martedì 11 febbraio 2020

Le Argonautiche di Apollonio Rodio. II. Apollonio Rodio e Pascoli

Giovanni Pascoli
Quando vide la prima luce, Medea raccolse con le mani i biondi capelli della chioma che cadevano senza cura, si unse la pelle, indossò uno splendido peplo e si mise un velo bianco sul capo, scordando il dolore. Chiamò le 12 ancelle vergini e fece aggiogare i muli al carro per recarsi al tempio di Ecate. Prese un favrmakon chiamato Prometeo: chi se ne unge, diventa invulnerabile alle armi e al fuoco. Si formò quando l’aquila crudivora fece sprizzare il sangue di Prometeo: ne nacque un fiore alto un cubito (44 cm), giallo con due steli. La radice (rJivza) era simile a carne appena tagliata (Argonautiche III, 857).
Medea l’aveva raccolto in una conchiglia del Caspio, e aveva invocato Ecate nella notte nera, coperta di abiti neri.
Quando tagliò la radice titanica, la terra muggì e il figlio di Giapeto gemette angosciato.
Un fiore mostruoso probabilmente ricordato da Pascoli nella Digitale  purpurea (1898):

“In disparte da loro agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,
l’alito ignoto spande di sua vita” (47-50)

 Medea dunque prende il filtro e lo mise nella fascia profumata che le cingeva il petto. Poi sale sul carro, lo guida e le fanciulle corrono dietro sollevando le tuniche sopra le ginocchia. Viene paragonata ad Artemide che procede sul carro tirato da cerbiatte seguita dalle ninfe (cfr. Nausicaa nel VI dell’Odissea).


Poi Medea parla alle ancelle mentendo: dice che darà a Giasone un farmaco cattivo e chiede di lasciarla sola con lui. Alle ragazze piacque l’abilità simulatrice (ejpivklopoς  mh'tiς, 912)
Era intanto rese Giasone splendidissimo nell’aspetto e nella parola. Gli stessi compagni si meravigliavano osservandolo brillare per il fascino. (925). Mopso, l’indovino è contento, ma una cornacchia loquace lo schernisce dicendo che pure i bambini sanno che la presenza di persone impedisce il corteggiamento. Lo chiama kakovmanti (936). Mopso considera divina la parola della cornacchia e suggerisce a Giasone di andare da solo. Medea aspetta piena di ansia e quando Giasone le appare, sembra Sirio che sorge dall’Oceano nitido e bello ma porta infinite sciagure alle greggi, così l’uomo sorgeva come un amore tormentoso e travagliato (kavmaton dusivmeron, 961).
Allora il cuore le cadde dal petto, gli occhi si oscurarono, un caldo rossore le prese le guance, non aveva la forza di sollevare le ginocchia né avanti né indietro, ma era come inchiodata nei piedi (pavgh povdaς). Cfr. Saffo.
 I due erano senza parole come le querce e i grandi pini nei monti, che poi però per il vento cominciano a sussurrare, così Giasone le rivolse parole come carezze, parole carnee.
Giasone dice alla ragazza che non deve avere paura: lui è ospite e supplice: senza di te non posso vincere la durissima prova. Ti sarò grato in futuro (990) e tutti gli eroi della spedizione ti celebreranno dando gloria al tuo nome. Anche le madri ti saranno riconoscenti. Pure Teseo venne salvato da una nipote del Sole: Arianna, figlia di Pasife, figlia del sole e ora è una costellazione. Stupidità di Giasone: Arianna venne abbandonata.
Dal tuo aspetto sembri buona.
Medea è felice, lo guarda negli occhi, poi tira fuori il filtro dal reggiseno. Lui è molto grato, in questo momento la ama. Talora il pudore faceva abbassare gli occhi ai due. Parla Medea che dà istruzioni a Giasone. Deve fare un sacrificio a Ecate, poi allontanarsi senza voltarsi indietro. La mattina dopo deve ungersi il corpo con il filtro e cospargelo pure su lancia, scudo e spada. Sarà invulnerabile. Poi seminerai i denti di drago dai quali nasceranno i giganti: tu lancia in mezzo una pietra su cui quelli si getteranno come cani voraci e si uccideranno a vicenda.
Giasone è come un atleta drogato

