NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 31 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 10

Edward John Poynter, Lesbia e il suo passerotto

Catullo mette la carnagione chiara tra le doti fisiche gradite a molti, ma non sufficienti secondo lui, quando mancano la venustas, la grazia, e la mica salis, il grano di sale, a costituire una bella donna. Tale è solo Lesbia: "Quintia formosa est multis, mihi candida, longa, recta est… Lesbia formosa est " (86, 1-2, 5), Quinzia per molti è bella, per me di carnagione chiara, lunga, diritta… Lesbia sì che è bella.

Il Creonte della Medea di Grillparzer, rimpiangendo la figlia fatta morire dalla rivale, gli sembra di vederla: "così bianca, così bella, scendere leggera tra le nere rovine" (atto V).
L' Antigone di Anouilh non è sicura di essere desiderata veramente da Emone per il suo aspetto, meno attraente di quello della sorella:"Sono nera e magra. Ismene è rosa e dorata come un frutto"[1]. Ma il fidanzato, forse perché impazzito, l'ha preferita all'altra figlia di Edipo.

melichrus: è traslitterazione dell'aggettivo greco melivcrou" composta da mevli (miele) e crova (carnagione).
Questo travisamento ricorda l'idealizzazione dell'innamorato Buceo nel X idillio di Teocrito: "Suvran kalevontiv tu pavnte", /ijscna;n aJliovkauston, ejgw; de; movno" melivclwron" (vv. 26-27), tutti ti chiamano Sira, secca, bruciata dal sole, io solo colore del miele.

immunda: formato da in, prefisso negativo, e mundus, pulito. Significa sciatto e sudicio.

Una curiosità: Cicerone, deluso dal comportamento di Pompeo che pensava solo a fuggire, lo paragona a quelle donne immundae, insulsae, indecorae, sudicie, sciocche, brutte che ci distolgono dall'amarle (Att. 9, 10, 2).

foetida: è quella che foetet, puzza, la portatrice di foetor, trasfigurata in acosmos (traslitterazione di a[kosmo", disordinato) che qui dovrebbe indicare la neglegentia sui, l'apparente noncuranza di sé; insomma una trasandatezza elegante.
"caesia Palladium, nervosa et lignea dorcas" (v. 1161), quella con gli occhi glauchi è un simulacro di Pallade, la nervosa e legnosa una gazzella".
-Palladium: corrisponde al greco Pallavdion, statua di Pallade che infatti Omero chiama glaukw'pi", dagli occhi lucenti. Nel nostro contesto gli occhi chiari, tra il grigio e l'azzurro (cfr. quelli della Chauchat della Montagna incantata), non sono considerati un pregio.
-dorcas traslitterazione del greco dorkav", gazzella e capriolo, animali agili, eleganti. Il verbo reggente è sempre est.
"parvula, pumilio, chariton mia, tota merum sal " (1162), la piccina, la nana, è una delle grazie, tutta sale puro.
-parvula: cfr. "la piccina è ognor vezzosa" della lista di Don Giovanni di Mozart-Da Ponte (I, 5), ma questo è il seduttore per il quale conta non l'individualità della donna bensì quello che tutte le donne hanno in comune.
Compie la stessa operazione di Lucrezio, Eliante nel Misantropo di Moliere che aveva tradotto il De rerum natura prima del 1660: "La nera come un corvo è una splendida bruna: la magra ha vita stretta e libere movenze; la grassa ha portamento nobile e maestoso; la sciatta, che è fornita di non molte attrattive, diventa una bellezza che vuole trascurarsi; la gigantessa sembra, a vederla, una dea; la nana è un riassunto di celesti splendori; l'orgogliosa ha un aspetto degno d'una corona; la scaltra è spiritosa; la sciocca è molto buona; la chiacchierona è donna sempre di buonumore; la taciturna gode di un onesto pudore. Perciò lo spasimante, se è molto innamorato, ama pure i difetti della persona amata"[2].
chariton mia: traslitterazione di carivtwn miva, una delle Cariti o Grazie.
-tota merum sal (con clausola monosillabica): noi usiamo piuttosto il pepe per una persona piccola ma non insignificante, mentre della inespressiva e insipida diciamo "non sa di nulla".
Anche per Catullo, come abbiamo visto, il sapore di una donna è dato dal suo sale: "nulla in tam magno est corpore mica salis" (86, 4), in un corpo tanto grande non c'è un granello di sale. Il sapore ovviamente viene dallo spirito.

"magna atque immanis cataplexis plenaque honoris "(1163), la mostruosamente grande è un incanto pieno di maestà.
-immanis: formato da in- prefisso negativo e manus=bonus, quindi mostruoso.
-cataplēxis: traslitterazione di katavplhxi", che ha la radice del verbo plhvssw, colpisco.
-honoris: cfr. "è la grande maestosa", (Don Giovanni, I, 5).
"Balba loqui non quit, traulizi, muta pudens est " (v. 1164), la balbuziente, non sa parlare, cinguetta, la muta è riservata.
-balba: abbiamo visto che la donna deve essere silenziosa; la balbuziente invece appare spregevole qui e ancor più nella ripresa dantesca: "mi venne in sogno una femmina balba" (Purgatorio, XIX, 7).

