NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 27 aprile 2018

La figura di Sonia nel romanzo "Delitto e castigo". Parte 2


Rodiòn Raskòlnikov viveva a San Pietroburgo in uno stambugio che sembrava più un armadio che una stanza.
Era sempre in arretrato con l’affitto e temeva di incontrare la padrona che viveva al piano di sotto. Il ragazzo attraversava uno stato di irritabilità e di tensione simile all’ipocondria[1]. Si era isolato dal resto del mondo. Era afflitto dalla miseria e non poteva pagare. Non temeva la padrona di casa ma non voleva darle spiegazioni. Era in una certa confidenza con lei poiché era stato fidanzato con la figlia, poi morta, di lei.
 D dà piena cittadinanza all’ejnantivon, il contrario, mentre Hegel accettava solo l’ e[teron l’alterità superabile nella sintesi.
Cfr. Moosbrugger in Musil e   la diversità in Erodoto.
D riconosce non solo le diversità tra gli uomini ma anche le anomalie, le deviazioni, le mostruosità dei singoli individui. E’ doveroso ma non difficile difendere i diversi come i negri o le donne. D difende il ragazzo che massacra le vecchie e spiana la strada ai mostri del decadentismo, a Moosbrugger che quando sentiva dire di una ragazza bocca di rosa, vedeva il volto della ragazza come una rosa da recidere con il coltello.
“Aveva detto a una ragazza bocca di rosa ma a un certo punto la parola cedeva nelle cuciture, il viso si trasfigurava e diventava una rosa; allora diventava irresistibile la tentazione di prendere un coltello e reciderla o di darle un colpo perché tornasse al suo posto” (L’uomo senza qualità, p. 232)

Il peggiore dei mali è l’individualismo che porta al caos e all’anarchia, il principium individuationis è la negazione dell’idea divina che si manifesta nel popolo. Raskòlnikov vuole provare a se stesso che può diventare un Napoleone, e la sua azione criminale è prima di tutto un esperimento mentale. La solitudine e la povertà l’hanno portato alla mania. Comunque l’arzigogolare che occupa mezzo libro non è volgare né stupido. Vuole ammazzare una vecchia usuraia e con i soldi di lei aiutare se stesso e i poveri. Una morte in cambio di cento vite: questa non è morale ma matematica. R è una vittima non solo dell’ingiustizia sociale ma anche delle suggestioni che provengono dalla cultura occidentale.
Il muro di Berlino, diceva Adriana Zarri, andrebbe rialzato.
L’invasione dell’Occidente è la tragedia vera. Dall’Occidente trabocca infelicità. I Demoni hanno avuto un cattivo maestro francofilo: Stepan Trofimovič Verchovenskij  Tutore di Nikolaj quando questi era un bambino, Nikolaj (Nikolas) Vsevolodovič Stavrogin.
La posizione di Raskolnikov è il rovescio di quella del coro delle menadi di Euripide le quali affermano di volere
 tenere la mente e l’anima lontane
dagli uomini straordinari;
ciò che la massa 
più semplice crede e pratica,
questo io vorrei accettare (Baccanti, vv. 428-432).

Ci arriverà anche questo ragazzo dopo avere sofferto e compreso.
Napoleone, il cattivo modello di Rask, è uno squallido individuo anche in Guerra e pace (1869) di Tolstoj
 Seneca scrive su questi presunti grandi: Non sono invidiabili i ricchi, i potenti né i grandi duci che vincono i nemici. Hi quoque ut vincerent hostem, cupiditate victi sunt (…) tunc cum agere alios visi sunt, agebantur .Agebat infelicem Alexandrum furor aliena vastandi et ad ignota mittebat. (Ep. 94, 61)..   
Gli mancano le caratteristiche che rendono umano un uomo: il dubbio filosofico, la sensibilità artistica, la comprensione, la compassione.
Altra deformazione psichica è quella dell’Adolescente  (1875) Dolgoruki che vuole diventare un Rotschild per giungere alla potenza che gli darà l’isolamento.  Cfe. L’Adriano della Yourcenar
Il ragazzo cerca l’isolamento e la potenza nel denaro. I personaggi principali di D si inchinano davanti a un’idea, non di fronte al vitello d’oro.
La malattia di questi personaggi secondo Lukàcs deriva dagli squilibri della società, come la grande miseria nella città moderna.
  La povertà fa scattare un desiderio morboso di rivalsa e successo.

