sabato 29 giugno 2019

La Felicità. XIII parte. Ancora: Conosci te stesso!

Il tempio di Apollo a Delfi

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Conosci te stesso,  diventa quello che sei e  potenzia quello che sei diventato!

L’ignoranza della propria identità dunque è la più grave. Talora serve a procrastinare il dolore, aggravandolo, mai a risolverlo
Nell’Edipo re, Tiresia, minacciato da Edipo replica con questo avvertimento maleominoso:
"E dico, poiché mi hai rinfacciato anche la cecità:/tu, pur se guardi fisso, non vedi dove sei nel male/né dove abiti, nè con chi dimori” (vv. 412 - 415).

 La conoscenza di se stesso dunque è un preliminare della felicità ed è un presupposto della definizione e del potenziamento dell’identità: “quella moltiplicazione di noi stessi che è la felicità”[1].
I gradini dunque possono essere: conosci te stesso gnw`qi sautovn diventa quello che sei[2], poi accresci quello che sei diventato.
A proposito di “Conosci te stesso!”, l’iscrizione di Delfi, sentiamo Platone:
Il dialogo Carmide verte sulla swfrosuvnh, e il personaggio Crizia ne dà questa definizione: “e[gwge aujto; tou'to fhmi ei\nai swfrosuvnhn, to; gignwvskein eJautovn”, io per me affermo che proprio questo sia assennatezza, conoscere se stesso, e tale l’iscrizione (to; toiou'ton gravmma) di Delfi corrisponde a un Cai`re, un salve, un saluto del dio (164d) il quale dice a colui che di volta in volta entra nel tempio: “oujk allo ti h] Swfrovnei”, nient’altro che sii saggio. Infatti Conosci te stesso e Sii saggio sono la stessa cosa “to, ga;r Gnw'qi sautovn kai; to; Swfrovnei e[stin me;n taujtovn” (165a).

Nel dialogo Protagora le scritte delfiche Gnw`qi sautovn, “Conosci te stesso, e Mhde;n a[gan, “Nulla di troppo”, sono esempi di una scuola che ammirava la paideia spartana e ne impiegava lo stile brachilogico. Socrate dice che Lacedemoni e Cretesi fingono di essere ignoranti “schmativzontai ajmaqei'" ei\nai” (342b) ma la loro vera superiorità è la sofiva. La nascondono poiché non vogliono che altri la coltivino. Infatti i laconizzanti in altre città li imitano ammaccandosi le orecchie, avvolgendosi i pugni con strisce di cuoio, facendo spesso esercizi ginnici e portando mantelli corti.
In realtà Cretesi e Lacedemoni praticano cultura di nascosto dagli stranieri, e sono orgogliosi della loro educazione, non solo gli uomini, ma anche le donne. Essi sono ottimamente educati alla filosofia e alle parole: infatti se uno si mette a conversare con il più mediocre dei Lacedemoni, costui può sembrare inetto nel parlare, ma poi, quando sia capitata l’occasione, questo, come un terribile lanciatore di giavellotto, ha già scagliato una frase memorabile, breve e densa di significato “ejnevbalen rJh'ma a[xion lovgou bracu; kai; sunestrammevnon, w{sper deino;" ajkontisthv"” 342e)




[1] M. Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 397.
[2] Gevnoio oi|o" ejssi;, Pindaro, Pitica II, 72.

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