Vedi anche Giovenale Satira VI, 184-199
quaedam parva quidem, sed non toleranda maritis.
nam quid rancidius quam quod se non putat ulla
formosam nisi quae de Tusca Graecula facta est,
de Sulmonensi mera Cecropis? omnia Graece:
[cum sit turpe magis nostris nescire Latine.]
hoc sermone pavent, hoc iram, gaudia, curas,
hoc cuncta effundunt animi secreta. quid ultra?
concumbunt Graece. dones tamen ista puellis,
tune etiam, quam sextus et octogensimus annus
pulsat, adhuc Graece? non est hic sermo pudicus
in vetula. quotiens lascivum intervenit illud
zw¾ kaˆ yuc», modo sub lodice relictis
uteris in turba. quod enim non excitet inguen
vox blanda et nequam? digitos habet. ut tamen omnes
subsidant pinnae, dicas haec mollius Haemo
quamquam et Carpophoro, facies tua conputat annos.

traulizi: traslittera traulivzei con ei pronunciato i.
Aristofane nelle Vespe (v. 42)) fa dire a un servo di Bdelicleone che Alcibiade traulivsaς pronuncia oJlã/ς (invece di oJrã/ς, vedi).
-muta pudens, la muta è pudica. Il mutismo è un silenzio eccessivo e anche qui un difetto è ribaltato in pregio.
"at flagrans odiosa loquacula lampadium fit" (1165), ma quella che sputa fuoco odiosa, chiacchierona diventa una fiammetta.
-flagrans: una megera o un'erinni fiammeggiante.
-Lampadium: traslittera lampavdion, diminutivo di lampav", fiaccola.
"Ischnon eromenion tum fit, cum vivere non quit/prae macie; rhadine verost iam mortua tussi " (1166-1167), diventa uno snello tesorino, quando non può vivere per la magrezza; poi è delicata quella che crepa dalla tosse.
-Ischnon eromenion = ijscno;n ejrwmevnion = snello amoruccio .
-rhadine =rJadinhv.
"Questo quadro ironico e caricaturale delle illusioni dell'amante... è accentuato dalla conservazione delle parole greche, altrove nel poema costantemente rese nelle equivalenti forme latine"[3].
Dionigi segnala pure che questo motivo, già presente in Platone (Rsp. 474d), Teocrito 10, 26 sg., già citato, e nell'Anthologia Palatina, "sarà caro alla letteratura posteriore (Orazio, serm. I, 3, 38 sgg.; Ovidio, ars 2, 657-662; rem. am. 315 sgg.), fino a riaffiorare nel Misanthrope di Moliere (2, 5)".


CONTINUA



[1] Antigone (del 1942), p. 78.
[2] Molière, Il misantropo , II, 4. Del 1660
[3]I. Dionigi, op. cit., p. 414.

mercoledì 27 dicembre 2017

Twitter, CCCI sunto. Il settantesimo compleanno della Costituzione degli Italiani

La nostra bella Costituzione ha compiuto 70 anni ma deve ancora compiere se stessa siccome è quasi del tutto inattuata. Per esempio "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che. limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese (Art 3, comma 2.)
E' uno dei tanti articolo inattuati o attuati al contrario. Gli ultimi governi infatti si sono adoperati per impedire il pieno sviluppo della personalità e l'effettiva partecipazione dei più, gli sfortunati molti, alla politica, alla scuola davvero buona, alla cultura.

La borghesia europea dei romanzi di T. Mann era una classe di gente per lo più educata, in parte pure colta. Ora la piccola borghesia ha assunto le caratteristiche del Lumpenproletariat, dei Lazzaroni beceri e cenciosi, pronti a seguire i peggiori reazionari.  Matteo Salvini li rappresenta alla perfezione.

Nell'Eracle di Euripide (vv.588-590) si parla già di Lumpenproletariat "il tiranno ha come alleati molti poveri che si danno l’aria di ricchi con le parole. Sono loro che hanno suscitato la guerra civile e rovinato la polis"
Poveri senza coscienza di classe, servi e scimmie dei ricchi.

Questi pezzenti asserviti odiano gli immigrati poiché li vedono come rivali nel loro afferrare caninamente il boccone, magari pure il telefonino di marca lanciato ai clienti dal patrono- padrino. Il leader sanguinario che proponesse linciaggi sarebbe seguito da costoro.
Sono funesti.

I buoni intelligenti vogliono bene a se stessi poi anche agli altri A questi gli dèi regalano almeno due giovinezze, talora anche tre, perfino quattro.
I malvagi odiano prima di tutti se stessi poi gli altri, tutti gli altri, compresi i genitori, la moglie o il marito, le figlie, i figli. Sono guai per chi finisce nel loro mirino. Sono pieni di risentimento per la miseria della vita scellerata e sciagurata che vogliono condurre.
Costoro, portatori di morte, nascono già con i capelli bianchi, la pancia e le rughe. Tutti magari nasciamo bruttini, ma i buoni reagiscono e in un modo o in un altro nel volgere delle stagioni diventano belli. I malvagi imbruttiscono per tutta la vita.
Marziale afferma che l’uomo buono che è senza rimorsi e gode del frutto del suo tempo impiegato bene, accresce lo spazio della sua vita: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7-8).


giovanni ghiselli, detto gianni il poverello di Pesaro.
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martedì 26 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 9

