Cambise, xilografia da Liber Chronicarum, 1494 |
Poco più avanti Platone illustra come l’eccesso di libertà
porti alla schiavitù (563 E - 564 A), come dal popolo scaturisca il potere
personale di un “protettore” desiderato e corteggiato dal popolo stesso (565 C
- D), e come costui immancabilmente si faccia tiranno (566 B - 569 C). Costui
susciterà anche delle guerre affinché il popolo abbia bisogno di un duce (566
e).
Erodoto, con il distacco che è tipico dei dibattiti senza
vincitore, nel “dialogo sulla costituzione” svoltosi - secondo lui - in Persia
alla morte di Cambise (522 - 521 a. C. ), fa sostenere al promotore della
democrazia, Otanes, la polarità democrazia/tiranno, e al sostenitore
dell’oligarchia, Megabizo, l’identità popolo sovrano/tirannide. Se dunque la
polarità fondamentale dell’etica democratica è democrazia/tirannide, ben si
comprende la centralità del mito dei tirannicidi nell’Atene del V secolo.
Quando perciò, documenti alla mano, Tucidide riscrive, la
storia del (tentato) tirannicidio del 514 a. C. e lo svuota di ogni proposito
politico, anzi lo riduce al rango di mediocre e inetta vendetta privata[1],
egli compie in tal modo un’operazione che, con terminologia oggi corrente, potremmo
definire prettamente “revisionistica”. E la compie su documenti, interpretando documenti, noti e meno noti… Nel libro
sesto campeggia l’intrigo d’amore come causa determinante dell’attentato. Le prime parole dell’excursus intendono dare la notizia principale: “L’azione di Armodio
e di Aristogitone fu compiuta a causa di una vicenda amorosa”[2]
(ma poco dopo l’autore si lascia sfuggire espressioni quali “lottare per la
libertà”[3]
per indicare il proposito per il quale i congiurati agivano). Invece nel
proemio al libro primo (scritto probabilmente più tardi) il motivo dell’eros è
scomparso dalla rettifica di ciò che gli Ateniesi mal conoscono sul proprio
mito fondatore, e tutto si riduce alla puntigliosa precisazione “credono
(errando) che Ipparco, quando fu ucciso, fosse lui il tiranno”[4].
La diversità di bersaglio non può passare inosservata”[5].
Nella chiusura del capitolo Canfora fa una “congettura” che
avvicina il caso della fine di Ipparco a quello di Melo: “Il trattamento anti -
democratico inserito nel sesto libro è forse da mettersi in relazione, come
anche il dialogo melio - ateniese, con l’opera di discredito della democrazia
cui lo storico potrebbe essersi dedicato nel periodo in cui era in cantiere la
congiura che abbatté il regime popolare (e di cui lui non era ignaro). Se una
tale ipotesi sta in piedi, comprendiamo meglio fasi compositive e finalità di questi svolgimenti - Melo, la
fine di Ipparco -, che sono confluiti dentro il racconto tucidideo ma che si legano al racconto in modo piuttosto lasso. Sia
in un caso che nell’altro l’uso, o il non uso, dei documenti, da parte di
Tucidide, ha avuto, in relazione ai fini perseguiti, una funzione determinante”[6].
“Non
minore nobiltà, del resto, Erodoto presta, nel cap. 104 del libro VII, alla
risposta che il greco Demarato dà a Serse, quando questi giudica elemento di
debolezza per i Greci la libertà che vige tra essi. Demarato, il quale pure è
al servizio del re persiano, non esita a rivendicare il valore della libertà, di
quella libertà che nasce dall’obbedienza alle leggi:
Essi pur essendo liberi non sono liberi del tutto: sovrasta
loro infatti sovrana la legge…(VII, 104)”[7].
Demarato parla degli Spartani. Vediamolo in greco: “ejleuvqeroi ga; r ejovnte~ ouj pavnta ejleuqeroiv eijsi: e[pesti
gavr sfi despovth~ novmo~” (VII, 104, 4).
Fassò ricorda che il coro dei Persiani di Eschilo dice ad Atossa che gli Ateniesi combattenti a
Salamina non si chiamano schiavi di nessun uomo e di nessuno sono sudditi (v. 242).
Nel Pro Cluentio[8], Cicerone
scrive “legum denique idcirco omnes servi
sumus ut liberi esse possimus” (147): siamo servi delle leggi solo al fine
di poter essere liberi “e lo ridiceva, ancor più concisamente, Locke nel
diciassettesimo secolo: “Dove non c’è legge non c’è libertà”. Però, chi più di
ogni altro ha martellato sulla tesi che la libertà era fondata dalla legge e
nella legge è stato Jean - Jaque Rousseau: “quando la legge è sottomessa agli
uomini” scrive” non restano che degli schiavi o dei padroni; è la certezza di
cui sono più certo: la libertà segue sempre la sorte delle leggi, essa regna e
perisce con queste”. Perché la libertà ha bisogno della legge? Perché se
governano le leggi - che sono regole generali e impersonali - non governano gli
uomini, e per essi la volontà arbitraria, dispotica o semplicemente stupida di
un altro uomo”[9].
Bisogna però dire, e
Fassò non lo nasconde, che Demarato era spartano e che, per quanto riguarda
l’uguaglianza di tutti davanti alla legge cui tutti dovrebbero sottomettersi, dopo
la battaglia delle Arginuse (406 a. C. ), il popolo ateniese, nel quale era
stato inoculato l'odio per gli strateghi e il desiderio dei capri espiatori, gridava
che era grave se qualcuno non permetteva al popolo di fare quanto voleva
("to; de; plh'qo" ejbova deino; n
ei\nai, eij mhv ti" ejavsei to; n dh'mon pravttein o{ a]n bouvlhtai",
Senofonte, Elleniche I, 7, 12). "E'
la rivendicazione che riecheggia minacciosamente in assemblea ad Atene durante
il processo popolare contro i generali delle Arginuse", è, come vedremo, "la
formula che caratterizza, secondo Polibio, la degenerazione della democrazia (VI, 4, 4: " quando il popolo è
padrone di fare quello che vuole"). [10]
Un’ altra espressione di condanna di questa negazione dello
Stato di diritto si trova nell’Ifigenia
in Aulide[11] di
Euripide quando il coro delle donne calcidesi lamenta che sono caduti i valori
forti del Valore e della Virtù, mentre regna l’empietà, e ajnomiva de; novmwn kratei' (v. 1095), la
licenza prevale sulle leggi.
CONTINUA
[1] Tucidide, VI, 54 - 59.
[2] VI, 54, 1.
[3] VI, 56, 3.
[4] I, 20, 2. Cfr. p. 83 Ndr.
[5] L. Canfora, Prima lezione di storia greca, pp. 55 - 56.
[6] L. Canfora, Prima lezione di storia greca, p 52 e p.. 56.
[7] G. Fassò, La democrazia in Grecia, p. 52.
[8] Del 66 a. C.
[9] G. sartori, La democrazia in trenta lezioni, pp. 45 - 46.
[10]Canfora, Lo Spazio Letterario Della Grecia Antica, Volume I, Tomo II, p. 835.
[11] Rappresentata postuma nel 405 o
nel 403.
Tocco Giovanna
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