NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 10 marzo 2017

Il potere. I parte

Augusto

I lezione

Il Potere. La figura del tiranno. Il persiano Otane, la teoria antitirannica, e l’isonomia che è altra cosa dalla democrazia ateniese la quale, secondo alcuni critici, sarebbe stata una specie di dittatura del proletariato. Platone e la critica della democrazia. Senofonte, Tucidide e Polibio. Nelle tragedie il tiranno è il paradigma mitico della negatività del potere assoluto. Tirannide e antitirannide in Eschilo. Nelle Supplici di Euripide Teseo è il Pericle in vesti eroiche. Tebe è il paese guasto, mentre Atene è la polis sana che è retta con giustizia e protegge i supplici (Supplici, Eraclidi di Euripide; Edipo a Colono di Sofocle). Difetti della paideia spartana secondo Euripide (Andromaca). Il potere incontrollato Ancora il mouvnarco~ di Erodoto. Euripide, Platone. Tito Livio e Bruto, il falso sciocco, l’ossimoro vivente, come Amleto. L’invidia del tiranno: Tacito. Intellettuali e potere: Pasolini, Augusto e gli storiografi martiri. La zoppia del tiranno. Il tiranno è ignobile, servile e impotente. La paura del tiranno, genitivo soggettivo e oggettivo. Il fanatismo di Eteocle nelle Fenicie di Euripide.
Seneca maledice il potere tirannico. Il potere è razionale e morale solo se esercitato al servizio dei sudditi. L’ira del tiranno. Il tiranno, come lo schiavo calpesta la fides che è un valore solo per le persone oneste. L’uguaglianza. Le obiezioni di Giocasta a Eteocle nelle Fenicie. Precarietà del possesso delle ricchezze. Euripide, Menandro e Seneca. Il senso della misura e la teoria della classe media.


“Chi vuole vedere quali sieno e pensieri de’ tiranni, legga Cornelio Tacito, quando referisce gli ultimi ragionamenti che Augusto morendo ebbe con Tiberio”[1].
Nella Medea di Seneca la protagonista prova a chiedere giustizia con un processo equo ma Creonte afferma il valore assoluto del suo ordine: "aequum atque iniquum regis imperium feras" (v. 195), giusto o non giusto, rassegnati all'ordine del re. Infatti esso è insindacabile.
Medea prova a obiettare che l'iniquità è una base instabile per un regno: "iniqua numquam regna perpetuo manent" (v. 196), i regni iniqui non durano mai a lungo.
 L'iniquità consiste nel non ascoltare la parte avversa: "qui statuit aliquid parte inaudita altera, /aequum licet statuerit, haud aequus fuit" (vv. 199 - 200), chi ha emesso una sentenza senza avere ascoltato l'altra parte, anche se ha decretato il giusto, non è stato giusto.
Del resto il tiranno che fa, ed ha paura, non lascia nemmeno parlare.
 Nell'Antigone la protagonista fa notare a Creonte che il suo gesto sarebbe approvato dal popolo se non fosse per la paura del tiranno: " Si potrebbe dire che a tutti questi questo/piace, se la paura non serrasse la lingua" (eij mh; glw'ssan ejgklh/voi fovbo", vv. 504 - 505).
Il tiranno inceppa le lingue anche nel Macbeth: “This tyrant, whose sole name blisters our tongues” (IV, 2), questo tiranno, il cui solo nome, fa venire vesciche sulla lingua, afferma Malcom, uno dei figli del re Duncan ucciso da Macbeth.
  
Nelle Storie di Erodoto la teoria antitirannica è attribuita al nobile persiano Otane il quale, durante il dibattito costituzionale, contrappone alla monarchia il potere del popolo che prima di tutto ha il nome più bello: " ijsonomivhn", poi non fa nulla di quanto perpetra l'autocrate: infatti esercita a sorte le magistrature ed ha un potere soggetto a controllo: " uJpeuvqunon de; ajrch; n e[cei" (III, 80, 6). Erodoto attraverso Otane formula già la teoria, poi riproposta da Polibio, secondo la quale la monarchia degenera inevitabilmente in tirannide. Tra i sette nobili Persiani, quando ebbero parlato anche Megabizo, che propugnava l'oligarchia, quindi Dario, il quale sosteneva la monarchia e l'inevitabilità della degenerazione sia della democrazia sia dell'aristocrazia (III, 82) verso le rispettive forme deteriori. Prevalse quest'ultimo con l'argomento che a loro la libertà era venuta da un monarca. Allora Otane non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto dell'antisadismo: "ou[te ga; r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato[2].
“Una forte tendenza al rifiuto di obbedire è spesso accompagnata da una tendenza altrettanto forte al rifiuto di dominare e di comandare”[3].
Sentiamo Bertolt Brecht:
“Io son cresciuto figlio
di benestanti. I miei genitori mi hanno
messo un colletto, e mi hanno educato
nelle abitudini di chi è servito
e istruito nell’arte di dare ordini. Però
quando fui adulto e mi guardai intorno
non mi piacque la gente della mia classe,
né dare ordini né essere servito.
E io lasciai la mia classe e feci lega
Con la gente del basso ceto”[4].

Credo di avere riconosciuto un’eco di questa splendida affermazione nel film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel - Hitler, scambiato per il grande dittatore deve fare un discorso che legittimi ed esalti la prepotenza del tiranno, presentato alla folla come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch - Goebbels. Ebbene il barbiere non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice: “I’m sorry, but I don’t want to be an emperor. That’s not my business. I don’t want tu rule or conquer anyone”, mi dispiace, ma io non voglio essere imperatore, non è il mio mestiere, io non voglio governare o conquistare nessuno.
E continua: “I should like to help everyone…greed has poisoned mens’s souls”, mi piacerebbe aiutare tutti…l’avidità ha avvelenato le anime umane.



CONTINUA



[1] F. Guicciardini, Ricordi, 13.
[2] Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi: non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou; ~ ga; r maqovnta~ mhvq j uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro; ~ aJpavsa~ ta; ~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte le circostanze..
[3] Hannah Arendt, Sulla violenza, p. 41.
[4] Scacciato per buone ragioni in Poesie di Svendborg del 1939. 

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