sabato 22 giugno 2019

Debrecen. Capitolo 12. Il sangue di toro di Eger. Il baccanale corrotto. Lo spettro

Eger
A metà pomeriggio ci portarono in un luogo campestre, ameno , chiamato “la cavità delle belle donne”: una valle nei pressi di Eger, tra colli ubertosi di vigne che inverdiscono i dolci  clivi di sorridente santità dionisiaca. Ma quando fummo scesi dalla corriera, ci fecero entrare in un bunker di cemento costruito su una spianata terrosa.
Ne stava uscendo un uomo che, pieno di carne tenuta male, ruttava e sputava, sfregandosi l’epa gonfia e scoperta. Dentro, la gente beveva il famoso vino rosso chiamato “sangue di toro di Eger”. Anche in questo binomio vino-toro entrava Dioniso con i suoi riti. Mi accorsi presto però che ero finito in un baccanale corrotto.
Ai tavoli c’erano femmine e maschi. Li osservavo cercando qualcosa nei loro volti  ma non vi trovavo segni dai significati buoni .
Bocche e occhi emanavano zaffate di ottusità. Bevevano e mangiavano.
In alcuni di loro il ceffo che rodeva inverecondo si alternava alla fauce che ringhiava  quando si alzava un rumore infernale, Anche il buio era d’inferno e di notte senza luna né stelle. Mi fu offerto un bicchiere di vino ma per me non era il momento di bere. Pensavo a Ifigenia. Le rivolgevo la parola come se fosse presente.
Il suo fantasma lo era, come quello di Elena a Troia o quello di Polidoro nei sogni di Ecuba. Osservavo lo spettro dell’assente e gli domandavo: “perché non mi scrivi? Abbiamo passato otto mesi di gioia rarissima e gustosissima insieme; per quale mediocre e sciocco piacere li rigetti o li sciupi in questa maniera?”
Lo dicevo per scaramanzia. Invero speravo di trovare il suo espresso la sera, appena arrivato in collegio.  Un uomo si mise a suonare un cembalo e altri a ballonzolare come tanti plantigradi ebbri.
Certe volte anche io ho avuto bisogno del vino. Quando approcciai Elena bevvi un paio di palinke per darmi coraggio, con Kaisa e con Päivi bevevo per non pensare che erano troppo lontane da me perché quegli eventi grandi e meravigliosi potessero durare più della feria d’agosto. Con altre via via, metodicamente, ho bevuto non troppo, nemmeno abbastanza per sopportare la loro mancanza di significato. Al contrario del Signore di cui c’è l’oracolo a Delfi, parlavano tanto, e con petulanza, senza significare alcunché.
Pensavo: “Soltanto con te, Ifigenia, ho compreso che la lucidità vale più dello stordimento da alcol. Con te magari mi sono stordito provando piacere. I nostri sacrosanti tripudi, gli splendidissimi orgasmi benedetti da tutti gli dei. Tu hai capito e mi hai fatto capire il valore della mia intelligenza che non devo sciupare. Mi hai fatto sentire che posso essere allegro senza bere un goccio, che non ho bisogno del viatico di Dioniso per salire e viaggiare sul santo naviglio di Venere in tua compagnia”.
Mi offrirono un’altra volta del vino e tornai a dire “no, grazie”.
 Non bere mi sembrava una libagione offerta a Cipride-Ifigenia.
Quindi ci riportarono a Eger. Così andò la gita alla “Valle delle belle donne” il pomeriggio del 4 agosto del 1979.
Sono passati quaranta anni da allora. Adesso ricordo con gratitudine le  amanti  dai significati forti, le vive e quelle che hanno già compiuto la vita, donne che via via mi hanno educato e dato la carica o la ricarica quando ne avevo bisogno.
 Ma l’amore più grande ora lo indirizzo alla Vita, la corteggio, la provoco magnificamente con fatiche fisiche straordinarie, con impegno mentale indefesso, per accumulare salute, sapere e sapienza con cui beneficare chi mi ascolta e mi legge. Spero che proprio per questo la Vita contraccambi il mio amore e mi tenga ancora del tempo con sé, abbracciato come un amante bello, buono e fedele.

Nessun commento:

Posta un commento

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...