Nota è l’interpretazione di Bachtin Il romanzo polifonico di Dostoevskij (1968) dice che  esso opera una sorta di carnevalizzazione della vita , ossia un ribaltamento dei legami sociali convenzionali e tende a mettere a nudo i rapporti veri tra gli uomini. L’uomo supera la reificazione e diviene portatore di idea. Rask uccide la vecchia e non usa il denaro, non apre nemmeno il borsellino. Ivàn Karamazov è uno di quelli cui non occorrono milioni per trovare una soluzione al proprio pensiero. Cfr. la leggenda del grande Inquisitore
 Formule e categorie sono annientate perché annichiliscono la vita vivente. I precedenti di questa letteratura carnevalizzata sarebbero il dialogo socratico e la satira menippea.  Socrate indagava, cercava la verità attraverso domande provocatorie (ajnavkrisi", investigazione polemica) e la suvgkrivsi", il confronto tra punti di vista diversi.
Nella satira menippea denominata dal filosofo cinico Menippo di Gadara (III a. C.) l’ironia socratica diventa comicità.
Secondo Pirandello Socrate è pure umorista  
“In Aristofane non abbiamo veramente il contrasto, ma soltanto l’opposizione. Egli non è mai tenuto tra il sì e il no[2]  egli non vede che le ragioni sue, ed è per il no testardamente, contro ogni novità, cioè contro la retorica, che crea demagoghi, contro la musica nuova, che, cangiando i modi antichi e consacrati, rimuove le basi dell’educazione, e dello Stato, contro la tragedia di Euripide che snerva i caratteri e corrompe i costumi, contro la filosofia di Socrate, che non può produrre che spiriti indocili e atei, ecc.
(…) la burla è satira iperbolica, spietata. Aristofane ha uno scopo morale, e il suo non è mai dunque il mondo della fantasia pura (…) Nessuno studio della verisimiglianza: egli bon se ne cura perché si riferisce di continuo a cose e persone vere (…) e non crea una realtà fantastica come, ad esempio, lo Swift.  Umorista non è Aristofane ma Socrate (…) Socrate ha il sentimento del contrario ; Aristofane ha un sentimento solo, unilaterale” (p. 44).

Il Satyricon è l’epressione più alta di questo genere. Si creano situazioni eccezionali, anormali, onde provocare idee e sperimentarle.
Labirinti, bordelli, cene mostruose, gli heredipětae di Crotone.
Nel mondo guasto raffigurato dal Satyricon  c'è un ribaltamento che riguarda una città intera:  Crotone dove si svolge l'ultima parte del romanzo (116-141) una urbs antiquissima et aliquando Italiae prima, antichissima e che una volta era stata la prima d'Italia; quando però ci arrivano Encolpio, Eumolpo e Gitone la sua gente si divide in  due categorie: ricchi senza eredi e cacciatori di eredità
In Petronio e Dostoevskij Non mancano  elementi  di naturalismo sordido come lupanari, bettole con ubriaconi, prigione, case degradate.
Come nel carnevale c’è l’abolizione dei divieti, l’eliminazione dell’ordinamento gerarchico e di ogni etichetta.
Questa letteratura carnevalizzata svela elementi nascosti della società, ne mostra il lato latente (cfr. ajlhvqeia). Freud a sua volta toglie le mutande al borghese

Il culmine è il tuvranno" che diventa farmakov" nella tragedia greca, o la prostituta Sonia che diventa santa, l’assassino che diviene filantropo.


CONTINUA


[1] to; uJpocovndrion, è una parte dell’addome dove si pensava che avesse sede la malinconia
[2] Caratteristica dell’umorismo cfr. parte II cap. quarto.

mercoledì 25 aprile 2018

Twitter, CCCXXIII sunto. La situazione politica e morale dell’Italia


La situazione politica e morale dell’Italia alla vigilia del 25 aprile 2018.

Io sono di sinistra e non approverò mai un governo guidato da un partito che dichiara di non essere né di sinistra nè di destra. Finirà come quello dell'uomo qualunque, tal Giannini, scomparso presto.

Si chiedono se l'uccisione di 9 persone e il ferimento grave di altre sia un atto terroristico. Cercano sempre di minimizzare i crimini compiuti dagli automobilisti assassini.
Ogni uccisione di un pedone o di un ciclista da parte di un automobilista è un atto terroristico da punire con durezza esemplare.

Spesso, nelle televisioni, i dibattiti sono gestiti e interpretati da giornalai e strilloni invece che da giornalisti. Viceversa, quando non imperversano i beceri, sorridono ambiguamente i prosseneti. Questi fanno schifo, quelli disturbano. in ogni caso si chiude il programma.

Sarri ha fatto un gestaccio a dei cori razzisti. E' stato disapprovato troppo duramente e a lungo dai media i quali con questo biasimo hanno approvato i razzisti antimeridionali. E' una brutta china.

Nel mese di marzo ho temuto, come l'Ulisse di Tennyson, di arrugginire non abbronzato, di non brillare nell'uso. Ma aprile, il meno crudele dei mesi (cfr. e contrario T. S. Eliot), mi ha rimesso in pista. Ora in ogni muscolo, corporale e mentale, mi freme già una vita inimitabile (cfr d'Annunzio La morte del cervo)

“Due persone morte sulle strisce padonali" c'è scritto sulla locandina del Carlino di Bologna. Se non sono morti di malattia mentre camminavano, sono stati ammazzati da automobilisti. Fear death by car!

Abbiamo perso la guerra 73 anni fa. Abbiamo ancora una sovranità limitata da ogni punto di vista. Questo a Di Maio piace molto. A me per niente.
Un poco di eziologia detta dai più dietrologia: dietro il successo momentaneo di personaggi men che mediocri come Di Pietro, Renzi e ora Di Maio ci sono i poteri forti con il governo degli USA. Anche la rovina di alcuni politici come Moro, Craxi e perfino Andrerotti si spiega così.
Quando il popolo, votando, ha rifiutato il fantoccio, gli USA hanno puntato su un altro. Ora Di Maio.

Infliggere dolore ai bambini è un peccato per cui non c'è remissione Chiunque taccia davanti a tale crimine ne è complice.
Se le sofferenze dei bambini sono funzionali al conseguimento di uno scopo sublime, rinuncio a questo scopo. Nessun fine è superiore alla felicità dei bambini

Se tu guardi a lungo la pubblicità, questa entra in te, e anche tu diventi un araldo, un piazzista, un propagandista delle porcherie.

