giovedì 20 giugno 2019

Italo Svevo. L'uomo e l'inetto. 11a parte

Oblomov
(immagine tratta da un'edizione inglese del romanzo di Goncarov)
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“L'eroe raggiunge appunto nell'attitudine puramente passiva la sua attività suprema, la quale continua ad agire molto al di là della sua stessa vita, mentre il cosciente tendere e sforzarsi della sua vita precedente lo ha condotto solo alla passività", Nietzsche, La nascita della tragedia [1]
Edipo trova la sua dimensione positiva nella passività di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella fase dell'attività sconsiderata. Giovanni Drogo in Il deserto dei Tartari di Buzzati scopre"l'ultima sua porzione di stelle"(p.250) e sorride nella stanza di una locanda ignota, completamente solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti, dopo avere sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera". Invece il suo destino si compie al lume di una candela, dove"non si combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".
Del resto gli eroi della passività nella letteratura moderna sono tanti, da Oblomov di Goncarov, a Zeno di Svevo per dire solo i più noti.

Oblomov (1859) di Ivan Gončarov (1812 - 1891)
Un romanzo antihegeliano: la storia di un rifiuto, la storia di una persona che non vuole crescere
Sui tratti del suo volto non v'era segno di un’idea ben definita né di una qualunque forma di concentrazione mentale… dal volto l’indolenza si comunicava all’atteggiamento di tutta la persona e perfino alle pieghe della vestaglia (p. 27)
Alla morte dei genitori divenne proprietario di 350 anime. Andò a vivere a Pietroburgo in un appartamento preso in affitto con due servitori e due cavalli. Ma a 30 anni, non aveva fatto nessun passo in nessuna direzione e stava ancora ai margini della sua arena, come 10 anni prima. Il suo servo Zachàr era un cavaliere con macchia e con paura ed era un pettegolo. I due si infastidivano a vicenda

Nella letteratura moderna il personaggio dell'ignavo a partire da Oblomov (1859) ha spesso ottime ragioni per non agire. Vediamo alcune righe del romanzo di Gončarov. Riporto quello che pensa Oblomov di un suo conoscente andato a fargli visita dopo essere diventato capo ufficio"Cieco, sordo e muto per ogni altra cosa al mondo. Ma farà strada, col tempo maneggerà affari e farà collezione di alti gradi...Da noi, questo si chiama anche far carriera! Come si impegna poco un uomo, per questo: a che gli servono l'intelligenza, la volontà, il sentimento? Un lusso! Ed egli vivrà la sua vita e molte, molte cose in lui non si metteranno mai in moto... E intanto lavora da mezzogiorno alle cinque in ufficio, dalle otto a mezzogiorno a casa... Disgraziato!"[2].
L'antieroe, rispetto al mito della carriera, critica, non senza ragioni, quanti le dedicano la vita rinunciando agli affetti e alla conoscenza di se stesso.

L'abulico Oblomov (1859) l'archetipo dell'inetto Zeno, che non sopporta di essere confuso con "gli altri" e ha un eccezionale scatto autoritario quando il servo Zachàr osa dire: "Io pensavo che gli altri non sono peggio di noi e cambiano casa", ripeté con orrore: "Gli altri non sono peggio! Ecco cosa sei arrivato a dire! Adesso lo so che sono per te un qualunque altro!" . Quindi: "Vattene! Non ti voglio più vedere!" esclamò Oblomov imperiosamente, indicando l'uscio. "Ah! Gli altri! Gli altri, benissimo![3].
Un altro è un miserabile maleducato, rozzo, che vive poveramente in una sudicia soffitta. Divora patate e aringhe… si pulisce le scarpe da sé, si veste da sé, non sa che cosa sia un servitore. Io non sono come gli altri. Mangio poco? Ho l’aria patita?
Cfr. Gli uomini straordinari di Delitto e castigo e delle Baccanti.
 Oblomov crede di essere straordinario, però poi pensa, come farà Raskolnikov, di non esserlo in positivo: “un altro si gode la vita, va dappertutto, vede tutto, s’interessa a tutto”. Si sentì colmo di pena per la deficienza e l’arresto di sviluppo delle sue forze morali. Invidiò gli altri che vivevano con larghezza e pienezza, mentre sul meschino sentiero della sua esistenza sembrava che fosse stata buttata una pietra pesante (p. 133)

