giovedì 20 febbraio 2020

Fortuna e Virtù. Leon Battista Alberti prima di Machiavelli


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Leon Battista Alberti (1404 - 1472)

Prologo Libri della Famiglia di Leon Battista Alberti

Fortuna e Virtù.
Molti accusano la fortuna e si dolgono “d’essere agitati da quelle fluttuosissime sue unde, nelle quali stolti sé stessi precipitarono”
La fortuna non prevale mai sulle buone e sante discipline del vivere.
Queste discipline dominavamo il mondo finché si osservavano le nostre vetustissime e sante discipline.

Cfr. il discorso di Ceriale davanti a Trevĭri e ai Lingŏni. Si rivolge nel 69 ai popoli della Gallia belgica e celtica. C’è la tesi politica e spirituale della dominazione romana.
I Romani vogliono impedire l’avanzata di un nuovo Ariovisto. I Romani ai Galli hanno imposto iure victoriae, per diritto di vittoria, solo ciò che è necessario a mantenere la pace. Nam neque quies gentium sine armis, neque arma sine stipendiis, neque stipendia sine tributis haberi queunt (Hist. IV, 74). Se arriveranno Britanni o Germani, i tributi aumenteranno.
Cacciati i Romani (quod di prohibeant) rimarrebbe solo una guerra universale. Octingentorum annorum fortuna disciplinaque compages haec coaluit: quae con velli sine exitio convellentium non potest”, questa mole si è consolidata con la fortuna e la disciplina di ottocento anni e non può essere abbattuta senza rovina di chi la abbatte..
“Sono le parole di tutti gli imperialismi” commenta Concetto Marchesi nel suo Tacito[1]
Qui il merito del successo è diviso tra fortuna e disciplina, come nel Machiavelli tra fortuna e virtù

Torniamo all’Alberti che invece dà la precedenza alla virtù della disciplina
“mai valse più la fortuna che le buone e sante discipline del vivere”
Alberti ricorda Fabio “quello uno uomo, el quale indugiando e supersedendo restituì la quasi caduta latina libertà”

Quanto Q. Maximus melius! De quo Ennius:
unus homo nobis cunctando restituit rem.
Non enim rumores ponebat ante salutem.
Ergo postque magisque viri nunc gloria claret” (De officiis, I, 84).

 poi Tito Manlio Torquato che “ per osservare la militare disciplina non perdonò al suo figliolo”, poi l’onestà di Fabrizio, la parsimonia di Catone e così via.
Con queste virtù i Romani sconfissero i nemici. Virtù non ascrivibili alla fortuna. La fortuna prevale solo su chi le si sottomette. La virtù è sufficiente a conscendere e occupare ogni sublime ed eccelsa cosa “Solo è sanza virtù chi nolla vuole”

Vediamo alcuni aspetti della disciplina

L’esercizio fisico (ascesi pagana e rinascimentale) è necessario per la salute del corpo.
Lo studio è indispensabile per il benessere della mente
Leon Battista Alberti 

Leon Battista Alberti
Primo dei 4 Libri della famiglia 1437 - 1441

“L’essercizio conserva la vita, accende il caldo e vigore naturale schiuma le superflue e cattive materie, fortifica ogni virtù e nervo. Ed è l’essercizio necessario a’ giovani, utile a’ vecchi; e colui solo non faccia essercizio, el quale non vuole vivere lieto, giocondo e sano”
“Ed è l’essercizio una di quelle medicine naturali, colle quali ciascuno può sé stesso senza periculo alcuno medicare (...) A’fanciulletti più forteruzzi e agli altri tutti troppo nuoce l’ozio. Empionsi per l’ozio le vene di flemma, stanno acquidosi e scialbi, e lo stomaco sdegnoso, i nerbi pigri e tutto il corpo tardo e adormentato; e più l’ingegno per troppo ozio s’apanna e ofuscasi, e ogni virtù nell’animo diventa inerte e straccuccia” con l’esercizio invece la natura si vivifica, le carni crescono sode, l’ingegno sta pronto e lieto.
I “fanciulli allevati in villa alla fatica e al sole” sono “ robusti e fermi più che questi nostri cresciuti nell’ozio e nella ombra, come diceva Columella[2], a’ quali non può la morte agiugnervi di sozzo più nulla. Stanno palliducci, seccucci, occhiaie e mocci”.

Cfr. Socrate e gli Spartani che si procuravano l’appetito con lunghe marce.