Tanto tempo fa, da ingenuo fanciullo qual ero, sancta cum simplicitate, chiedevo la fedeltà nell'amore. Poi mi sarei accontentato della fides da parte degli amici. Ora sono pago e contento della mia fedeltà a me stesso e alle parole dette ai pochi che ancora frequento.

In Siria i "grandi della terra" tam facile homines occidunt quam canis exta exedit", ammazzano gli uomini con la facilità con cui un cane mangia la trippa. Direi che tali criminali omicidi sono cani ma non voglio offendere i cani.

Il portiere ha dato in escandescenze contro l'arbitro che ha assegnato un rigore meritato. Buffon: nomen-omen. Vedremo Fico.

gianni

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martedì 24 aprile 2018

Il pathos come elemento educativo. Parte ultima

Zeus


Proseguo con un un personaggio, Boppi, di un romanzo giovanile di H. Hesse: "mi capitò di diventare l’allievo meravigliato e riconoscente di un misero storpio. Se un giorno arriverò davvero a compiere il poema iniziato da gran tempo e a pubblicarlo, vi si troverà ben poco di buono che io non abbia imparato da Boppi. Incominciò per me un periodo buono e piacevole nel quale troverò da nutrirmi per tutta la vita. Mi fu concesso di vedere addentro una magnifica anima umana sulla quale malattia, solitudine, povertà e maltrattamenti erano passati soltanto come nuvole leggere e vaganti. Tutti i piccoli vizi coi quali ci amareggiamo e guastiamo la vita bella e breve, l’ira, l’impazienza, la menzogna, tutte queste odiose e luride piaghe che ci deformano erano state cauterizzate in quell’uomo da lunghi e profondi dolori. Non era un saggio, né un angelo, ma un uomo pieno di comprensione e di affetto che, a furia di tremende sofferenze e di gravi privazioni aveva imparato a sentirsi debole senza vergognarsi, e ad affidarsi nelle mani di Dio"[1].

Compassione quale condivisione del pathos, come capacità di mettersi nei panni degli altri.
Piero Boitani, professore di Letterature comparate nell’Università di Roma La Sapienza, scrive: “La vita è fatta della nostra relazione con gli altri, non solo di contemplazione della natura o di noi stessi. Penso che per sopravvivere con gli altri sia necessario compatire: non soltanto nel senso di avere pietà nei loro confronti, di guardare alle loro e alle nostre sventure con umana pietas, ma di “soffrire con”, “com-patire”. Se soffriamo con gli altri, se prendiamo su di noi i loro dolori, riconosciamo l’essere umano che è in loro, e in noi, in maniera assai più profonda di quanto non ci consenta il semplice conoscere…Leggere la compassione nell’Elettra di Sofocle, ma poi cercarne le variazioni in Omero, in Proust, in Guerra e Pace. Temi e tradizioni. La letteratura è un albero gigantesco, ma le radici sono sempre le medesime, e la ri-scrittura è il principio che ne governa la crescita”[2].
E più avanti, specificamente sul tw/' pavqei maqo~: “La sofferenza, allora, è un prerequisito del riconoscimento. Se la Genesi ebraica postula che il prezzo del sapere sia la morte[3], i Greci sapevano perfettamente che la conoscenza si può acquisire soltanto attraverso il dolore. Era saggezza comune fin dai tempi di Omero ed Esiodo[4], ma è stato Eschilo, all’inizio della tragedia, ad esprimerla in maniera memorabile nell’Agamennone, quando il coro intona il famos “Inno a Zeus”[5]

Zeus, chiunque egli sia, se è questo il nome
Con cui gli è caro essere invocato,
così a lui mi rivolgo: nulla trovo cui compararlo,
pur tutto attentamente vagliando,
tranne Zeus, se veramente si deve gettar via
il vano peso dal proprio pensiero.
(….)

Ma chi a Zeus con gioia leva il grido epinicio
Coglierà pienamente la saggezza-

A Zeus che ha avviato i mortali
A essere saggi, che ha posto come valida legge
“saggezza attraverso la sofferenza”.
Invece del sonno (oppure: “anche nel sonno”) stilla davanti al cuore
un’angoscia memore di dolori:
anche a chi non vuole arriva saggezza.

Pathei mathos: questa è l’indicazione di Zeus per il phronein umano, la “prudenza” che è saggezza”[6].
Aggiungo i due versi dell’Agamennone opportunamente indicati da Boitani in nota: “Divka de; toi'~ me;n paqou'-
sin maqei'n ejpirrevpei” (Agamennone, vv. 250-251), Giustizia fa pendere comprensione verso quelli che hanno sofferto.

Concludo questo argomento affermando che Euripide ha anticipato di molti secoli la scoperta che i ragionamenti spesso sono sentimenti con la maschera.
Svevo è del tutto esplicito nell'affermare la precedenza e la prevalenza del sentimento: "Nelle lunghe ore che egli passò là, inerte, ragionò anche una volta sui motivi che l'avevano indotto a lasciare Annetta, ma come sempre il suo ragionamento non era altro che il suo sentimento travestito"[7].
La discrepanza tra pavqo" e lovgo" , crea dolore in Alfonso Nitti:" Ad onta di tutti i ragionamenti rimase triste. Una volta di più, così raccontava a se stesso, quel fatto gli provava l'imbecillità della vita e non pensava in questo fatto al torto di Annetta o di Macario ma al proprio, di sentire in modo strano e irragionevole" (p. 284).

