mercoledì 19 febbraio 2020

Il sapere non è sapienza. Il potere non è potenza


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Parte della conferenza che terrò a Cento sabato prossimo
 “La Mente inquieta - Un saggio sull’Umanesimo di Massimo Cacciari” con Giovanni Ghiselli. Sabato 22 febbraio ore 17,00 - Sala Conferenze presso il Cine - teatro Don Zucchini.

Oltre Euripide (Baccanti, 395), Massimo Cacciari (La mente inquieta Saggio sull’Umanesimo) Marziano Capella (De nuptiis Philologiae et Mercurii) e Platone (Alcibiade II).

Vediamo dunque il De nuptiis Philologiae et Mercurii
Filologia ha nascita terrena ma ha preso dalla madre Phronesis l’intento di salire alle stelle come riuscì a Omero e Orfeo. Filologia simbolizza l’umano capax deiQuindi ella deve rappresentare l’insieme delle arti liberali. Filologia è amore per ogni forma del logos.
Scoto legge le nozze in chiave neoplatonica e vede Mercurio come interprete della mente divina, colui che conduce al Nous.
Invece la filosofia è una “gravis insignisque femina”, dalla folta chioma, colei che intercede presso Giove perché il dio conceda agli uomini eccellenti “ascensum in supera”. Filologia dovrà sposare l’interprete che conduce a comprendere la Mente (nous). Tale comprensione sarà opus e labor di Filosofia la quale condurrà Filologia alla corte di Giove dove avverranno le nozze.
Per ascendere attraverso i circoli dei pianeti fino al soleplatonicamente chiamato “prima propago” dell’eccelsa potenza del padre inconoscibile, Filologia dovrà bere la bevanda dell’immortalità che Atanasia custodisce, prima però deve vomitare “coactissima egestione” tutto ciò di cui è piena, ossia della erudizione umana, troppo umana.
“Marziano dice questo mystice poiché fino a quando l’animo umano è gonfio della scienza terrena e ne è oppresso non può in alcun modo essere capace della vera sapienza che eleva al cielo” (Remigio di Auxerre, IX secolo)
Poi quella nausea ac vomitio si trasforma in un’abbondanza di lettere, volumi che le Arti e le Muse raccolgono. Il sapere di Filologia diventa sapienza. “passa, per così dire, da potenza ad atto soltanto allorché Filologia inizia il cammino con Filosofia in supera, soltanto nel momento in cui ella desidera ardentemente l’immortalità”. (Massimo Cacciari, La mente inquieta, Saggio sull’Umanresimo, cap. terzo Philosophica Philologia, p. 38)
Dunque Filologia corre da Filosofia omni studio affectuque, e Filosofia la affida a Mercurio perché le faccia da guida e da sposo.
Scoto commenta “Nemo intrat in caelum nisi per philosophiam”.
Filologia subisce una metamorfosi dalla facies terrestre che vomita la disordinata congerie di tecniche a colei che riceve il dono delle arti dalle Muse.
Mercurio interpreta le arti con una esegesi orientata verso la filosofia. Dal cumulo di saperi le arti si trasfigurano in Armonia. E Filologia terrestre diventa celeste. Ermete è metaxuv tra Filologia e Filosofia “dialettizza l’ordine dei grammata con quello della philìa o eros per la sapienza del Bene, che costituisce la timé di Donna filosofia”. (La mente inquieta, p. 39)

Nel Simposio platonico Socrate afferma di ripetere quanto udì da Diotima di Mantinea una donna sapiente nelle cose d'amore e in molte altre (tau'tav ge sofh; h\n kai a[lla pollav , 201 d). La sacerdotessa dunque gli insegnò che Eros è qualche cosa di intermedio (ti metaxuv, 202 a). E' gran demone, figura intermedia tra i mortali e gli dèi (Daivmwn mevga"metaxuv ejsti qeou' te kai; qnhtou' , 202d), figlio di Poros (Espediente) e della mendicante Penia (Povertà), e partecipa della natura di entrambi, delle miseria della madre e delle capacità anche seduttive del padre; inoltre è un filosofo poiché si trova a metà strada fra sapienza e ignoranza:"sofiva" te au\ kai; ajmaqiva" ejn mesw/ ejstivn" (203 d).

Aggiungo con un’associazione forse non del tutto arbitraria queste parole dell’ Alcibiade II di Platone
SW`Or´j oânÓte gœfhn kinduneÚein tÒ ge tîn ¥llwn
™pisthmîn ktÁma™£n tij ¥neu tÁj toà belt…stou ™pist»mhj
kekthmšnoj ÏÑlig£kij mn çfelenbl£ptein d t¦ plew
tÕn œconta aÙtÒ«roÙcˆ tù Ônti Ñrqîj ™fainÒmhn lšgwn;
vedi dunque, dice Socrate ad Alcibiade, quando dicevo di questo rischio: che il possesso delle altre scienze se uno non possiede la scienza di quanto è ottimo (l'idea del Bene), di rado giova, mentre per lo più danneggia chi ce l'ha, non ti sembra che io parlavo dicendo quanto è sostanzialmente corretto? 
Alcibiade dà ragione a Socrate il quale aggiunge
Ð d d¾ t¾n kaloumšnhn polumaq…an te kaˆ polutecn…an
kekthmšnoj, ÑrfanÕj d ín taÚthj tÁj ™pist»mhj, ¢gÒ -
menoj d ØpÕ mi©j ˜k£sthj tîn ¥llwn, «r' oÙcˆ tù Ônti
dika…wj pollù ceimîni cr»setai, ¤te omai ¥neu kubern»tou
diatelîn ™n pel£gei, crÒnon oÙ makrÕn b…ou qšwn; éste
sumba…nein moi doke‹ kaˆ ™ntaàqa tÕ toà poihtoàÖ lšgei
kathgorîn poÚ tinojæj ¥ra poll¦ mn ºpstato
œrgakakîj dšfhs…nºp…stato p£nta. (Alcibiade II 147b)
 e chi possiede la cosiddetta conoscenza enciclopedica e politecnica , ma sia privo di questa scienza (del Bene), e venga spinto da ciascuna delle altre, non farà uso sostanzialmente di una grande tempesta senza un nocchiero, continuando a correre sul mare, non a lungo del resto? Sicché mi sembra che anche qui capiti a proposito quello che dice il poeta criticando uno che effettivamente sapeva molte cose ma le sapeva tutte male 
Cfr. Eraclito: polumaqivh novon ouj didavskei: JHsivodon ga;r a[n ejdivdavxe kai; Puqagovrhn aujti;" te Xenofavneav te kai; JEkatai'on (fr. 82 Diano)
Si possono commentare entrambi questi testi con la sintesi di Euripide"to; sofo;n d j ouj sofiva" (Baccanti, v. 395), il sapere non è sapienza. La sofiva è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica: "la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva”[1] . Aggiungo che hJ sofiva è femminile e produttiva, creativa, to; sofovn è neutro e sterile. A questa sentenza associo una che mi sta a cuore nello stesso modo: “ Via Penteo, da’ retta a me:
non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini, Baccanti, 309 - 310. 
Sono parole di Tiresia cui associo quanto dice il nobile Otane ai suoi pari possibili successori e pretendenti al ruolo di grande re durante il dibattito costituzionale erodoteo. Otane non entrò in lizza per diventare re dicendo parole molto belle, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato.
Né io. 
giovanni ghiselli





[1] La nascita della tragedia , cap. 18

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