La parte migliore di Oblomov nega valore all'intelligenza che non comprende l'umanità:"Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi"(p.53). Qui Oblomov parla a un altro visitatore, un letterato

Questa idea si trova anche nel discorso finale del film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel-Hitler, scambiato per il grande dittatore deve fare un discorso che legittimi e anzi esalti la prepotenza del tiranno, presentato alla folla come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch - Goebbels. Ebbene il piccolo grande uomo non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice di non volere comandare su nessuno, ma aiutare tutti. Poi continua dicendo: “Our knowledge has made us cynical, our cleverness hard and unkind. We think to much and feel to little. More than machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and gentleness”, la nostra conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza,
Per quanto riguarda il rifiuto di comandare, ricordo il bobile persiano Otane il quale non volle gareggiare per diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto dell'antisadismo: "ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato[4].
“Una forte tendenza al rifiuto di obbedire è spesso accompagnata da una tendenza altrettanto forte al rifiuto di dominare e di comandare”[5] .

Sentiamo Bertolt Brecht:
“Io son cresciuto figlio
di benestanti. I miei genitori mi hanno
messo un colletto, e mi hanno educato
nelle sbitudini di chi è servito
e istruito nell’arte di dare ordini. Però
quando fui adulto e mi guardai intorno
non mi piacque la gente della mia classe,
né dare ordini né essere servito.
E io lasciai la mia classe e feci lega
Con la gente del basso ceto”[6].

Il sogno di Oblomov (p. 137)
Lontano dal mare che suscita solo tristezza. Il rumore delle onde sembrano i gemiti quasi di un mostro condannato al supplizio. I muti gabbiani volano tristemente lungo la riva (cfr. Svevo, Senilità)
I monti sono terribili e minacciosi come gli artigli e i denti di una fiera diretti contro di lui. (cfr. Berto, Il male oscuro)

Il paesaggio del sogno è una campagna tranquilla e sonnolenta con tre o quattro villaggi dove vivono uomini pacifici. Cfr. il determinismo geografico.
I delitti si limitavano a furti di piselli, di carote e di rape negli orti, al massimo di due porcellini e una gallina
Oblomov è un bambino di 7 anni grassottello, bianco e rosso e ha la mamma adorata. Poi sposa una donna di bellezza inaudita.
Quel paese dove non si conoscono affanni e tristezze. Un’utopia
Ma nella vita reale e nelle favole del folklore russo c’erano guai e sventure e Oblomov continua a vivere in quel sogno fatato.

Nella vita reale, Ilià Ilìc si aspetta sempre qualche cosa di terribile
Aveva un amico Andréj Stòltz un uomo attivo e severo (cfr. Emilio e il Balli)
Ma Oblomov come gli abitanti del suo sogno temeva più del fuoco l’entusiasmo delle passioni, e la loro anima annegava nella mollezza del corpo. Le preoccupazioni, dopo aver turbinato al di sopra delle loro teste, fuggivano via come uccelli.
In inverno si meraviglia che alle cinque sia buio e in primavera si meraviglia e rallegra delle giornate lunghe . “Ma se chiedeste a cosa gli servono tali giornate, non saprebbe rispondere” (p. 170)
Non voleva varietà, mutamenti e casi imprevisti. Stolz di padre tedesco e madre russa era un coetaneo di Oblomov: avevano una trentina di anni. E’ l’antitesi di Oblomov: al di sopra di ogni qualità poneva la fermezza nel raggiungere uno scopo.
Cfr. Siddharta di H. Hesse: uomini uomini e uomini bambini (nhvpioi)