Lorenzo da Ponte

"Et tamen implicitus quoque possis inque peditus/effugere infestum, nisi tute tibi obvius obstes/et praetermittas animi vitia omnia primum/aut quae corpori' sunt eius, quam praepetis ac vis " (vv. 1149-1152), e tuttavia anche avviluppato e impedito potresti schivare il danno, se non ti ostacolassi da solo andandole incontro e per prima cosa non lasciassi correre tutti i vizi dell'animo o quelli evidenti del corpo di colei che più tutte desideri e vuoi.
-implicitus: da implico, avviluppo.
-inque peditus : et impeditus in tmesi, da in e pes, con le pastoie ai piedi, il contrario di expeditus , sciolto. L'amore è considerato come un laccio che inceppa e impedisce la visione della realtà effettuale, quasi il corrispettivo dell'a[th, l'accecamento, che, nel IX dell'Iliade , è una "smisurata forza irrazionale"contro la quale"ogni arte dell'educazione umana, ogni buon consiglio è impotente"[1]. Infatti la donna viene definita da Ippolito ajthrovnfutovn (v.630), pianta dell'accecamento.
-Infestum: aggettivo sostantivato.
-tute tibi obvius obstes: il pronome personale in poliptoto e la doppia allitterazione rendono l'idea dell'uomo che ostacola se stesso andando da solo incontro al suo danno.
-corpori' (=corporis) quae sunt: i difetti del corpo sono evidenti e reali, particolarmente dopo che la donna si è spogliata, mentre gli animi vitia possono anche passare inosservati.
 Si tratta di aprire bene gli occhi sui difetti dell'amante, come vedremo tra poco.

Ovidio utilizzerà questa lezione nei Remedia amoris.
"Come dimenticare che Lucrezio aveva raccomandato di non ostacolare con l'autoinganno la guarigione dall'amore? e aveva anche aggredito satiricamente la cecità di chi non vuol vedere nella persona amata i difetti dell'animo e del corpo ma preferisce nasconderli dietro un repertorio di nomignoli blandi. E così i Rimedi contro l'amore ripetono questa lezione e anzi aumentano le dosi terapeutiche: non solo saranno banditi gli autoinganni dell'eufemismo ("aprite gli occhi e chiamate i difetti col loro vero nome") ma addirittura bisognerà rovesciare in difetto ogni pregio esistente ("se è formosa, chiamala grassa; se bruna, chiamala negra; se è snella, chiamala quattrossa; se non è rozza, dì che è sfacciata"). E' questo uno dei punti in cui l'Ovidio dei Remedia sembra più esplicitamente disfare gli insegnamenti dell'Ars. Nell'Ars l'eufemismo d'amore (se è grassa, dilla formosa...) era raccomandato a chi voleva farsi amare: ma si trattava di una tecnica di corteggiamento, e la possibilità di scivolare nell'autoinganno era solo un corollario di cui il poeta scrupolosamente avvertiva i suoi discepoli (Ars amatoria 2, 647 ss.). Sia l'Ars che i Remedia fanno tesoro della lezione diatribica di cui Lucrezio era stato portavoce, la lezione secondo cui gli innamorati sono ciechi fino al ridicolo. Una proposizione da cui conseguono due opposte possibilità: se si tratta di mostrarsi innamorati, bisogna accettare di apparire ciechi e ridicoli (l'Ars); se si tratta di liberarsi dall'amore, bisogna bene aprire gli occhi, e magari finanche vedere troppo (i Remedia )"[2].

Torniamo a Lucrezio
 "Nam faciunt homines plerumque cupidine caeci/et tribuunt ea quae non sunt his commoda vere " (vv.1153-1154), infatti fanno così di solito gli uomini acciecati dalla brama e attribuiscono a queste quei pregi che esse non hanno.
-cupidine caeci : clausola allitterante con il tovpo" di "aprite un po' quegli occhi,/uomini incauti e sciocchi" ripreso e spiegato dall'aria del Figaro delle nozze di Mozart-Da Ponte: "Guardate queste femmine,/guardate cosa son./Queste chiamate dee/dagli ingannati sensi/a cui tributa incensi/la debole ragion./Son streghe che incantano/per farci penar,/sirene che cantano/per farci affogar;/civette che allettano/per trarci le piume,/comete che brillano/per toglierci il lume./Son rose spinose,/son volpi vezzose,/son orse benigne,/colombe maligne,/maestre d'inganni,/amiche d'affanni/che fingono, mentono,/che amore non sentono,/ non senton pietà./Il resto nol dico./Già ognuno lo sa"[3]. Infatti era già scritto nella nostra letteratura classica.
- "Multimodis igitur pravas turpisque videmus/esse in deliciis summoque in honore vigere" (1155-1156), quindi vediamo quelle per molti versi corrotte e ripugnanti essere vezzeggiate e tenute nella considerazione più alta.
-turpisque=turpesque. Questa trasfigurazione è motivata non solo dalla cecità dell'uomo ma anche dall'astuzia della donna che, al pari di Ulisse, può essere seduttiva senza essere bella[4]. Kafka racconta in diverse pagine gli espedienti di una donna brutta, Frieda, spietatamente denunciati attraverso il discorso indiretto di un'altra donna, Pepi, naturalmente una rivale: "Frieda, una ragazza bruttina, magra, non giovane, con pochi aridi capelli, e per giunta una sorniona sempre piena di misteri, cosa che probabilmente dipende dal suo aspetto; meschina com'è di faccia e di corpo, deve ben avere altri segreti che nessuno può indagare... Nessuno sa meglio di Frieda stessa quanto sia misero il suo aspetto, chi la vede, ad esempio, per la prima volta coi capelli sciolti giunge le mani per la pietà; una ragazza così, se ci fosse giustizia, non dovrebbe fare neanche la cameriera, lo sa anche lei e ne ha pianto per nottate intere, stringendosi a Pepi e mettendosi intorno al capo le trecce di Pepi. Ma quando è in servizio ogni dubbio l'abbandona, si crede la più bella di tutte e riesce a comunicare agli altri la sua convinzione. Conosce i suoi polli Frieda; quella è la sua vera arte. Ed è pronta nel mentire e nell'ingannare affinché la gente non abbia tempo di osservarla bene. Naturalmente queste arti alla lunga non bastano, la gente ha occhi e finirebbe per servirsene. Ma nell'istante in cui ella fiuta il pericolo ha già pronto un espediente nuovo: ultimamente, per esempio, la sua relazione con Klamm!... Che furba, che furba!… Ma quello che basta a Klamm come potrebbe non essere ammirato dagli altri?… Gli è davvero piaciuta quella cosettina gialla e patita? Ma no, non l'ha neanche guardata, lei gli ha solo detto che era l'amante di Klamm, per lui il trucco era ancora nuovo, ed eccolo perduto... D'altronde Frieda non si sa vestire, è completamente priva di gusto; chi ha una pelle giallastra è obbligato a tenersela, ma non occorre che si metta per giunta, come Frieda, una camicetta color crema, molto scollata, così che vien da piangere davanti a tutto quel giallo... Pepi invece detestava simili artifici"[5].

