NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 29 marzo 2017

recensione di "Il fiume di Eraclito. Poesie" di Adriana Pedicini. II parte



Allora leggiamo la poesia Silenzio (p. 25)
Si fa nella mente
rarefatto pensiero
il silenzio.
Grava sugli occhi l’affanno
degli anni sepolti
per sempre
al futuro.
L’animo
ha doppio respiro
se rinasce il vigore
del sogno aurorale
del domani

Gli anni sepolti al futuro non sono morti dentro di noi poiché, come i nostri cari che non ci sono più, costituiscono una spinta verso la vita e l’amore, con il ricordo di tante cose belle e buone che ci hanno lasciato.

Vediamo ancora Inquietudine (p. 59)

Se l’uomo sapesse la sua fragilità
e la polvere del suo corpo conoscesse
cibo darebbe all’anima
che non in sale di palazzi ricchi vive
o nel luccichio di lussuose mense
dell’esistenza alti fondi al Vero inversi
di follia non divina segno
Vive nella libertà di deserti intatti
Che di poco o niente si compiace
E di ciel s’appaga, nella gioia sacra del dono
Che non attende la sua resa
Non olezzante di denaro lordo.
Non a fiumi di champagne deterge le sue macchie
Ma nel catino del pentimento monda le sue colpe.
Non mette guardia a difesa dei suoi averi
Ma tutti in sé li porta di virtù fatti e di pensiero
Che a giustizia mira e ad Amore eterno

E ora la presenza dei classici in questi versi

A proposito della fragilità umana (v. 1), Seneca nel De ira suggerisce il rimedio di considerare la nostra imbecillitas per sottrarci alla brama di fare del male al prossimo:"quid imbecillitatis obliti ingentia odia suscipimus et ad frangendum fragiles consurgimus? " (III, 42), perché dimenticando la nostra debolezza concepiamo odi colossali e fragili come siamo ci alziamo in piedi per infrangere altri?
Alla fragilità si aggiunge pure la brevità della vita:"interim, dum trahimus, dum inter homines sumus, colamus humanitatem" (III, 43), nel frattempo, finché inspiriamo, finché siamo tra gli uomini, coltiviamo l'umanità!

La polvere (v. 2) è il simbolo della morte: prefigura l'inevitabile esito della nostra vita:"what is this quintessence of dust? " (Amleto, 2, 2), che cosa è per me questa quintessenza di polvere? domanda il principe di Danimarca. Naturalmente l'uomo, e pure la donna, dei quali Amleto non si prende alcun piacere.
Nel poema di T. S. Eliot leggiamo: "I will shaw you fear in a handful of dust" (T. S. Eliot, The Waste Land, v.30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.

Per la ricchezza povera d’anima (vv- 3-5) vediamo il Nigrino di Luciano (II sec. D. C.)

Luciano era andato a Roma per farsi visitare da un oculista, ma si recò da Nigrino “il filosofo platonico” e il suo pensiero produsse tanta ambrosia da trasformare in anticaglie le celebri Sirene. “Mi dimenticavo degli occhi e a poco a poco mi si faceva più acuta la vista dell'anima; fino a quel momento infatti non mi ero accorto che l'avevo portata cieca con me”. I Greci sono lodati (da Nigrino) poiché essi vivono con la filosofia e la povertà e non hanno piacere di vedere nessuno che introduca il lusso, e se qualcuno arriva da loro, lo rieducano. Così fecero con un ricco che ad Atene sfoggiava vesti multicolori e camiciotti di porpora. Le vesti sfoggiate e la porpora gliele fecero smettere, dando un po' di baia cittadinesca a quei fiori che vi aveva dipinti di tanti colori : Oh ! ecco già primavera ! :" e[ar h[dh", donde viene questo pavone ? Certo è la veste della mamma. E con altre simili piacevolezze lo canzona­vano per le moltissime anella che portava, per essersi alle­vato la zazzera, per la rilassatezza del vivere: per modo che tosto egli si fece moderato, e se ne partì molto mi­gliore che non era venuto, così corretto dal popolo
Ad Atene c'è semplicità di vita, tranquillità ed interesse. E' una vivere adatto per chi sia orientato verso le cose buone per natura. A Roma invece dominano vizi, lussi, piaceri.
Il filosofo volle vedere nei Romani i difetti propri dei conquistatori: superbia, rozzezza, ignoranza, da contrapporre all'umanità e alla raffinatezza dei Greci. Mise in rilievo quello che gli scrittori ufficiali fingevano di ignorare, sollecitando però il riso invece dello sdegno. Usava la categoria del ridicolo[1] per lasciare il pungiglione nella carne viva.
E' facile disprezzare i beni della fortuna quando si vede come sulla scena del mondo uno che era schiavo diventa padrone, un ricco povero, un miserabile re. La Fortuna infatti gioca con le sorti umane. Come possono non essere ridicoli i ricchi quando mettono in mostra le vesti di porpora e protendono le dita inanellate, mostrando la loro ajpeirokaliva , inesperienza di bellezza?



CONTINUA


[1] Leopardi a proposito delle sue Operette morali dice:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394) .

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