sabato 8 febbraio 2020

Donne nell'epica greca. Parte 12. Calipso

Arnold Böcklin, Odysseus und Kalypso
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Altra parte della conferenza del 10 febbraio nella biblioteca Pezzoli di Bologna (17 - 18, 30). Donne dell’Odissea

Calipso
Fin dal primo canto dell’Odissea, Atena dice a Zeus che Ulisse si trova in un'isola amena, dov'è l'ombelico del mare (v. 50) e vi abita una dea la quale cerca di incantarlo con dolci e seducenti parole perché dimentichi Itaca, ma egli, per il desiderio di scorgere anche solo il fumo che balza dalla sua terra, agogna morire (" iJevmeno" kai; kapno;n ajpoqrwv/skonta noh'sai - h|" gaivh", qanevein iJmeivretai", I, vv. 58 - 59).

Nel V canto Atena intercede di nuovo per il rientro a Itaca del suo protetto. Ricorda a Zeus che Odisseo giace soffrendo dure pene nell’isola dove Calipso lo tiene per forza (h{ min ajnavgkh/ - i[scei, vv. 14 - 15). Il padre degli dèi si convince e manda Ermes a Ogigia perché ordini a Calipso di lasciar partire Ulisse.

Nell’Eneide Mercurio va da Enea portandogli l’ordine di Giove di lasciare Didone
Mercurio gli appare in sogno e gli dice pure che Didone è risoluta a morire ("certa mori", v. 564), ma questo non ha importanza né per l'uomo né per il dio. Quella infatti rivolge nel petto inganni e una sinistra scelleratezza: "illa dolos dirumque nefas in pectore versat "(v. 563). L'allitterazione in dolos dirumque sottolinea entrambe le colpe della disgraziata. Qui si vede che mentre il sogno, ossia il desiderio camuffato, suggerisce l'inganno e il misfatto, trova anche il modo di discolpare il dormiente proiettando sulla regina tutto il male che egli stesso è già preparato a perpetrare contro di lei. Bisogna solo evitare di essere danneggiati dalla femmina "varium et mutabile semper " (v. 569) cosa variabile e mutevole sempre.

 Ermes si recò nell’isola a volo (pevteto, Odissea, V, 49), poi entrò nella grande spelonca (mevga spevo~, v. 57), dove abitava la ninfa dai bei riccioli: la trovò, ma con lei non c’era Odisseo il quale piangeva seduto sulla riva (o{ g j ejp j ajkth`~ klai`e kaqhvmeno~, v. 82) , lacerandosi l'anima con lamenti e dolori, e lanciava lo sguardo sul mare infecondo versando lacrime.
Calipso chiese a Ermes la causa della sua venuta, non senza offrirgli il pranzo ospitale e permettergli di desinare prima di rispondere.
Ermes riferì alla ninfa il volere di Zeus. Allora rabbrividì (rJivghsen) Calipso, luminosa tra le dèe (v. 116), poi si mise a parlare. Rinfacciò agli dèi la loro invidia della felicità sessuale delle dèe con i mortali ricordando i casi di Aurora e del cacciatore Orione, che fu ucciso da Artemide[1], e di Demetra con Iasìone che venne fulminato da Zeus.
Ora l'invidia degli dèi colpisce Calipso e gli vuole strappare Odisseo che ella aveva salvato dopo il naufragio causato dal fulmine abbagliante di Zeus. Non è giusto, ma se questa è la volontà del Cronide, ella obbedirà: lascerà partire Ulisse, e, pur se non potrà soccorrerlo, gli darà volentieri consigli e non gli nasconderà il modo di tornare sano e salvo nella sua terra (vv. 143 - 144).

Infine Ermes ripartì e Calipso andò in cerca del magnanimo Ulisse.
" E lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita gluku;" aijwvn /mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa - ejpei; oujkevti h{ndane nuvmfh - Certo di notte dormiva sempre anche per forza/nella spelonca profonda controvoglia accanto a lei che lo voleva - par j oujk ejqevlwn ejqelouvsh/ - ". - (Odissea, V, vv.151 - 155).
Notare lo squilibrio di questa relazione e la chiarezza di Omero nello spiegarlo senza inutili ghirigori psicologistici che complicano la semplicità invece di semplificare la complessità.
Poche parole per chiarire un fatto naturale colto nella sua essenzialità.
Bastano quattro parole a Omero per dire che Odisseo non provava desiderio per Calipso.
La ninfa gli dice che lo lascia andare via, che, anzi, lo aiuterà a partire dandogli il viatico di pane, acqua, vino rosso (si`ton kai; u{dwr kai; oi\non ejruqrovn, v. 265) e vesti (ei{mata, v. 167). Odisseo è, come sempre, diffidente, ma Calipso giura sulla terra, sul cielo e sullo Stige, il giuramento più grande e terribile, che lo aiuterà con lo stesso impegno con il quale provvederebbe a se stessa poiché, dice, sono giusta e nel mio petto non c’è un cuore di ferro ma compassionevole ( oujde; moi aujth`/ - qumo;~ ejni; sthvqessi sidhvreo~, ajll j ejlehvmwn, vv. 190 - 191).

La nobiltà di Calipso.
E' nobile questa reazione della persona abbandonata la quale capisce le ragioni del distacco e aiuta l'amante che se ne va. Poiché quando un uomo e una donna si scambiano aiuto e piacere, se davvero sono un uomo e una donna e non due caricature di esseri umani, non può non sussistere la riconoscenza per quanto si è ricevuto e la soddisfazione per ciò che si è dato.

Segnalo, viceversa, il peccato che il Giobbe (1930) di Joseph Roth attribuisce a se stesso e alla moglie morta:" Piena di travaglio e senza senso è stata la tua vita. Nella giovinezza ho goduto della tua carne, più tardi l'ho sdegnata. Forse è stato questo il nostro peccato. Perché non c'era in noi il calore dell'amore, ma fra noi il
gelo dell'abitudine, tutto è morto intorno a noi, tutto è intristito e si è rovinato"[2].



[1]J. Roth, Giobbe , p. 141.
[2] Poi mutato in costellazione: Cfr. “Quando Orїon dal cielo/declinando imperversa,” l’incipit dell’Ode La caduta del Parini

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