Secondo H. Hesse i sentimenti devono avere la precedenza:"Di nient'altro viviamo se non dei nostri sentimenti, poveri o belli o splendidi che siano, e ognuno di essi a cui facciamo torto è una stella che noi spengiamo"[8].
 Nel romanzo di Musil leggiamo:"Tutto ciò che si pensa è simpatia o antipatia, si disse Ulrich"[9].
Luogo simile si trova anche in La noia di Moravia:"Ma tutte le nostre riflessioni, anche le più razionali, sono originate da un dato oscuro del sentimento"[10].
Infine un ottimo scrittore ungherese :“ Sa che cosa ha fatto? Ha cercato di cancellare il sentimento con la ragione. Come se qualcuno, con i più svariati artifici, tentasse di convincere un pezzo di dinamite a non esplodere”[11].
Un’ idea del genere si trova nel discorso finale del film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel-Hitler, scambiato per il grande dittatore deve parlare alla folla con parole che legittimino e anzi esaltino la prepotenza del tiranno, presentato come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch-Goebbels. Ebbene il piccolo grande uomo non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice di non volere comandare su nessuno, ma aiutare tutti. Poi continua così: “Our knowledge has made us cynical, our cleverness hard and unkind. We think to much and feel to little. More than machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and gentleness”, la nostra conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza.

La sofferenza immerita
Cfr Edipo a Colono di Sofocle quando il vecchio cieco dice ai Coreuti
“poiché le azioni io
le ho subite piuttosto che compiute, sappilo,
-ejpei; tav g j e[rga me-peponqovt j i[sqi ma'llon h] dedrakovta-
se ci fosse bisogno che io ti raccontassi i casi della madre e del padre,/
per cui tu hai paura di me: questo io lo so bene: ma come potrei essere di natura malvagia, /
io che dopo avere subito agivo a mia volta, in modo che se pure avessi agito/
con intenzione, neppure così sarei stato malvagio?” (v266-272).
Nell’ Eracle di Euripide: Anfitrione dice a Teseo
Abbiamo subito pene terribili dagli dèi ( ejpavqomen pavqea mevlea pro;" qew'n 1180 ).

giovanni ghiselli


[1]H. Hesse, Peter Camezind (del 1904), p. 117.
[2] P. Boitani, Prima lezione sulla letteratura, pp. X ss.
[3] Genesi 2. 17 riporta l’ordine di Dio ad Adamo: “ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”… Nella tradizione occidentale c’è anche un legame costante tra l’anagnorisis e la cecità (o la morte: Edipo e Lear) e tra l’anagnorisis e il ragionamento, di cui ho scritto Il genio di migliorare un’invenzione, cit.
[4] Per l’importanza del pathei mathos nella tragedia, si veda Kuhn Die wahre Tragödie, cit., pp. 254-255. I loci più importanti della tradizione soo Omero, Iliade, XVII, 32; Esiodo, Opere e giorni, 218; Erodoto, I, 207, 1; Sofocle, Edipo re, 402; Sofocle, Antigone, 1190; Platone, Simposio, 222b. Per un elenco generale e una discussione si veda H. Dorrie, Leid und Erfahrung, in “Abhandlunen der Akademie der Wissenschaft und der Literatur”, Mainz, 5, 1956. 
[5] Eschilo, Agamennone, 160-180 (e si vedano anche i vv. 250-252). L’edizione usata è quella curata da V. Di Benedetto, Mondadori, Milano 1995. Si veda anche E. Severino, Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Adelphi, Milano, 1989.
[6] Piero Boitani, Prima lezione sulla letteratura, pp. 109-110.
[7]Svevo, Una Vita , p. 239.
[8] L'ultima estate di Klingsor, p.55.
[9]Musil, L'uomo senza qualità , p. 210.
[10]Moravia, La Noia , p. 19.
[11]Sàndor Màrai, La donna giusta (del 1941), p. 78.

lunedì 23 aprile 2018

Seneca, "Lettere a Lucilio". II parte da 73 a 114. 3


84 L’utilità della lettura
Le letture vanno utilizzate, mescolate in modo da trarne una sostanza di un solo sapore. Come gli alimenti del corpo in vires et in sanguinem transeunt (6) Dobbiamo digerirle: concoquamus illa; aliōqui in memoriam ibunt, non in ingenium. (7) Assimiliamo molti elementi in modo che formino una unità.
La ragione dice: “relinque divitias, aut periculum possidentium aut onus; relinque voluptates: molliunt et enervant; relinque ambitum: tumida res est, vana, ventosa (11). Se salirai per l’erta strada della ragione omia quidem sub te quae pro excelsissimis habentur aspicies (13)