Stoltz diceva all’amico che gli sembrava un mucchietto di pasta messa lì a riposare” (p. 222)
Oblomov da parte sua disprezza il mondo, la società: “questo eterno gioco di miserabili passioncelle, quelle che mirano all’interesse, a sopraffarsi l’un l’altro; le chiacchiere, le maldicenze…non v’è nulla di profondo, nulla che tocchi la vera vita! Sono cadaveri, gente che dorme peggio di me, questi rappresentanti del bel mondo e dell’alta società. Vanno su e giù tutto il giorno, come mosche (p. 227)
L’altro giorno a pranzo han cominciato a massacrare la reputazione degli assenti. Tutti si infettano l’un l’altro con le loro preoccupazioni dolorose. Impallidiscono per il successo di un amico.
Ma Stolz gli rinfaccia che il lavoro è la forma e il contenuto della vita.
Oblomov dice: Sai, Andrei, nella mia vita nessun fuoco né divoratore né purificatore ha divampato. La mia vita è cominciata con il tramonto. Dal primo momento ho sentito che mi spegnevo. Sono fiacco, frusto e logoro come un cappotto usato
Stolz gli fa conoscere Olga. Era una fanciulla ricca di semplicità e di una rara libertà di giudizio, non v’era in lei alcuna traccia di posa, di civetteria, di menzogna, di sottinteso, di esagerazione. Lo sguardo della ragazza scaldava il sangue di Oblomov e l’uomo ha l’impressione di svegliarsi
 Oblomov fa l’elogio della vita: “la vita è poesia. Gli uomini possono deturparla finché vogliono, resta pur sempre poesia!”[7].

Olga dice a Oblomov che vergognarsi del proprio cuore è falso amor proprio. A volte farebbero meglio a vergognarsi della propria intelligenza che sbaglia più spesso (p. 261)
Olga capiva che a Oblomov non si poteva chiedere nessuno sforzo di volontà ma le piaceva l’idea di illuminare col suo raggio di luce quel lago stagnante. Ma Oblomov non cambia e le dice: il fiore della mia vita è appassito, mi sono rimaste le sole spine (p. 302)
Lei cerca di incoraggiarlo: “Vi amo, vi amo, vi amo! Eccovi la provvista per tre giorni!” (p. 316)
La vita è vita - dice Olga - ed è dovere, e il dovere è penoso.
Due farfalle volteggiavano nell’aria, una accanto all’altra, come per un giro di valzer, volando lungo i tronchi degli alberi” (p 328)
Olga cerca di spingere Oblomov ma lui è avvelenato e lo dice: “Io mi sono avvelenato e ho avvelenato voi, anziché essere semplicemente felice”
L’astuzia delle donnicciole è una moneta spicciola con la quale non si può comprare gran che. L’astuzia manovra le molle della minuta vita quotidiana, fa dei piccoli ricami ma perde di vista come si dispongano le principali linee della vita (p. 335). L’astuzia è miope. Olga era intelligente e risolveva con semplicità e chiarezza i problemi.
Sentiamo Gončarov che descrive l’animo buono di Oblomov: “Per quanto avesse trascorso la gioventů in crocchi di giovanotti che presumevano di sapere tutto, che avevano già da un pezzo risolto tutti i problemi della vita, che non credevano in nulla e tutto analizzavano con gelida saggezza, nell’animo di Oblomov s’era conservata la fede nell’amicizia, nell’amore, nella dignità, nell’onore e, per quanto potesse essersi sbagliato e potesse ancora sbagliare nel giudicare la gente, se il suo cuore ne aveva sofferto, la sua fede nel bene non ne era mai stata intaccata. Egli si inchinava dentro di sé alla purezza femminile, ne riconosceva la potenza e i diritti e le offriva sacrifici… Oblomov era un giusto di fatto…Gli uomini ridono di simili originali, ma le donne li riconoscono subito; le donne pure e caste li amano per simpatia, le corrotte cercano di avvicinarli per dimenticare la propria rovina”[8].

Ma l’idea del matrimonio spaventa Oblomov. Anche Olga ha dei dubbi: i felici, quelli che amano, e non lasciano ciondolare la testa. Tutto ferve in loro e la loro quiete non somiglia alla tua. Non si direbbe che tu mi ami.
Oblomov prova a replicare: vedrete tu e Andrei fino a che altezze possa sollevare un uomo l’amore di una donna come te. Io sono risorto! (p. 446) Ho studiato l’algebra superiore, l’economia politica, il diritto, ma non mi sono mai abituato agli affari. Con tutta la mia algebra, non so quali siano le mie rendite
Cfr. il crhmatistikovn di Platone, la tendenza accumulativa del sofista affarista (Sofista, 226a).

