di Clodio, le insegna di Pompeo lo circondarono per difenderlo pompeiana reum clauserunt signa Milonem (I, 323).
 Ancora bella nefanda parat suetus civilibus armis-et docilis Sullam scelerum vicisse magistrum (325) Pompeo ha imparato facilmente a superare superato il maestro di delitti. Nullus sanguis semel ore receptus patitur pollutas fauces mansuescere (30-31)
Invece non hai imparato da Silla a lasciare il potere (lo fece nel 79).
 Hai sconfitto i vagabondi della Cilicia (i pirati nel 67), hai combattuto contro Mitridate già sconfitto da Lucullo (nel 69) poi ucciso dal veleno. (morì suicida nel 63.)
 I veterani di Cesare non vengono ricompensati mentre si avvicina la exanguis senectus (343). Tollite iam pridem victricia, tollite signa-viribus utendum est quas fecimus (347-348), alzate le insegne da tempo vincitrici, dobbiamo servirci delle forze messe insieme.
 Detrahimus dominos urbi servire paratae (351), tiriamo giù i padroni dalla città già pronta ad asservirsi.
I soldati rimangono incerti dubium vulgus tra l’amore per la patria e quello crudele per il ferro. Poi c’è la paura del duce che li condiziona.
Quindi parla il centurione Lelio con la corona di foglie di quercia.
Anche lui spinge Cesare alla guerra. Lo seguirà ovunque-“iussa sequi tam posse mihi quam velle necesse est” (372).
 Sono disposto, se me lo comandi a immergere la spada plenae in viscera partu/ coniugis (377-378) sono pronto anche a distruggere Roma. Tutte le coorti approvarono alzando le mani.
Si levò al cielo un clamore grande quanto quello del Tracio Borea che piega i pini dell’Ossa. Cesare vedendo bellum acceptum tam prono militefataque ferre videt vede che il destino lo porta avanti e decide di muoversi, ne quo languore moretur fortunam, per non ritardare la fortuna con qualche fiacchezza (392-394) .

Tutte le truppe ausiliarie vennero convocate: dai Batāvi truces ai Liguri.
Bardi e Druidi che hanno celebrato i loro eroi morti e richiamano in vigore i loro riti barbarici e la consuetudine di sacrifici sinistri. I popoli settentrionali non hanno paura della morte quos ille timorum maximus haud urguet, leti metus (460) poiché mors media est longae vitae, la morte è un intervallo di una vita lunga et ignavum rediturae parcere vitae (462) è da vili risparmiare una vita che tornerà.


CONTINUA

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