"Atque alios alii irrident Veneremque suadent/ut placent, quoniam foedo adflictentur amore,/nec sua respiciunt miseri mala maxima saepe " (vv. 1157-1159), e si deridono a vicenda, e consigliano gli altri di placare Venere, poiché sono tormentati da un amore ripugnante, e spesso non considerano, disgraziati i propri grandissimi mali.
-alios alii irrident: poiché vedono la follia degli altri ma non la propria. Si comportano in modo simile ai deiloi, i plebei, stigmatizzati da Teognide:" ajllhvlou" d& ajpatw'sin ejp& ajllhvloisi gelw'nte"" (Silloge, v. 59) si ingannano a vicenda deridendosi a vicenda.
La differenza è che gli innamorati pazzi ingannano se stessi. "Suadent è trisillabico con -u- con forza di vocale... Al v. 1158 è da notare la clausola allitterante (adflictentur amore) e al v. 1159 l'allitterazione in s- e la triplice allitterazione in m- . (sua... saepe; miseri mala maxima )"[6]. Aggiungo la segnalazione dell'ossimoro foedo... amore.

"Nigra melichrus est, immunda et foetida acosmos " (v. 1160), la nera ha l'incarnato di miele, la lercia e puzzolente è trasandata.
-nigra : la pelle scura era apprezzata molto meno della candida.


CONTINUA


[1]W. Jaeger, Paideia, p.72
[2]G. B. Conte (introduzione di), Ovidio Rimedi contro l'amore.
[3]Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro, IV, 8.
[4] Cfr. Ovidio, Ars Amatoria, II, 123-124.
[5]F. Kafka, Il castello, p. 296 ss.
[6]G. B. Conte, Scriptorium Classicum, 5, p. 58.

sabato 23 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 8

Anton Cechov

- nequiquam (1133): la parola lunga e pesante, in posizione enfatica, inficia l'accumulo di cose ammucchiate ed esibite.
amari: "la paronomasia-come ai vv. 1054 e 1056 riduceva l'amor a pura manifestazione fisiologica (umorem)- qui lo riduce a semplice sofferenza interiore (amari)"[1].
"aut cum conscius ipse animus se forte remordet/desidiose agere aetatem lustrisque perire... " (vv. 1135-1136), o perché l'animo senza volere si tormenta da solo rendendosi conto di passare la vita senza far nulla e di esaurirsi nella crapula...
forte: il tormento viene addosso "per caso" nel senso che quando agiamo in maniera distruttiva e contraria alla vita in generale, o, nella fattispecie, al mos maiorum, cerchiamo di respingere la pena, ma questa, sempre viva, ci vola addosso. Per l'immagine mutuata cfr. Edipo re, vv. 481-482
desidiose (1136) Cfr. gli occupati otiosi del De brevitate vitae di Seneca: sibi ipsi molesti sunt: quorum non otiosa vita dicenda est srd desidiosa occupatio (12, 2), sono molesti a se stessi, quelli la cui vita non è libera da occupazioni ma una occupazione inoperosa.
Non habent isti otium sed iners negotium, costoro non hanno tempo libero da occupazioni ma un affaccendarsi inutile (12, 4).
Uno di questi portato a braccia fuori dal bagno e posto su una portantina, disse: iam sedeo? (12, 7) sono già seduto
 il loro passatempo è una desidiosa occupatio, una occupazione inoperosa, un iners negotium un affaccendarsi inutile. Costoro sibi ipsi molesti sunt.

"aut quod in ambiguo verbum iaculata reliquit/quod cupido adfixum cordi vivescit ut ignis, aut nimium iactare oculos aliumve tueri/quod putat in vultuque videt vestigia risus " (vv. 1137-1140), o perché ella, scagliata una parola in parte incerta, ha lasciato qualcosa che, conficcata nel cuore bramoso, fiammeggia viva come fuoco, o perché egli pensa che lei lanci troppe occhiate e miri a un altro e vede nel volto il riflesso di un sorriso.
aut: altra spiegazione di questa eziologia del dolore.
- in ambiguo=in ambiguum. Ambiguus è formato da amb- e ago:" che inclina in due direzioni, malfermo".
 Abbiamo visto che Pirandello estende questa ambiguità a ogni comunicazione verbale[2]
iaculata (da iaculor; iaculum è il giavellotto): la parola della donna amata, se non è del tutto benevola, diventa un’arma.