85 la virtù e la felicità
Virtus ad explendam beatam vitam sola satis efficax (1)
In bono viro non c’è solo una deminutio malorum sed vacatio (5)
Le passioni sono irragionevoli e feroci, sono come tigres leonesque numquam feritatem exuunt, aliquando summittunt, et cum minime expectaveris exasperatur torvitas mitigata (8), la crudeltà mitigata si inasprisce. Cfr. Il cavallo nero di Platone (Fedro)
Se la ragione è efficace, non cè una via di mezzo falsa est itaque ista mediocritas et inutilis (9).
 Ammettere passioni moderate sarebbe come dire modice insaniendum o modice aegrotandum .
Si unum bonum est quod honestum, omnes concedunt ad beate vivendum sufficere virtutem (17)
Il sapiens semper in actu est, soprattutto cum illi fortuna se opposuit; tunc enim sapientiae ipsius negotium agit (37).
premi tu illum putas malis? utitur (39), non è schiacciato dai mali ma se ne serve. Non ex ebore tantum Phidias sciebat facere simulacra; faciebat ex aere (40) Così il saggio pratica sempre la virtù e la sua arte sta nel vincere i mali sapiens artifex est domandi mala: dolor, egestas, ignominia, carcer, exilium, ubīque horrenda, cum ad hunc pervenēre, mansueta sunt. Vale (41)
cfr. il vir fortis cum mala fortuna compositus
ecce par deo dignum, una coppia degna di Dio, vir fortis cum fortuna mala compositus, utique si ei et provocavit, De providentia, 2, 9, uomo forte opposto alla cattiva fortuna soprattutto se l’ha sfidata
86 Gli antichi e i nuovi costumi.
 Cita Virgilio con l’albero che
tarda venit seris factura nepotibus umbram (Georgica II, 58) viene su lento per dare ombra ai lontani nipoti. Vergilius qui non verissime sed quid decentissime diceretur aspexit (15) badò a scrivere versi belli più che veri
Scipione non cotidie lavabatur (12). Gli antichi si lavavano ogni giorno brachia et crura, e tutto il corpo solo ogni otto giorni nundinis (nundinae era il giorno di mercato che cadeva ogni nove giorni, contando quello di partenza e quello di arrivo, quindi l’intervallo era di sette giorni)
Qualcuno può dire che erano sporchi, ma quid putas illos oluisse? Militiam, laborem virum
 Postquam munda balnea inventa sunt, spurciores sunt.
Orazio scrive pastillos Buccillus olet (Satire I, 2, 27 e 4, 92), Buccillo manda odore di pastiglie profumate

87 sillogismi degli Stoici
I bagagli sono stati chiamati impedimenta indovinando che sarebbero diventati eccessivi e degli impacci per i piedi.
Bastano poche argomentazioni sulla virtù per chiarirne la sostanza Quod bonum est bonos facit; fortuīta bonum non faciunt; ergo non sunt bona (12
Quod contemptissimo cuique contingere ac turpissimo potest bonum non est; opes autem et lenoni et lanistae contingunt; ergo non sunt bons (15)
Pecunia quae sic in quosdam homines quomodo denarius in cloacam cadit (16)
Quare ergo sapiens magnus est? Quia magnum animum habet (18)
Non in omnes bonum cadit: “hic segetes, illic veniunt felicius uvae” (Georgica I, 54) Il Tmolo manda croceos odores 56), profumi di zafferano, “India mittit ebur, molles sua tura Sabaei,/ Chalibes nudi ferrum (Georgica II, 57-58.)
Bonum ex malo non fit:divitiae autem fiunt, fiunt enim ex avaritia: divitiae ergo non sunt bonum (22), il bene non deriva dal male, le ricchezze invece ne derivano
Maximum scelerum supplicium in ipsis est (24) la pena più grande dei delitti sta nei delitti stessi.
 id est in ipsis sceleribus
Scelera statim puniuntur cum facta sunt, immo dum fiunt (25)
Posidonio afferma che la ricchezza è causa di mali non perché lo fanno ma perché stimolano chi è propenso a commetterne. Divitiae inflant animos, superbiam pariunt, invidiam contrahunt (31)
Quae bona sunt fiduciam faciunt, divitiae audaciam; quae bona sunt magnitudinem animi dant, divitiae insolentiam: nihil autem insolentia quam species magnitudinis falsa (32)
Posidonio ragiona così: quae neque magnitudinem animo dant nec fiduciam nec securitatem non sunt bona; divitiae autem et bona valetudo et similia his nihil horum faciunt; ergo non sunt bona” (35)
Poi: le cose che generano insolentiam, tumorem, arrogantiam mala sunt.
Si possumus, fortius loquamur: si minus apertius, con più energia se no, con più chiarezza (41)

88 le arti liberali e la virtù
Ceterum unum studium liberale est quod liberum facit, hoc est sapientiae, sublime, forte, magnanimum: cetera pusilla et puerilia sunt (2)
Omero viene usato da tutti: modo Stoicum illum faciunt, virtutem solam probantem et voluptates refugientem et ab honesto ne immortalitatis quidem pretio recedentem, (cfr Achille non cederò Iliade XIX), ora ne fanno uno stoico
modo Epicureum laudantem statum quietae civitatis et inter convivia cantusque vitam exigentis, (lo scudo di Achille XVIII dell’Iliade)
modo Peripateticum, tria honorum genera inducentem, che ammette tre generi di beni
modo Academicum, omnia incerta dicentem (5) (lo scetticismo di Carneade). In lui ci sono tutte queste dottrine e quindi nessuna.
Hoc quidem me quaerere, uter maior aetate fuerit Homerus an Hesiodus non magis ad rem pertinet quam scire cum minor Hecuba fuerit quam Helena, quare tam male tulerit aetatem. E pensi che sia importante conoscere l’età di Patroclo o di Achille?
Quaeris Ulixes ubi erraverit potius quam efficias ne nos semper erremus? (7).
O dove abbia errato Ulisse piuttosto che fare in modo di non essere noi a errare?
Non abbiamo tempo di ricercare dove lo sbatterono le tempeste quando siamo travagliati da mille tempeste dell’anima e dissolutezze.
Prima di indagare an Penelopa impudica fuerit, doce me quid sit pudicitia (8) Prima di insegnarmi gli accordi musicali, insegnami l’accordo del mio animo con se stesso “fac potius quomodo animus secum consŏnet, nec consilia mea discrěpent” e i miei pensieri non siano contrastanti.
 Ti turbi per paura di perdere i tuoi possessi ma quod tuum dicis, publicum est et quidem generis humani (12)
Tu egregia ars che calcoli le distanze degli astri metire hominis animum, dic quam magnus sit, dic quam pusillus sit (13)
E’ inutile conoscere la posizione degli astri. Bisogna solo sapere che un continuus ordo fatorum et inevitabilis cursus agit illa. Se preannunziano gli eventi quid immutabilis rei notitia proficiet? (15)
Si vero solem ad rapidum stellasque sequentes
Ordine respicies, numquam te crastina fallet
Hora, nec insidiis noctis capiēre serenae (Georgica I, 424-426)