“Io non ho mai imparato a lavorare, sono diventato soltanto un signore (p. 457). Cfr. la dialettica di servo e padrone di Hegel
Avvicino, forse non del tutto arbitrariamente queste parole di Oblomov a quanto scrive Hegel nella Fenomenologia dello spirito: “il signore si rapporta alla cosa in guisa mediata, attraverso il servo”; il servo invece “col suo lavoro non fa che trasformarla”[9]. Vero è che attraverso il lavoro del servo e il suo rapporto diretto con la realtà, avviene un rovesciamento dialettico. Secondo Hegel in termini di coscienza. Lavorando il servo giunge alla consapevolezza, alla coscienza di sé e del mondo oggettivo.
La servitù una volta compiuta diventerà il contrario di quello che è immediatamente. Diventata autocoscienza la servitù si trasformerà nel proprio rovescio. Marx utilizzerà questa dialettica servo - signore come chiave di lettura dell’intera storia che è storia di lotta di classi.
Ma Olga poi lo lascia dicendogli:" Un sasso si sarebbe animato con quello che ho fatto per te…è tutto inutile, tu sei morto!" (467)
Poi: "Tu sei mite, onesto, Ilià, sei tenero…come una colomba; nascondi il capo sotto l'ala e non chiedi altro, sei disposto a tubare, sotto il tetto, per tutta la vita; io non sono fatta così. Questo, per me, è troppo poco, ho bisogno anche d'altro" (p. 469).
"Che cosa ti ha perduto? Oblomovismo fece egli sottovoce (p. 470)
Oblomov si avvicina a un'altra donna, Agafia, come a un fuoco che riscalda senza bruciare.
A Stolz, Oblomov dice: "tu hai le ali per volare. Tu non vivi, tu voli. Tu hai qualità, hai amor proprio; ecco non sei grasso, non sei perseguitato dagli orzaioli, non ti prude la nuca. Sei fatto in modo diverso" (p. 498)
Cfr. Una Vita di Svevo: Macario e Alfonso Nitti osservano i gabbiani in un giorno di garbino: "il mare sferzato dal vento di terra non aveva onde" (p. 93). Macario dice: quanto poco cervello occorre per pigliare pesce! Il corpo è piccolo. Chi non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono mai più" Alfonso chiese" E io ho le ali?
E Macario"Per fare voli poetici sì" (p. 94, cap. VIII)

Stoltz e Olga si amano. Andrei dice all'amico: ""Attento Ilià, non precipitare in una fossa. Una povera donna qualunque, un'esistenza sudicia, un ambiente soffocante di povertà materiale, grossolanità" (p. 559)
Olga non rinnega la sua stima e il suo affetto per Oblomov.
Stoltz stesso le dice che in lui c'è qualcosa di più prezioso dell'intelletto, c'è un cuore onesto e fedele. Egli ha perduto la forza di vivere ma non l'onestà e la fedeltà. Non ho mai incontrato un cuore più puro e più semplice. Oblomov aveva la sua filosofia rassegnata: " Egli non era nato e non era stato educato come un gladiatore per l'arena, ma come un pacifico spettatore della lotta: la sua anima, timida e pigra, non avrebbe potuto reggere né alle ansie della felicità né ai colpi della vita; egli era uno degli aspetti della vita stessa (p. 596).
Beveva imprudentemente vino e vodka di ribes e dormiva a lungo dopo pranzo.
Alla fine Oblomov ha un colpo che gli lascia offesa la gamba sinistra. Stoltz va a trovarlo dopo 5 anni che non lo vedeva. Stoltz lo vede molto malridotto e vorrebbe portarlo in campagna da loro. Fuori da questa fossa, da questo pantano, alla luce, all'aria libera
E Oblomov: mi sono attaccato a questa fossa con il mio lato debole; se mi strappi di qui mi uccidi. Io merito la tua amicizia ma non le tue premure
In una carrozza c'è Olga che li aspetta ma Oblomov ne ha terrore.
Quella donna (Agafia) è sua moglie, il bambino è suo figlio: si chiama Andrei in tuo onore
Allora a Stoltz Oblomov sembrò essere sprofondato e scomparso
A Olga che fa domande e chiede cosa c'è dentro, Stoltz risponde oblomovismo
Due anni dopo Oblomov muore.
Era morto senza dolore, senza sofferenze, come si ferma un orologio che ci si è dimenticati di caricare.