Detto questo, gli prende la destra e gli chiede di ricordarla come lei lo ricorderà (cfr. Odissea, VIII, 462)
Quindi gli chiede dove andrà, e di parlarle di sua cugina, la figlia di sua zia Pasife, sorella di Eeta.
Giasone sta ricambiando quell’amore terribile e le risponde: non ti dimenticherò, la mia terra è quella dove Prometeo generò Deucalione che per primo fondò città. E’ la Tessaglia e la mia città è Iolco. Il nome di tua cugina è Arianna. Sarebbe bello se tuo padre ci fosse amico come Minosse lo fu di Teseo.
Ma Medea era già angosciata. Dice che Eeta non è come Minosse né lei come Arianna, quindi non parliamo di vincoli di ospitalità.
Tu non dimenticare mai che ti ho salvato la vita contro i miei genitori. Se ti scorderai di me, un uccello me lo riferirà e le bufere mi porteranno da te
Giasone risponde: lascia perdere uccelli e bufere. Se verrai in Grecia, sarai onorata come una dea da uomini e donne, inoltre dividerai con me il letto nuziale e niente potrà separarci
A Medea si sciolse il cuore nel petto e nello stesso tempo rabbrividì katerrivghsen (1132, katarrigevw) nel vedere oscurità davanti a sé.
Ma Era aveva deciso che Medea doveva andare in Grecia per la rovina di Pelia. La ragazza provava del resto anche gioia per la bellezza e le parole di Giasone. Poi i due si separarono. Le ancelle le si fecero incontro ma lei non le vide poiché l’anima le era volata in alto in mezzo alle nubi. Arrivata al palazzo, non sentiva nemmeno le parole della sorella Calciope. Pensava al terribile fatto cui aveva deciso di partecipare.
Giasone torna dai suoi e mostra il filtro. Due Argonauti vanno da Eeta a prendere i denti del drago ucciso da Cadmo in Tebe Ogigia quando il mostro era a guardia della fonte di Ares. Atena strappò quei denti e li donò a Eeta e a Cadmo figlio di Agenore di Tiro. Giasone compie il rito. Si apparta, lava piamente il bel corpo e si mette il mantello che gli aveva donato Issipile, la regina di Lemno, in memoria del dolce legame (1206). Poi sacrificò l’agnella e invocò Ecate-Brimò. Quindi tornò indietro. Ecate uscì dai recessi profondi per ricevere l’offerta. Il capo era cinto di serpenti intrecciati con rami di quercia, intorno a lei ululavano cani infernali ojxeivh/ uJlakh' con acuti latrati (1217).
Cfr. Eneide IV, 609 dove Didone invoca il Sole, Giunone ed  Ecate, la dea “nocturnisque Hecate triviis ululata per urbem”.

Tremavano le erbe dei campi e gridarono le Ninfe delle paludi ma Giasone, pur spaventato, non si volse.
La mattina Eeta si arma e sale sul carro portatogli da Fetonte.
Voleva assistere alla prova e con lui una folla infinita. Viene paragonato a Poseidone che si reca ai giochi dell’Istmo o a Tenaro o a Lerna o altrove. Giasone intanto unge lo scudo, la lancia e la spada. Poi unse se stesso e in lui penetrò una forza terribile, immensa, le sue braccia fremevano sprigionando vigore. In ogni muscolo gli fremeva una vita inimitabile. Viene paragonato a un cavallo che desideroso di entrare in battaglia percuote il terreno e drizza le orecchie. Sembrava anche un fulmine nella tempesta che guizza nel cielo ejk nefevwn, giù dalle nuvole (1267)
Giasone era armato e pure nudo e somigliava tanto ad Ares quanto ad Apollo. Avanzò con il solo scudo cercando i tori. Quelli uscirono da qualche grotta sotterranea spirando fuoco. Giasone li attendeva come lo scoglio di mare attende i marosi agitati dalle bufere. Cfr. Edipo a Colono

 I tori cozzarono con lo scudo, ma non lo spostarono. Eppure soffiavano come mantici. Ma il filtro della fanciulla lo proteggeva. Giasone stese i due torri afferrandoli per un corno e colpendo con un calcio gli zoccoli di bronzo. I Dioscuri gli porsero il giogo. Giasone aggiogò i tori poi riprese lo scudo e prese l’elmo pieno di denti aguzzi e la lancia con la quale percosse al fianco i due tori come fa il contadino. I tori provarono a ribellarsi sputando fuoco e con muggiti simili all’urlo dei venti, poi vennero domati. 

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