CONTINUA

sabato 21 aprile 2018

Lucrezio, "De rerum natura". V libro. parte 4


Sole e luna, secondo Lucrezio, non sono di dimensione maggiore di come ci appaiono.
Infatti i corpi che appaiono più piccoli del reale, si vedono anche confusi.
Non tali sono la luna e il sole. Il fuoco del sole non è grande ma molto intenso (604-5). Oppure il sole ha intorno a sé un grande anello di fuoco di occulto fervore, cioè non visibile (612)
Il succedersi del giorno e della notte dipende da un’accensione ed estinzione quotidiana del sole stesso, oppure perché il sole passa al di sotto della terra (650-655).
Così Matuta  – la dea dell’alba - fa tornare la luce quando il sole torna dalla parte inferiore della terra oppure perché i suoi fuochi si raccolgono e confluiscono. C’è una periodicità nell’accendersi e spengersi della luce del sole come nelle stagioni dell’anno e della vita degli uomini.
D’inverno le notti sono più lunghe e d’estate più corte perché il sole sotto e sopra la terra divide la sua orbita in parti disuguali partit et in partis non aequas dividit orbem (684). Oppure perché l’aria è più densa in certe sue parti aut quia crassior est certis in partibus aer (696) e perciò tremulum iubar ignis, la tremula criniera del fuoco haesitat sub terris.
La luna può avere luce riflessa o luce propria.
 Le stagioni dell’anno si succedono ordine certo in ordine fisso come altre cose (736) : tutti gli anni arrivano ver et Venus preannunziata da Zefiro seguito da Flora che sparge fiori colorati e ne profuma le vie, poi l’estate accompagnata da Ceres pulverulenta, quindi l’Autunno con Bacco Evio, infine Tandem bruma nives adfert pigrumque rigorem-reddit; hiemps sequitur crepitans hanc dentibus algu (746-747), l’inverno la segue (la bruma) battendondo i denti per il freddo.-
Algus-us maschile ha solo algum e algu-
Dunque nemmeno Lucrezio può escludere un ordine fisso, almeno nelle stagioni.

Orazio Carmi, IV, 7
I freddi si addolciscono agli Zefiri, la primavera la trebbia l'estate
pronta a morire, appena
l'autunno ferace avrà versato i suoi frutti, e subito dopo et mox
torna di corsa la bruma che paralizza. Bruma recurrit iners

I danni del cielo però li riparano veloci le lune:
noi quando siamo caduti
dove il padre Enea, dove il ricco Tullo e Anco
polvere e ombra siamo. Pulvis et umbra sumus

Perciò può darsi che anche la luna si formi e si dissolva.
Vengono poi spiegate le eclissi di sole con le intercettazione della luce del sole da parte della luna; in quelle della luna è la terra che le toglie la luce del sole. Oppure si interpongono altri corpi, o c’è uno spengimento delle fiamme di luce. Solis defectus lunaeque (751) dunque possono avere diverse cause. I superstiziosi li consideravano segni sinistri.
(Ma vedi Pericle, Alessandro Magno e Cesare).
Poi Lucrezio vuole tornare ad mundi novitatem (780), ai primi tempi della terra. E’ una specie di età dell’oro.
Prima la terra produsse le erbe e florida fulserunt viridanti prata colore (785), poi gli alberi vari ai quali datumst magnum certamen crescendi per auras immissis habenis, fu dato una grande gara nel crescere nell’aria a briglia sciolta.
Poi la terra mortalia saecla creavit produsse molte generazioni mortali multa modis multis varia ratione coorta (792), nate in vari modi e con metodo vario
Giustamente dunque la terra ha ricevuto il nome di madre.
La vita nel giovane mondo era più facile. Le creature nascevano dalla terra che le nutriva. La terra offriva ai neonati cibum, il vapor ,calore dell’aria, offriva vestem, herba-cubile praebebat multa et molli lanugine abundans (816-817) l’erba offriva un giaciglio ricco di molta e soffice lanugine
Non c’erano grandi caldi né grandi freddi.
Poi la terra madre smise di generare come prima: destitit, ut mulier spatio defessa vetusto (827), come una donna esausta nel tempo della vecchiaia. Infatti nell’universo omnia migrant,-omnia commutat natura et vertere cogit (831). Aliud putrescit…porro aliud succrescit (832-833), in seguito altro cresce. E’ il tempo che muta la natura del mondo e la terra non produce più quello che poteva e invece produce quello che non poteva.
Una volta la terra tentò di creare etiam portenta (837), dei mostri l’androgino, androgynem[1], utrimque remotum (839), creature prive di piedi e di mani, muta sine ore etiam, sine vultu caeca reperta (841), o legati per tutto il corpo a causa dell’adesione. Cetera de genere hoc mostra ac portenta creabat (845), nequiquam poiché la natura non li fece crescere né riprodurre.
Gli animali per conservare la specie devono avere aut dolus aut virtus aut denique mobilitas (858), perlomeno la velocità. I leoni e le altre stirpi feroci (saeva saecla) li protegge la virtus, vulpis dolus, fuga cervos (863).
I cani dal sonno leggero, le bestie da soma le lanigerae pecŭdes e quelle cornigere , omnia sunt hominum tutelae tradita, Memmi (867), sono affidate alla protezione degli uomini.
Ma le bestie deboli e inutili all’uomo cadevano preda delle altre indupedita suis fatalibus omnia vinclis –donec ad interitum genus id natura redegit , finché la natura portò a estizione quelle specie impedite da vincoli fatali, come certi uomini incapaci di tutto (876-877).
Ma i Centauri non sono mai esistiti. Sono troppo eterogenei
Lo spiega in modo che possa capirlo anche un hebes cor, un animo ottuso (882). I tempi dello sviluppo dell’uomo e del cavallo sono diversi.
Le Scille sono mostri mezzi marini cinti da cani rabbiosi. Insomma le discordia membra non possono darsi. La Chimera poi era prima leo, postrema draco, media ipsa Chimaera (Civmaira, capra) e sputava fuoco.
Chi parla di questi mostri invece sputa fandonie. Infatti tutte le cose foedere naturae certo discrimina servant (924) conservano le differenze secondo una ferma legge di natura. Di nuovo una legge certa: foedus certum
Ma Lucrezio è in contraddizione con 837 dove parla dei portenta che la terra tentò di creare, anzi monstra ac portenta creabat (845).