Sentiamo di nuovo Leopardi in Aspasia: "Narra che prima,/e spero ultima certo, il ciglio mio/supplichevol vedesti, a te dinanzi/me timido, tremante (ardo in ridirlo/di sdegno e di rossor), me di me privo,/ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto/spiar sommessamente, a' tuoi superbi/fastidi impallidir, brillare in volto/ad un segno cortese, ad ogni sguardo/mutar forma e color" (vv. 92-101).

adfixum... ignis (1138) : la ferita e la fiamma sono messe insieme perché si potenzino a vicenda nel rappresentare la pena d'amore.-iactare oculos : il verbo iacto, etimologicamente imparentato con iaculor , lancio, iaculum, giavellotto, e iactura, il gettare nel mare, la perdita, il danno, rende l'idea del lancio dannoso: in questo caso di un'arma a doppio taglio che lusinga l'occhieggiato e ferisce l'amante.-in vultuque videt vestigia (1140): la triplice allitterazione in v- sembra rendere fonicamente il rimuginare sofferente del geloso.
"Atque in amore mala haec proprio summeque secundo/inveniuntur; in adverso vero atque inopi sunt,/prendere quae possis oculorum lumine operto,/innumerabilia; ut melius vigilare sit ante,/qua docui ratione, cavereque ne inliciaris " (vv. 1141-1145), e questi mali si trovano in un amore conquistato e corrisposto al massimo, ma in uno non contraccambiato e per il quale non si ha la forza, ce ne sono innumerevoli che puoi afferrare a occhi chiusi; sicché è meglio mettersi in guardia prima, secondo il metodo che ho insegnato, e stare attento a non essere adescato.-inopi : per conquistare l'amore come per vincere guerre o gare ci vogliono mezzi (opes ) che possono variare dalla bellezza, alla ricchezza, al potere, al genio, poiché l'amore, soprattutto quello delle donne, nasce dall'ammirazione.

"Farsi amare per pietà, quando l'amore nasce solo dall'ammirazione, è un'idea molto degna di pietà"[3].

Nelle Troiane di Euripide, Elena, secondo Ecuba, fu attirata dallo splendore di Paride: sia quello della bellezza, sia quello delle ricchezze che portava con sé e che possedeva a Troia dove l'oro scorreva a fiumi. L'adultera, lasciata Sparta, sperava di sommergere nelle spese la città dei Frigi, poiché non le bastavano i palazzi di Menelao per trasmodare nel lusso (vv. 994-995).
Quanto al suo parteggiare per i Troiani o per i Greci durante la guerra, la bellissima stava sempre dalla parte del vincitore: se prevaleva Menelao, lo esaltava per umiliare Paride, se avevano successo i Troiani, lo spartano non era più nulla ("oujde;n h\n o{de", v. 1007). La figlia di Zeus insomma seguiva la fortuna, non la virtù. In effetti non solo l'adultera di Sparta ma le femmine, umane e no, in genere hanno senso pratico e stanno sempre dalla parte di chi ha i mezzi per vincere. "Le donne non perdonano l'insuccesso", dice bene Kostantin, il ragazzo suicida de Il gabbiano [4] di Cechov: "Se una donna non tradisce, è perché non le conviene" sostiene Pavese[5]. Inoltre: "Le puttane battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion veduta?"[6].

ut : conclusivo.
-inliciaris : verbo formato da in +lacio (attiro, irretisco).

Per non lasciarsi sedurre bisognerebbe mangiare soltanto l'esca, senza essere mai presi, come suggerisce Kierkegaard. Prima di innamorarci di una donna dovremmo guardare, oltre che al suo aspetto, importantissimo per carità, anche alla sua moralità, alla sua educazione, alle sue abitudini. Abbiamo già detto di Swann che, adescato, non vede l'insufficienza dell'educazione di Odette.

"Nam vitare, plagas in amoris ne iaciamur,/non ita difficile est quam captum retibus ipsis/exire et validos Veneris perrumpere nodos " (1146-1148), infatti evitare di gettarsi nelle reti d'amore, non è così difficile come una volta incappato nei lacci stessi uscirne e spezzare a forza i robusti nodi di Venere.-plagas ... retibus ... nodos : l'amore ancora una volta[7] che imbriglia, allaccia, inceppa.

Ma si tratta sempre di amori sbagliati, anzi di rapporti malevoli che tendono appunto a depotenziare e sottomettere. Come questo descritto da Pavese:"Quale mezzo migliore per una donna che vuole fottere un uomo, se non portarlo in un ambiente non suo, vestirlo in un modo ridicolo, esporlo a cose di cui è inesperto, e-quanto a lei-avere nel frattempo altro da fare, magari quelle cose stesse che l'uomo non sa fare? Non solo lo si fotte davanti al mondo, ma-importante per una donna che è l'animale più ragionevole che esista-ci si convince che va fottuto, si conserva la buona coscienza"[8]. Tale pessimismo nei confronti dell'amore e delle donne certamente non è estraneo al suicidio di tali autori.


