boulè di Priene |
“Nulla era più strano di questo popolo sovrano di Atene. Sempre
geloso della sua democrazia, sempre febbrilmente ansioso a ogni grido d’allarme
contro le minacce oligarchiche e tiranniche, esso si abbandonava ciecamente
alla guida capricciosa, interessata e spesso irragionevole dei demagoghi. Così,
mentre libertà e uguaglianza valevano al di sopra di ogni cosa, il demos stesso esercitava malignamente
l’oppressione più dura e più dispotica sui ricchi e sui nobili, ai quali
imponeva senza riguardo liturgie e incombenze d’ogni sorta; anzi il massimo
piacere dei giurati era comminare condanne severe, perfino ingiuste, agli
imputati più illustri, nonostante la loro nobiltà e la loro ricchezza. Gli
ottimati ricorsero allora al mezzo che appariva più a portata di mano: associazioni
o eterie furono allargate fino a diventare clubs
politici, destinati a promuovere il sostegno reciproco fra i loro membri in
caso di elezioni e di processi” (Droysen, Aristofane,
p. 114).
Aristofane denuncia ridendo la parzialità, contraria ai
ricchi, dei tribunali popolari ateniesi, nella commedia Sfh`ke~ (le Vespe, del
422). Un vecchio giudice dell’Eliea, Filocleone. che prende la modesta paga di
tre oboli al mese, esulta per il potere che il suo ruolo gli conferisce: tutti
lo adulano e corteggiano, in casa e fuori, e “quando io fulmino - dice - schioccano
con le labbra per paura e se la fanno adosso ricchi e nobili (vv. 626 - 628). E
anche tu - rivolto al figlio Bdelicleone - mi temi. Ma il giovane che ha schifo
di Cleone lo convincerà che il demagogo usa lui e altri vecchi pazzi
compensandoli con una misera paga rispetto ai suoi colossali profitti.
“Si produce, con lo sviluppo della democrazia radicale, una
svolta inattesa, pur essa legata ai rapporti di forza. Sorge cioè col tempo, all’interno
della città democratica, una polarità o meglio antinomia tra l’idea della
superiorità della legge (nucleo di partenza della democrazia stessa contro il
sopruso di casta) e l'idea, estrema,
che il popolo è esso stesso al di sopra della legge. E' quello che dicono i
capipopolo, minacciosamente, durante la prima fase del processo dei generali
vincitori alle Arginuse: "qui si vuole impedire al popolo di fare ciò che
vuole!" E' il problema che dibattono Alcibiade e Pericle nel dialogo
riportato da Senofonte"[1].
Nei Memorabili di Senofonte, Pericle tutore
di Alcibiade, rispondendo alle domande urgenti del ragazzo non ancora ventenne,
ammette che tutto quanto uno costringe a fare senza prima avere persuaso (mh; peivsa~ ajnagkavzei) o con parole scritte, o in altro
modo, è piuttosto violenza che legge: "biva ma'llon h] novmo~ ei\nai"
(1, 2, 45). Allora, lo incalza Alcibiade, tutti gli ordini che la massa, la
quale ha potere sui ricchi, prescrive senza persuaderli, sarebbe violenza
piuttosto che legge? Pericle elude la risposta dicendo all'adolescente che sta
facendo sofismi tipicamente giovanili: da ragazzo li faceva anche lui (1, 2, 46).
Torniamo a
Canfora: "La polarità è dunque nell'idea che il popolo è "al di sopra
della legge" (processo delle Arginuse, dialogo di Pericle e Alcibiade) versus l'opposta idea (Demarato a Serse
in Erodoto, 7, 104)"[2].
Demarato, uno Spartano esiliato e rifugiatosi dal re di Persia dice a Serse che
i suoi concittadini, pur essendo liberi, non sono del tutto liberi: "e[pesti ga; r sfi despovth~ novmo~” (7, 104, 4), sopra di loro sta
sovrana la legge. Si tratta però di Spartani, l'altro polo della Grecia.
Di nuovo
Canfora: "In questa prospettiva, il dialogo Pericle - Alcibiade in
Senofonte riveste una notevole importanza: Senofonte raffigura un Pericle assai
lontano da Tucidide, 2, 65? Ovvero Pericle è ciò che si legge in 2, 65 perché
sa bene ciò che spiega ad Alcibiade? "[3].
Tucidide fa l'elogio finale di Pericle dicendo che era incorruttibile al denaro
e teneva in pugno la massa lasciandola libera ("katei'ce to; plh'qo" ejleuqevrw"")
e non si faceva condurre più di quanto la conducesse (II, 65, 8).
Allora “l’istanza fatta valere dalla demoktratia ateniese (“ il popolo sia al di sopra di tutto col suo
deliberare (boulesthai) viene in
parte vanificata (o contenuta) attraverso il meccanismo della circolarità
masse - capi. E’ Teramene il grande regista del processo delle Arginuse! Il
demo crede di imporre il proprio volere ma è lui che lo pilota, anche
attraverso i “retori minori”…Quella circolarità riemerge, sulla scala dei
millenni, ogni volta che un moto di popolo, un ridestarsi del “popolo”, prende
corpo e dà forma a uno Stato”[4].
Il buleuta Callisseno presentò l'accusa
formulando una proposta di condanna a morte. La difesa degli strateghi
fatta da Eurittolemo mise in rilievo l’illegalità della proposta di condannare
a morte gli strateghi senza distinguere le responsabilità individuali e
denuncia Teramene come colui che avrebbe dovuto raccogliere i naufraghi e che
poi invece nell’assemblea precedente il processo aveva accusato gli strateghi (o{~ ejn th'/ protevra/ ejkklhsia/ kathvgorei tw'n
strathgw'n, Senofonte, Elleniche,
1, 7, 31)
CONTINUA
Tocco Giovanna
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