CONTINUA



[1] Ovidio preferisce semivir e semimas.

venerdì 20 aprile 2018

Giovani innamorati nel Mondo antico. Parte 2



440- mevga": la grandezza di Ettore non è solo quella del "marito buono" e degno, già segnalata e contrapponibile alla meschinità dell'"eterno marito" alla Dostoevskij o alla Flaubert che incontreremo più avanti, ma è pure quella dell'eroe epico il cui imperativo è "primeggiare sempre".
 Il modello dell'uomo eroico che, avido di gloria e onore, pervade tutta la cultura greca, è la figura di Achille. Il figlio di Tetide, come gli altri protagonisti dell'Iliade, il poema epico che presenta il grado eroico dell'esistenza umana, passa la vita in un continuo cimentarsi e gareggiare. Il motto del combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"( VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i padri ai figli (nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo, al v.784, Peleo ad Achille).

Nietzsche fa di questo aspetto agonistico con volontà di primeggiare una caratteristica precipua dei Greci antichi: "Poiché il volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica, lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna"[1].

Alla nobiltà dell'azione del resto doveva unirsi quella della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni: "muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[2], a essere dicitore di parole ed esecutore di opere
Cfr. Seneca: Sapientia non est in litteris: res tradit, non verba (Ep. 88, 32)
Magna et spatiosa res est sapientia (33)

441- ejmoivmevlei: è il motto dell'uomo morale.
Don Milani in L'obbedienza non è più una virtù scrive: "Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande - I CARE. E' il contrario esatto del motto fascista - Me ne frego" (p. 34).

442- aijdevomai: questo verbo e l'intera espressione di Ettore quella che Dodds definisce Culture of shame, "Civiltà di vergogna". In essa "il bene supremo non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima... La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a"[3], dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli occhi aperti"[4].
443- kako;" w{" : anastrofe per w}" kakov". Il kakov", come viene spiegato immediatamente dopo è il vile che fugge davanti al nemico, l'ingeneroso che non rischia la vita per la salvezza della patria. In Teognide kakov" è l’uomo sleale e irriconoscente.

444- qumov": è in Omero "ciò che provoca le emozioni...In molti punti quando si parla della morte è detto che il qumov" abbandona l'uomo...Sappiamo che quest'organo determina anche i movimenti del corpo, ed è quindi naturale dire che esso, nel momento della morte, abbandona le ossa e le membra coi loro muscoli... La gioia ha generalmente sede nel qumov"... Inoltre è generalmente il qumov" che fa agire l'uomo...Se qumov" è in genere la sede della gioia, del piacere, dell'amore, della compassione, dell'ira e così via, dunque di tutti i moti dell'animo, tuttavia può trovar sede talvolta nel qumov" anche la conoscenza...Quando si dice che qualcuno sente qualcosa, kata; qumovn, qumov" è in questo caso un organo e noi possiamo tradurre la parola con "anima", ma dobbiamo tenere presente che si tratta dell'anima soggetta alle "emozioni".
Però anche qumov" verrà in seguito a determinare una funzione (e allora potremo tradurre la parola con "volontà" o "carattere") e anche la funzione singola: dunque anche quest'espressione ha un significato più esteso di quanto non abbiano le nostre parole "anima" e "spirito".
Nel modo più chiaro appare ciò nell'Odissea (IX, 302) dove Ulisse dice: e{tero" dev me qumo;" e[ruken:" un altro qumov" mi trattenne", e qui dunque qumov" si riferisce a un particolare moto dell'animo"[5].
Con qumov" sono composte le parole che designano due delle tre parti dell'anima nella Repubblica di Platone: qumoeidhv" è l'elemento irascibile che deve essere alleato con il logistikovn, la componente razionale, nel presiedere all' ejpiqumhtikovn, l' elemento appetitivo, la parte maggiore e la più insaziabile di ricchezze (441e), la più ignobile, il cavallo nero.