CONTINUA



[1]I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
[2]Sei personaggi in cerca d'autore (parte prima).
[3] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 10 marzo 1938.
[4]Atto secondo. Cechov è vissuto tra il 1860 e il 1904. Il gabbiano è del 1895.
[5]Il mestiere di vivere , 31 ottobre 1938.
[6]Il mestiere di vivere , 17 gennaio 1938.
[7] Cfr. il già citato Agamennone di Eschilo, v. 1116.
[8]C. Pavese, Il mestiere di vivere , 26 aprile, 1936.

venerdì 22 dicembre 2017

Twitter, CCC sunto. 21 dicembre 2017 primo giorno della primavera

21 dicembre 2017 primo giorno della primavera

Ospite della Gruber, Anna Falcone ha mostrato agli Italiani come deve essere una donna: autentica, intelligente, educata. Ha ridicolizzato quante rivendicano a tutte le donne indiscriminatamente una sicura superiorità sugli uomini che sarebbero, tutti, indiscriminatamente, idioti e prepotenti. Quorum ego, et tu lector virilis

La Boschi (Maria Elena) quando infuria insostenibile con lo sguardo da Gorgone, come Eracle furioso o come Aiace pazzo di nuovo, non deve fare paura: sta perdendo la partita.
In un suo articolo Zucconi oggi si vanta di avere creato il neologismo “spelacchio”. Lo fa raffigurando l'albero di Natale romano come la pianta della sventura. Cito alcune sue parole: “quell’abete piangente (nuova specie botanica) è realmente un enorme scovolino di pipe, la lisca di un pesce divorato da un gattone ciclopico, un gigantesco e costoso scopettino da water da 49 mila euro pagati dai contribuenti romani, una vergogna in più per una Capitale che molto ha da vergognarsi, fra passato e presente”.
Secondo me del tutto invereconde sono queste parole che vogliono compiacere quello che rimane del PD pugnalando maramaldamente la Raggi la quale, se non altro è carina e fine. Per giunta questa giovane donna, diversamente da Zucconi, ha una chioma bella assai. Dunque l’articolista con “spelacchio” ha designato prima di tutti se stesso. Da ogni punto di vista, anche letterario.

21 dicembre: oggi di fatto inizia la primavera: il pomeriggio il dì si è allungato di 2 minuti e 25 secondi. Gli uomini sani rivolti alla luce se ne sono accorti. Il 25 dicembre infatti era celebrato come il dies natalis solis invicti dati i 5 minuti in più della sua presenza divina.

giovanni ghiselli

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martedì 19 dicembre 2017

Lucrezio, "De rerum natura". IV libro. parte 7


-tabescunt 81120): tabescere indica lo struggersi d'amore anche in Properzio (3, 6, 23) e in Ovidio (Met. 3, 445) Dalla stessa radice il sostantivo tabes, decomposizione e, il verbo greco, thvkw, sciolgo.
-vulnere caeco (1120): la ferita è cieca in quanto rimane priva di luce a chi intende l'amore quale appropriazione ed essa non dà luce come invece fanno i vulnera sanati dalla comprensione che, lo abbiamo detto, ci parlano come bocche non mute (cfr. il Giulio Cesare di Shakespeare) o fiorscono in tanta luce (cfr. Siddharta di Hermann Hesse) .
"Adde quod absumunt viris pereuntque labore/adde quod alterius sub nutu degitur aetas/languent officia atque aegrotat fama vacillans" (1121-1123), aggiungi che esauriscono le forze e si annientano con la fatica, aggiungi che la vita si consuma sottomessa ai cenni di un altro, nei doveri sei fiacco e la reputazione si ammala e traballa.
-absumunt viris (1121 ): è solo l'amore non contraccambiato, che, come un investimento improduttivo, provoca questa sensazione di illanguidimento; l'eros indirizzato sulla persona congeniale, viceversa, dà un senso di potenziamento, di vitalità rinnovata e di gioia.
-sub nutu (1122) probabilmente Leopardi ricorda questo passo scrivendo: "Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola/sei del tuo sesso a cui piegar sostenni/l'altero capo"[1].

Fama (1123): l'alta considerazione della fama è indizio dell'appartenenza alla civiltà di vergogna. L'innamorato invece è un ispirato che vede oltre le cose terrene e non si cura dell'opinione dei più.

"Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat" (vv. 1123-1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e usata beve sudore di Venere.
Labitur... res (1123): cfr. Sofocle, Antigone , 782: " [Erw", o}" ejn kthvmasi pivptei"", Eros che sulle ricchezze ti abbatti.
-Babylonica: nella nostra tradizione letteraria le cose di Babilonia sono spesso esotiche, lussuriose e smisurate.

Sentiamo, per esempio il realismo magico di Marquez: "in un mercoledì di gloria fecero venire un treno carico di puttane inverosimili, femmine babiloniche addestrate a trucchi immemorabili, e provviste di ogni sorta di unguenti e dispositivi per stimolare gli inermi, aizzare i timidi, saziare i voraci, esaltare i modesti, temperare i multipli e correggere i solitari"[2].

