giovedì 30 marzo 2017

Il potere. VI parte


Nella Vita di Solone di Plutarco troviamo una derisione delle leggi scritte da parte di Anacarsi che fu ospite e amico del legislatore Ateniese. Lo Scita dunque derideva l’opera di Solone che pensava di frenare l’iniquità dei cittadini con parole scritte le quali, diceva, non differiscono affatto dalle ragnatele (mhde; n tw`n ajracnivwn diafevrein, 5, 4), ma come quelle trattengono le prede deboli e piccole, mentre saranno spezzate dai potenti e dai ricchi (uJpo; de; dunatw`n kai; plousivwn diarraghvsesqai).
Le cose poi andarono secondo le previsioni di Anacarsi, il quale disse anche, dopo avere assistito all’assemblea degli Ateniesi, di essere stupito del fatto che presso i Greci parlassero i sapienti ma decidessero gli ignoranti (o{ti levgousi me; n oiJ sofoi; par j { Ellhsi, krivnousi d j oiJ ajmaqei`~ (5, 6).
Le leggi dunque colpiscono solo i deboli
Nietzsche: “Le leggi contro i ladri e gli assassini sono fatte a favore delle persone colte e ricche”[1].
Nella storia romana "la maggiore singolarità" è data dal fatto che i primi legislatori "e soprattutto il loro capo Appio Claudio siano stati deposti per la loro indegna tirannide" mentre diversi altri "veri o mitici legislatori, Licurgo, Solone, Zaleuco, Mosé, sono dalla tradizione circonfusi da un'aureola di luce che li rende santi e venerabili". Il fatto è che Appio Claudio e i decemviri legibus scribundis nel 451/450 agirono in favore della plebe: " Di contro alla prepotenza patrizia, ordinatasi nel sec. V la plebe a Stato entro lo Stato, due furono le concessioni che prima cercò di ottenere: leggi eguali per tutti, e una parte per tutti i cittadini nel governo della repubblica. A soddisfare l'una e l'altra richiesta si accinsero i decemviri". Di qui la reazione dei patrizi: "Come dalla decadenza della monarchia, così dalla caduta del decemvirato trassero sul momento vantaggio i soli patrizi. E dell'una e dell'altra spetta quindi ai patrizi la responsabilità"[2]
Tacito menziona gli adultèri: "paucissima in tam numerosa gente adulteria ", quindi aggiunge: "nemo enim illic vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur " (19), e conclude il capitolo: "plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges ".

 In conclusione “Corruptissima re publica plurimae leges" (Tacito, Annales, III, 27), quanto più è corrotto uno Stato, tanto più numerose sono le leggi.
“E si può fare questa conclusione: che dove la materia non è corrotta, i tumulti ed altri scandoli non nuocono; dove la è corrotta, le leggi bene ordinate non giovano”[3].

L'età giovanile, continua Isocrate, è quella della torbidezza spirituale: i ragazzi sono pieni di desideri e devono educarsi prendendo buone abitudini e compiendo fatiche che comportano gioia (43). Attività buone che costino fatica e diano soddisfazione. La paideiva va conformata ai mezzi di cui ciascuno dispone. I più poveri venivano indirizzati all'agricoltura e al commercio: " ejpi; ta; " gewrgiva" kai; ta; " ejmporiva"" (Areopagitico, 44). Gli abbienti invece si dedicavano alla ginnastica, all’ ippica, alla caccia, e alla filosofia. La cultura dello spirito equiparata alla ginnastica fa parte di quella concezione della paideia come gioco elevato espressa da Callicle nel Gorgia. Anche Senofonte vuole combinare equitazione ginnastica e caccia con l'amore per la cultura intellettuale.

Pure il Protagora, il sofista eponimo e personaggio del dialogo platonico (326c) di Platone fa dipendere la durata dell'istruzione dai mezzi dei genitori. Lo studio della poesia, della musica e la pratica della ginnastica li fanno oiJ mavlista dunavmenoi - mavlista de; duvnantai oiJ plousiwvtatoi -  i più ricchi che hanno possibilità maggiori mandano i figli a scuola prima e li fanno uscire dopo. E quando hanno lasciato la scuola, devono imparare le leggi perché non vivano a proprio arbitrio e a casaccio

Nelle Supplici di Euripide, Teseo propugna la democrazia e dice all’araldo tebano mandato da Creonte che quando c’è un tiranno non esistono più leggi comuni (novmoi -  koinoiv, vv. 430 - 431). E procede: “gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t’ ajsqenh; ~ - oJ plouvsiov~ te th; n divkhn i[shn ecei ” (vv. 433 - 434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno gli stessi diritti.

Platone invece pensava che una buona educazione di base non avesse bisogno della costrizione delle leggi (Repubblica, 426e - 427a). Del resto tutta l'educazione superiore deve essere cosa di Stato.

Isocrate non vuole eliminare le differenze economiche. Il difetto dell'educazione moderna è la mancanza di ogni pubblico controllo, sostiene. Una volta l' ajkosmiva, la condotta disordinata, veniva deferita all'Areopago che cominciava con l'ammonizione, poi passava alla minaccia, quindi alla punizione. Prima c’era lo qewrei'n, l’osservare, poi il nouqetei'n, l’ammonire, quindi l' ajpeilei'n, il minacciare, infine il kolavzein, il punire. L'Areopago insomma katei'ce, teneva a freno i cittadini con sorveglianza e punizioni. Allora la gioventù non sciupava il suo tempo a oziare in locali da gioco o con le flautiste. Ogni giovane si atteneva all'attività dove era stato posto e cercava di imitare gli uomini che vi primeggiavano. Nel comportamento con gli anziani i ragazzi osservavano le regole del rispetto e della cortesia. Isocrate ricorda il dittico a contrasto dell'antica e nuova paideia disegnato da Aristofane nelle Nuvole. I giovani non andavano nelle osterie, non facevano i buffoni: quei canzonatori di professione che ora chiamano ingegnosi allora li consideravano dei disgraziati: " ejkei'noi dustucei'" ejnovmizon tou; " skwvptein dunamevnou" ou}" nu'n eujfuei'" prosagoreuvousin"(49). Il concetto di aijdwv" era un retaggio dell'antica etica e della formazione nobiliare.


CONTINUA



[1] Frammenti postumi, 1876, 14
[2] G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. II, pp. 46 - 48.
[3] Machiavelli, discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, 17. 

2 commenti:

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