Andriuscia viene educato da Stoltz e da Olga che lo considerano un membro della loro famiglia. Agafia riconosceva la differenza di gevno" tra i due figli del primo marito e quello di Oblomov: manine e piedini piccoli, capelli come seta. Somiglia tutto al povero defunto. Capì dunque che il posto di quel bambino era da Stoltz. Agafia sapeva che non era vissuta invano: tutta la sua vita aveva acquistato valore da Oblomov. I sette anni vissuti con lui avevano diffuso una luce sulla sua esistenza. Andava a trovare il figlio quando, d'inverno, Olga e Stoltz stavano a Pietroburgo. Volevano che la vedova andasse a vivere con loro ma lei rispondeva: "Dove si è nati e vissuti tutta la vita, lì bisogna anche morire" E non voleva le rendite della proprietà di Oblomov, cioè sua. Voleva che rimanessero al figlio: "E' roba sua, non mia, ripeteva ostinatamente, "ne avrà bisogno, è un signore, io posso vivere anche così'
Ultimo capitolo
Stoltz passeggia con uno scrittore, alter ego di Gončarov, che vuole scrivere sui mendicanti. Stoltz ne vede uno e lo chiama, Quando questo si toglie il berretto, Stoltz riconosce Zachàr che è stato cacciato dal cognato di Oblomov poi ha perso altri lavori ed è in miseria e rimpiange il padrone morto e va tutti i giorni sulla sua tomba.
Stoltz gli offre aiuto e gli dà del denaro
Poi dice allo scrittore chi era Oblomov: si è rovinato per niente, non era stupido e aveva un'anima pura, era nobile, affettuoso ed è perito
Per quale ragione?
Per oblomovismo.
Che cosa è mai?
"E Stoltz raccontò allo scrittore quel che è scritto in questo libro"
Fine Oblomov

Appendice brevissima
Chi spreca il tempo e sconcia la vita sono gli occupati otiosi, gli indaffarati in occupazioni futili, quelli la cui vita è una desidiosa occupatio[10], un’occupazione inoperosa e sono pieni di noia.
Sono pure colmi di malevolenza.
 “Sono cadaveri, gente che dorme peggio di me, questi rappresentanti del bel mondo e dell’alta società… Si invitano, si offrono l’un l’altro da mangiare senza cordialità, senza bontà, senza reciproca simpatia! Si riuniscono per un pranzo, per una serata, come se andassero all’ufficio, freddamente, senza allegria, per far sfoggio del proprio cuoco, della propria casa, per ridere poi l’uno dell’altro e farsi lo sgambetto. L’altro giorno, a pranzo, non sapevo dove guardare, avrei voluto nascondermi, mi sarei cacciato sotto la tavola, quando han cominciato a massacrare la reputazione degli assenti”[11].


FINE
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[1] Capitolo VIII.
[2] Gonçarov, Oblomov , p. 50.
[3] Ivan Gončarov, Oblomov, del 1859, p. 124
[4] Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi: non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~ ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte le circostanze.
Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi: non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~ ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte le circostanze.
[5] Hannah Arendt, Sulla violenza, p. 41.
[6] Scacciato per buone ragioni in Poesie di Svendborg del 1939.
[7] I. Gončarov, Oblomov, p. 233.
[8] I. Gončarov, Oblomov, p. 348.
[9] Fenomenologia dello spirito (del 1807). Capitolo 4 (A)
[10] Seneca, De brevitate vitae, 12, 2. Cfr. anche Plinio il Giovane, Ep.9, 6, 4: otiosissimae occupationes.
[11] I. Gončarov, Oblomov, p. 228.

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