"Nei codici il nostro v. 1124 si legge in realtà dopo il v. 1122 e fu il filologo del XVI secolo Lambinus (=Denys Lambin) a dare al testo l'attuale ordine, che ha il pregio di riferire Babylonica (come aggettivo sostantivato di difficile comprensione: "oggetti di Babilonia"?) a unguenta ( erano noti i profumi di Babilonia, come informa Erodoto, Storie I, 195); l'inversione sarà stata provocata o facilitata dall'identica iniziale delle due parole languent e labitur . In fiunt il numero plurale (dopo il singolare res ) si spiega come attrazione da parte del predicato "[3].
Erodoto racconta che a Babilonia hanno capellli lunghi cinti di mitre e sono profumati in tutto il corpo memuresmevnoi pa'n to; sw'ma (murivzw),
-rident (1125): la metafora trasferisce il sorriso dal volto della donna, o dell'amante, al regalo di cui essi sono soddisfatti. I sandali insomma riverberano il sorriso delle persone come la distesa marina quello di Venere:" tibi rident aequora ponti " (I, 8) o del sole : “innumerevole sorriso delle onde marine”, Eschilo, Prometeo incatenato pontivwn te kumavtwn-ajnhvriqmon gevlasma (88-89).
-grandes viridi cum luce zmaragdi (1126) : evocano le spese folli dell'amante innamorato, e, forse, occhi femminili tesi ad affascinare come quelli, già segnalati, della Carmen di Svevo. 
-thalassina : aggettivo, hapax , è formato su qavlassa, "mare", dunque "marina". Tale veste può riprodurre il colore degli smeraldi o degli occhi dell'amata cui l'amante avrebbe potuto rivolgere la battuta che Proust fa dire a Swann rivolto a una prostituta:"Che cosa carina: ti sei messa degli occhi azzurri dello stesso colore della tua cintura!"[4].
potat (1128) : Lucrezio vuole indicare una bevuta laida, quasi una fellatio della vestis . "La radice del verbo deriva dall'indoeuropeo *po- che ha dato come esito in greco pi-/po-/pw-, in latino po- (il verbo bibo deriva da *bi-po)"[5].
"Et bene parta patrum fiunt anademata, mitrae, /interdum in pallam atque Alidensia Ciaque vertunt " (1129-113O), e il patrimonio dei padri onestamente acquistato diventano bende e copricapi, talora si cambia in pepli e in tessuti di Alinda e di Ceo".
-anademata : è una traslitterazione di ajnadhvmata, "bende", da ajnadevw=cingo.
-mitrae da mitra che traslittera mivtra, ed è un copricapo orientale, una specie di cuffia.
-pallam : è una sopravveste da donna, pure di origine greca.
-Alidensia : da Alinda, in Caria.
-Ciaque : "di Ceo nelle Cicladi, che Lucrezio-come già Varrone e poi Plinio (vd. nat. hist. 4, 62)- confonde qui con Cos, celebre perle sue stoffe"[6]. Sembra che l'amore provochi sperperi tesi a gratificare la sanguisuga amata.

Questo è detto esplicitamente nella tirata antifemminista dell'Ippolito di Euripide di alcuni versi della quale forse si è ricordato Lucrezio:" Quello che ha preso in casa la pianta perniciosa gode nel porre intorno all'idolo malvagio (ajgavlmati kakivstw/////) ornamenti belli e si affatica intorno ai pepli, infelice (kai; pevploisin ejkponei'-duvsthno") , distruggendo la ricchezza della casa" (vv. 630-633). Ma la brama di tale distruttiva pianta dell'accecamento ("ajthrovn... futovn", v. 630) non è amore poiché l'amore è un'entità benefica e costruttiva.
Vediamo un momento, purtroppo fuggitivo, di vero amore in Resurrezione di Tolstoj:" Bastava che Katjuŝa entrasse nella stanza o che da lontano Nechljùdov scorgesse il suo grembiule bianco, perché tutto gli apparisse illuminato dal sole, tutto diventasse più interessante, più giocondo, più ricco di significato, perché la vita diventasse più lieta. E anche per lei era così"[7].

"Eximia veste et victu convivia, ludi, /pocula crebra, unguenta coronae serta parantur, /nequiquam, quoniam medio de fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat ... " (vv. 1131-1134):"si preparano conviti con apparato e portate sfarzose, giochi, tazze fitte, profumi, corone. ghirlande, invano poiché dal mezzo della sorgente dei piaceri sgorga qualche cosa di amaro che angoscia persino in mezzo ai fiori.-"Eximia è ablativo concordato con il solo veste , ma si riferisce anche a victu ; veste varrà qui vestis stragula (a differenza di vestis al v. 1127), drappo per divani in stoffa evidentemente preziosa"[8].

Tutto lo sfoggio pacchiano (trimalchionesco diremmo, dopo il Satyricon, ma si può pensare anche a quello del Creso erodoteo) attira consensi che non appagano.
Una via di soddisfazione autentica, senza angoscia, la indica Seneca: "qui domum intraverit nos potius miretur quam supellectilem nostram" (Ep. a Lucilio, 5, 6), chi sarà entrato in casa nostra ammiri noi piuttosto che le nostre suppellettili.


CONTINUA




[1] Aspasia , vv. 89-91.
[2]Cent'anni di solitudine , p. 237.
[3]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.
[4]La strada di Swann , p. 394.
[5] G. Ugolini, Lexis , p.369.
[6]I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
[7] L. Tolstoj, Resurrezione (del 1899), p. 47.
[8]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.

lunedì 18 dicembre 2017

Twitter, CCXCIX sunto. Auguri di buone cose a voi.

Auguri di buone cose a voi.
gianni


Per il dies natalis andrò a Sansepolcro sulla tomba dove riposano in pace le persone che mi hanno amato: mamma, nonni, zie. Non li lasciavo soli da vivi e vecchi per Natale. Cenerò da solo, da poverello sul bordo di una fontana alternando pane con pane. Con indosso cenci puliti che si rispecchieranno nell’acqua. Se si bagneranno per gli schizzi provocati dai ragazzini che mi daranno la baia, burleranno e canzoneranno per la mia stranezza, chiederò a una pietosa Nausicaa di passaggio di gettarmi un cencio asciutto da mettermi addosso: do;"  de; rJavko" ajmfibalevsqai (Odissea, VI, 178).

