sabato 18 marzo 2017

Il potere. IV parte

boulè di Priene

“Nulla era più strano di questo popolo sovrano di Atene. Sempre geloso della sua democrazia, sempre febbrilmente ansioso a ogni grido d’allarme contro le minacce oligarchiche e tiranniche, esso si abbandonava ciecamente alla guida capricciosa, interessata e spesso irragionevole dei demagoghi. Così, mentre libertà e uguaglianza valevano al di sopra di ogni cosa, il demos stesso esercitava malignamente l’oppressione più dura e più dispotica sui ricchi e sui nobili, ai quali imponeva senza riguardo liturgie e incombenze d’ogni sorta; anzi il massimo piacere dei giurati era comminare condanne severe, perfino ingiuste, agli imputati più illustri, nonostante la loro nobiltà e la loro ricchezza. Gli ottimati ricorsero allora al mezzo che appariva più a portata di mano: associazioni o eterie furono allargate fino a diventare clubs politici, destinati a promuovere il sostegno reciproco fra i loro membri in caso di elezioni e di processi” (Droysen, Aristofane, p. 114).
Aristofane denuncia ridendo la parzialità, contraria ai ricchi, dei tribunali popolari ateniesi, nella commedia Sfh`ke~ (le Vespe, del 422). Un vecchio giudice dell’Eliea, Filocleone. che prende la modesta paga di tre oboli al mese, esulta per il potere che il suo ruolo gli conferisce: tutti lo adulano e corteggiano, in casa e fuori, e “quando io fulmino - dice - schioccano con le labbra per paura e se la fanno adosso ricchi e nobili (vv. 626 - 628). E anche tu - rivolto al figlio Bdelicleone - mi temi. Ma il giovane che ha schifo di Cleone lo convincerà che il demagogo usa lui e altri vecchi pazzi compensandoli con una misera paga rispetto ai suoi colossali profitti.
“Si produce, con lo sviluppo della democrazia radicale, una svolta inattesa, pur essa legata ai rapporti di forza. Sorge cioè col tempo, all’interno della città democratica, una polarità o meglio antinomia tra l’idea della superiorità della legge (nucleo di partenza della democrazia stessa contro il sopruso di casta) e l'idea, estrema, che il popolo è esso stesso al di sopra della legge. E' quello che dicono i capipopolo, minacciosamente, durante la prima fase del processo dei generali vincitori alle Arginuse: "qui si vuole impedire al popolo di fare ciò che vuole!" E' il problema che dibattono Alcibiade e Pericle nel dialogo riportato da Senofonte"[1].

Nei Memorabili di Senofonte, Pericle tutore di Alcibiade, rispondendo alle domande urgenti del ragazzo non ancora ventenne, ammette che tutto quanto uno costringe a fare senza prima avere persuaso (mh; peivsa~ ajnagkavzei) o con parole scritte, o in altro modo, è piuttosto violenza che legge: "biva ma'llon h] novmo~ ei\nai" (1, 2, 45). Allora, lo incalza Alcibiade, tutti gli ordini che la massa, la quale ha potere sui ricchi, prescrive senza persuaderli, sarebbe violenza piuttosto che legge? Pericle elude la risposta dicendo all'adolescente che sta facendo sofismi tipicamente giovanili: da ragazzo li faceva anche lui (1, 2, 46).
Torniamo a Canfora: "La polarità è dunque nell'idea che il popolo è "al di sopra della legge" (processo delle Arginuse, dialogo di Pericle e Alcibiade) versus l'opposta idea (Demarato a Serse in Erodoto, 7, 104)"[2]. Demarato, uno Spartano esiliato e rifugiatosi dal re di Persia dice a Serse che i suoi concittadini, pur essendo liberi, non sono del tutto liberi: "e[pesti ga; r sfi despovth~ novmo~ (7, 104, 4), sopra di loro sta sovrana la legge. Si tratta però di Spartani, l'altro polo della Grecia.
Di nuovo Canfora: "In questa prospettiva, il dialogo Pericle - Alcibiade in Senofonte riveste una notevole importanza: Senofonte raffigura un Pericle assai lontano da Tucidide, 2, 65? Ovvero Pericle è ciò che si legge in 2, 65 perché sa bene ciò che spiega ad Alcibiade? "[3]. Tucidide fa l'elogio finale di Pericle dicendo che era incorruttibile al denaro e teneva in pugno la massa lasciandola libera ("katei'ce to; plh'qo" ejleuqevrw"") e non si faceva condurre più di quanto la conducesse (II, 65, 8).
Allora “l’istanza fatta valere dalla demoktratia ateniese (“ il popolo sia al di sopra di tutto col suo deliberare (boulesthai) viene in parte vanificata (o contenuta) attraverso il meccanismo della circolarità masse - capi. E’ Teramene il grande regista del processo delle Arginuse! Il demo crede di imporre il proprio volere ma è lui che lo pilota, anche attraverso i “retori minori”…Quella circolarità riemerge, sulla scala dei millenni, ogni volta che un moto di popolo, un ridestarsi del “popolo”, prende corpo e dà forma a uno Stato”[4].

Il buleuta Callisseno presentò l'accusa formulando una proposta di condanna a morte. La difesa degli strateghi fatta da Eurittolemo mise in rilievo l’illegalità della proposta di condannare a morte gli strateghi senza distinguere le responsabilità individuali e denuncia Teramene come colui che avrebbe dovuto raccogliere i naufraghi e che poi invece nell’assemblea precedente il processo aveva accusato gli strateghi (o{~ ejn th'/ protevra/ ejkklhsia/ kathvgorei tw'n strathgw'n, Senofonte, Elleniche, 1, 7, 31)


CONTINUA



[1] Luciano Canfora, Legge o natura? In NOMOS BASILEUS, p. 58.
[2] Luciano Canfora, op. e p. citate sopra.
[3] Luciano Canfora, Legge o natura? In NOMOS BASILEUS, p. 59
[4] Luciano Canfora, Legge o natura? In NOMOS BASILEUS, p. 59

1 commento:

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