Cicerone nelle Tusculanae V, 93 scrive che i desideri necessari si possono soddisfare quasi con nulla (satiari posse paene nihilo - divitias enim naturae esse parabiles)
I naturali non è difficile procurarseli né farne a meno.
Quelli non naturali né necessari sono inanes, vuoti e non hanno niente in comune con la necessità né con la natura.
Dario in fuga bevve acqua inquinata da cadaveri e disse di non aver trovato mai bevanda più piacevole: numquam videlicet sitiens biberat (V, 34, 97).
Socrate passeggiava di buona lena (contentius) fino a sera usque ad vesperum e diceva: “ se, quo melius cenaret , obsonare ambulando famem, che per cenare meglio faceva provvista di appetito (obsōno) passeggiando.
Dioniso il vecchio a Sparta disse che quel brodo nero (ius nigrum[3]) non gli era piaciuto.
Il cuoco rispose: “ Minime mirum; condimenta enim defuerunt”
Quae tandem? –inquit ille
Labor in venatu, sudor, cursus ad Eurotam, fames, sitis; his enim rebus Lacedaemoniorum epulae condiuntur

Cfr. Quintiliano
Il classicista Quintiliano vuole escludere l'ombra, la solitudine e la muffa dall'educazione del ragazzo che deve diventare un buon oratore:"Ante omnia futurus orator, cui in maxima celebritate et in media rei publicae luce vivendum est, adsuescat iam a tenero non reformidare homines neque illa solitaria et velut umbratica vita pallescere. Excitanda mens est et adtollenda semper est, quae in eiusmodi secretis aut languescit et quendam velut in opaco situm ducit, aut contra tumescit inani persuasione; necesse est enim nimium tribuat sibi, qui se nemini comparat "[4] , prima di tutto il futuro oratore che deve vivere frequentando moltissime persone, e in mezzo alla luce della politica, si abitui fin da ragazzo a non temere gli uomini e a non impallidire in quella vita solitaria e come umbratile. Va tenuta sveglia e sempre innalzata la mente che in solitudini di tal fatta o si infiacchisce, e nella tenebra prende un certo puzzo di muffa, o al contrario si gonfia di vuoti convincimenti: è infatti inevitabile che attribuisca troppo a se stesso chi non si confronta con nessuno.

Il maestro pallido, brutto, tedioso, desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza istintiva, anche fisica nel giovane discepolo.

Fidippide, il figlio di Strepsiade, rifiuta i cattivi educatori, i maestri lazzaroni della scuola di Socrate anche per il loro colore giallastro, malsano:"aijboi'ponhroiv goi\da. tou;" ajlazovna" - tou;" wjcriw'nta" tou;" ajnupodhvtou" levgei" (AristofaneNuvole, vv. 102 - 103), puah!, quei furfanti, ho capito. Tu dici quei ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi.

Di certo gli studenti proveranno simpatia per le parole dei grandi autori contro i cattivi maestri. Possiamo aggiungere queste di Mefistofele a Faust: " Che è questo luogo di martirio? E che vita è questa che consiste nell'annoiare sè e i giovani?"[5].
Quanti di noi lo fanno? Non dimentichiamo mai che annoiare è il crimine degli imbecilli. Dobbiamo avere il terrore di annoiare chi ci ascolta.
Quindi Nietzsche: “Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano: perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti, davanti a loro ogni uccello giace spennato”[6].

Ancora l’Alberti
Anche nello studio però bisogna essere assidui: “piacciavi conoscere le cose passate e degne di memoria, giovivi comprendere e’ buoni e utilissimi ricordi; gustate el nutrirvi l’ingegno di leggiadre sentenze”.
Niente può aguagliarsi alla concinnità ed eleganza d’un verso di Omero, di Virgilio e degli altri ottimi poeti
Non c’è spazio fiorito e ameno quanto la orazione di Demostene, o di Tullio, o Livio o Senofonte o degli altri simili soavi e perfettissimi oratori. “tu n’ esci abundante d’essempli, copioso di sentenze, ricco di persuasioni, forte d’argumenti e ragioni; fai ascoltarti, stai tra i cittadini udito volentieri, miranoti, lodanoti, amanoti”. Senza quelle lettere non si può riputare in uno essere vera gentilezza.
Bisogna evitare gli scrittori crudi e rozzi, “seguire que’ dolcissimi e suavissimi, averli in mano, non restare mai di rileggerli, recitarli spesso, mandarli a memoria”.
Non sono degni di uomo virile i giochi ove bisogni sedere. “Forse a’ vecchi se ne permette alcuno, scacchi e tali spassi da gottosi, ma giuoco niuno senza essercizio e fatica a me pare che a’ robusti giovani mai sia licito. Alberti suggerisce “cavalcare, schermire, notare e tutte simili cose, quali in maggiore età spesso nuocono non le sapere”.
giovanni ghiselli

p. s. E' ora di cena ma prima vado a correre (almeno 45 minuti) per guadagnarmela e perché l'appetito non sia disonesto né mangiare sia hybris


[1] Milano Messina, 1944, p. 136 
[2] 4 - 70 d. C. De re rustica
[3] Era lo zwmo;~ mevla~ degli Spartani (cfr. Plutarco, Vita di Licurgo, 12, 12) 
[4] Institutio oratoria I, 2, 17 - 18.
[5] Goethe, Faust , Prima parte (del 1808), in Goethe, Opere , p. 22.
[6] Così parlò Zarathustra, p. 352.

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