Ricordo che un'altra persona che mi ha voluto bene, Antonia, morta da tempo, tanti anni fa mi chiese dove sarei andato per Natale. Risposi: a Pesaro perché là ci sono i più vecchi e i più soli tra i miei cari. La carissima Antonia disse: lei sarà fortunato gianni perché è una persona buona! Accolsi il giudizio e il presagio che si è verificato. Sono stato fortunato in vita mia, e lo sono ancora. Fortunato e buono.

Il cenone mio, sarà panis siccus et sine mensa prandium, post quod non sunt lavandae manus. Sono fiero di questa diversità dai gozzoviglatori obesi. Tuttalpiù, se verrà a trovarmi Apollonia, la notte di Capodanno dividerò con lei quel secundarium panem e aggiungerò pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides, pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi verdi.
In fondo era il cibo di Augusto secondo Svetonio (Augusti Vita, 76.
Aggiungerò un bicchiere di champagne, uno in due. Ibi iIlla multa tum mille iocosa fient .
Ti lodo, fortuna!

Sentite come suona bene anche se è una eresia: "con quale faccia tosta scienziati medici e sindaci ci spacciano i vaccini scaricandoceli nelle braccia nelle vene e nelle viscere vive a raffiche di dieci per volta?"
Gli ortodossi sdegnino tal quesito allitterante che suona ma non crea.

L'epiteto di "idiota" ricevuto dopo l’eresia appena messa su twitter mi fa onore. Sono un ammiratore del principe Myskin. L' idiozia nostra (quella del principe e la mia) infatti è la stranezza, l'estraneità rispetto alla feccia triviale dei più. Io sono per un comunismo aristocratico. Eguaglianza materiale sotto la direzione dei colti, intelligenti buoni. Non Renzi, non la Boschi, non Salvini, non Berlusconi.   
La bellezza di alcune donne, non molte invero, sta nel rivendicare la loro diversità dalle donnicciole, come fanno anche pochissimi uomini diversi dagli omuncoli. Vedi la ragazza Antigone di Sofocle: non piaccio a molti, dice, "ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia” (Antigone, v. 89)
Nel concreto, penso a donne come Anna Falcone, a uomini come Gino Strada. Gli omuncoli e le donnicciole sono troppi per fare degli esempi.


giovedì 21 dicembre, alle 18 parlerò nella biblioteca Ruffilli, delle donne nell'epica e nella tragedia greca (Nausicaa, Penelope, Medea, Antigone e altre). Tutte persone molto diverse dalle donnicciole e dagli omuncoli che vediamo ogni giorno dappertutto. Venite, laetabimini, vi divertirete.

San Francesco non è Christus alter, un secondo Cristo. Cristo è stato ammazzato perché faceva politica maledicendo e condannando i ricchi e i malvagi alla dannazione eterna. Francesco di Assisi è stato più diplomatico: amava tutti, e se l'è cavata. Papa Francesco, il vicario di Cristo, sta rischiando la pelle. A me piace molto, a tanti chierici e laici pochissimo.


Giovanni ghiselli, detto gianni il poverello di Pesaro
p. s.
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Alcuni penseranno che i poverelli come me la notte di Capodanno, affamati e incapaci di dormire, sogneranno di avere il proprio grugno (rostrum) chino su una mensa piena di tutto. Altra eresia. spero che non susciti l'intolleranza dei dogmatici come la precedente.

L'epiteto di "idiota" mi fa onore. Sono un ammiratore del principe Myskin. L'idiozia nostra infatti è la stranezza, l'estraneità rispetto alla feccia triviale dei più. Io sono per un comunismo aristocratico. Eguaglianza materiale sotto la direzione dei colti intelligenti buoni

Se qualcuno dovesse chiedersi chi è Ifigenia, sappia che se mai ho fornicato fu in un'altra era e in un altro paese e per giunta la ragazza è morta. Un amore vissuto con un fantasma o con una personata mulier - donna mascherata - può finire solo male. Ma, ripeto, if I have committed fornication, that was in another country, and, besides, the wench is dead (cfr. C. Marlowe, The Jew of Malta, IV, 1)
Dunque take up the bodies, togliete di mezzo i cadaveri! Mox ver veniet meum, mox faciam uti chelidon et ericius. Cras amet qui numquam amavit, quique amavit, cras amet. (cfr. Pervigilium Veneris)
Amori malati, mi scrive un'amica. Sì, certo. Ma se non ci fossero stati ora vivremmo da verginelli canuti e non credo che saremmo più felici

San Francesco non è Christus alter, un secondo Cristo. Cristo è stato ammazzato perché faceva politica maledicendo e condannando i ricchi. Francesco di Assisi è stato più diplomatico: amava tutti, e se l'è cavata. Papa Francesco, il vicario, sta rischiando la pelle. A me piace


Alcuni penseranno che i poverelli come me la notte di Capodanno, affamati e incapaci di dormire, sogneranno di avere il proprio grugno (rostrum) chino su una mensa piena di tutto. Altra eresia. spero che non susciti l'intolleranza dei dogmatici come la precedente.

Ieri, dalla Gruber, Anna Falcone ha mostrato agli Italiani come deve essere una donna: autentica intelligente educata. Ha ridicolizzato quante rivendicano a tutte le donne indiscriminatamente una sicura superiorità sugli uomini, tutti, indiscriminatamente, idioti e prepotenti.

La Boschi (Maria Elena) quando infuria insostenibile con lo sguardo da Gorgone, come Eracle furioso o come Aiace pazzo di nuovo, non deve fare paura: sta perdendo la partita.