445prwvtoisi: : dativo lungo ionico. Esprime l'esigenza eroica del primeggiare di cui si diceva sopra
-446ajrnuvmeno" : participio di a[rnumai. Lo stesso verbo nella medesima forma si trova nel proemio dell'Odissea a proposito del protagonista il quale " soffrì molti dolori sul mare nell'animo suo,/cercando di salvardee la sua vita e il ritorno dei compagni-."( ajrnuvmeno" h{n te yuch;n kai; novston eJtaivrwn, v. 5).
Più concretamente "l'uomo" del secondo poema antepone la vita a tutto il resto. Qui, nell’Iliade, Ettore vuole cercare di conservare la grande gloria del padre (patro;" te mevga klevo") e la sua stessa.

Non per niente Nietzsche ha trovato nei versi omerici il ribaltamento della sapienza silenica:"Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie, per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a giornata[6]. Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua lode"[7].

447-kata; frevna: frhvn è il diaframma , la membrana che si avvolge attorno al cuore (Iliade , XVI, 481) e regge il fegato (Odissea , IX, 301), o, secondo Aristotele (PA. 672b 11) separa cuore e polmoni. Dovrebbe essere dunque la sede dello qumov" di cui si è detto sopra.
448/ ojlwvlh/: congiuntivo del perfetto intransitivo di o[llumi.
Polibio nel XXXVIII libro delle sue Storie ricorda che Scipione emiliano assistendo alla distruzione di Cartagine[8] scoppiò in lacrime e, pensando come la fortuna di ogni città cambi invariabilmente, citò questi due versi (448-449), quindi all'amico storiografo che lo interrogava rispose facendo il nome della sua patria per la quale temeva quando rifletteva sul rapido destino delle cose umane.
451a[nakto": genitivo di a[nax , è un basileuv" potenziato, sia nei poemi omerici sia nelle tavolette micenee della Lineare B.
Per fare un esempio del rapporto tra il greco miceneo e quello di Omero, nei poemi a[nax ( Iliade , I, 7) si alterna con basileuv" (Iliade , I, 9, in entrambi i casi è Agamennone), ma solo il primo termine può essere attribuito alla divinità; nella Lineare B invece il corrispondente del secondo termine, qasireu(s) , indica un capo di minore importanza:"capi ,in senso lato e modesto, e forse nella fattispecie semplici capi officina"[9].

Sul rapporto tra i significati di basileuv" e a[nax riferisco anche la posizione di E. Benveniste :" in Omero, un personaggio può essere contemporaneamente basileùs e wànaks : un titolo non contraddice l'altro, come si vede nell'Odissea (XX 194[10]). Inoltre, solo wànaks serve da qualificazione divina: l'invocazione a Zeus Dodoneo, uno dei testi più solenni dell'Iliade , comincia così:"Zeu' a[na..." (XVI 233).
Un dio non è mai chiamato basileùs . Basileùs è invece largamente diffuso nella società degli uomini; non solo Agamennone, ma una folla di personaggi minori ricevono questo titolo. Vi sono anche dei gradi, una specie di gerarchia, tra i basileis , a giudicare dal comparativo basileùteros , e dal superlativo basileùtatos , mentre wànaks non comporta in Omero nessuna variazione paragonabile a questa. Tranne il mic. wanaktero- , il cui senso resta incerto, il titolo di wànaks denota una qualità assoluta...Il fatto è che solo wànaks designa la realtà del potere regale; basileùs è ormai solo un titolo tradizionale che detiene il capo del génos , ma che non corrisponde a una sovranità territoriale e che molte persone possono possedere nello stesso luogo (Od. I 394). Una sola città, quella dei Feaci, non contava meno di tredici basilh'e" (VIII 390). Personaggio rispettato, il basileùs godeva di certe prerogative all'interno dell'assemblea, ma l'esercizio del potere spetta al wànaks che lo esercita solo, ed è quanto indica anche il verbo wanàsso -. Ne danno prova anche espressioni che si sono conservate come nomi propri: Iphi-anassa 'che regna con potenza', nome della figlia di Agamennone. Il femminile (w)anassa è l'epiteto di dee come Demetra, Atena. Così quando Ulisse vede per la prima volta Nausicaa, la chiama a[nassa[11], credendola una dea"[12]. L'autore parte dalla considerazione che "La situazione rispettiva del basileùs e del wànaks nell'epopea omerica corrisponde bene a quella che caratterizza questi due personaggi nella società micenea".


CONTINUA



[1]Umano troppo umano, (vol.2, p.211)
[2]Iliade, IX, 443.
[3] Anche in Iliade, XXII, 105.
[4] E. Dodds, I greci e l'irrazionale, p. 30.
[5]B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 30 e sgg.
[6] Cfr. Odissea , XI, vv. 488-491.
[7] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cap. III.
[8] Avvenuta nel 146 a. C.
[9]D. Musti, Storia greca , p. 85.
[10] e[oike devma" basilh'ïï a[nakti , sembra all'aspetto un sovrano, esclama il bovaro Filezio vedendo Ulisse pur senza riconoscerlo.
[11]Odissea VI, 149
Leggeremo questo canto per intero.
[12]E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , pp. 303 e 304.