giovedì 6 febbraio 2020

Donne nell'epica greca. Parte 10. Elena nell’Odissea

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Seconda delle conferenze tenute nella biblioteca Pezzoli di Bologna dalle 17 alle 18.30, il 10 febbraio

Nel’Odissea l’adultera Elena ha riconquistato la sua rispettabilità, anzi la supremazia, dovuta al fatto di essere figlia di Zeus e di avere imparentato anche Menelao con il dio supremo: il re di Sparta quale gambro;" Diov"Odissea, IV, v. 569), genero di Zeus, non morirà ma verrà mandato dagli dèi nella pianura Elisia, ai confini della terra dov'è il biondo Radamanto, dove la vita per gli uomini è facilissima: non c'è neve né inverno rigido, né pioggia, ma soffi di Zefiro che spirano dall'Oceano a rinfrescare gli uomini (vv. 563 - 568).

Nel IV canto dell’Odissea Elena entra nella sala del banchetto scendendo dall'alto talamo profumato, simile ad Artemide dalla conocchia d'oro (vv.121 - 122).
La bellona è avvolta dall’aureola di quella venustà che ha sempre posseduto e mai perduto, e per giunta accresciuta di una rinnovata rispettabilità che solo lei potrà permettersi, poco più avanti, di criticare. La figlia di Zeus quindi siede sul trono, servita, riverita e fornita, da un'ancella, di una conocchia d'oro con lana violetta poggiata in un cesto a rotelle, d'argento, con i bordi rifiniti d'oro, colmo di filo ben lavorato. Poi prende a parlare: riconosce Telemaco dalla somiglianza con Odisseo[1] e critica se stessa chiamandosi kunw'pi" (v. 145), faccia di cagna, con signorile spezzatura[2], con sovrana nonchalance.
Tutto quello che fa e dice la regina è molto signorile:"Nell'Odissea Elena, tornata frattanto col primo marito a Sparta, è descritta quale prototipo della gran signora, modello di eletta eleganza e di suprema compitezza e maestà rappresentativa. E' lei a dirigere la conversazione con l'ospite, che incomincia graziosamente col rilevare la sorprendente somiglianza di famiglia, prima ancora che Telemaco le sia presentato. Ciò rivela la sua magistrale superiorità in quell'arte[3]. La rocca, senza la quale è impensabile la virtuosa massaia, che le serve le collocano dinanzi quando viene a prender posto nella sala degli uomini, è d'argento, e il fuso d'oro[4]. L'uno e l'altra, per la gran signora, non sono più che attributi decorativi[5]"[6].
Menelao conferma l'impressione della moglie sulla somiglianza di Telemaco a Odisseo specificandone gli aspetti.

Sul tema dell’antifemminismo successivo in letteratura, sentiamo intanto Cesare Pavese:"Quei filosofi che credono all'assoluto logico della verità, non hanno mai avuto a che discorrere a ferri corti con una donna".[7]

Ma torniamo alla signorilità delle donne dell’Odissea
“Quanta sicurezza nel contegno della stessa Penelope, così sola e abbandonata, di fronte allo sciame dei pretendenti che tumultuano protervi: ella infatti può sempre contare sul rispetto assoluto della sua persona e della sua dignità di donna[8].
I modi cortesi dei nobili signori con le donne del loro ceto è prodotto di un'annosa cultura e di un'alta educazione sociale. La donna è rispettata e onorata non solo quale essere socialmente utile, come nella famiglia contadina secondo l'insegnamento d'Esiodo[9], né solo quale madre della prole legittima, come nella borghesia greca posteriore, per quanto anche per i nobili, appunto, fieri del proprio albero genealogico, la donna debba avere importanza quale genitrice di un'eletta stirpe[10]. Essa è la rappresentante e la custode d'ogni elevato costume e tradizione.”[11].

Esiodo è il padre dell’antifemminismo letterario europeo.
Si pensi alla storia di Pandora, il “bel malanno”.
Questa prima donna esiodea, chiamata Pandora poiché tutti gli dèi le avevano fatto un dono, questo inganno scosceso e senza rimedio ("dovlon aijpu;n ajmhvcanonOpere , v. 83), accolto incautamente da Epimeteo invano messo in guardia da Prometeo, diffuse mali e malattie sulla terra e sul mare togliendo il coperchio all'orcio dove le sciagure erano rinchiuse, sicché ora :"pleivh me;n ga;r gai'a kakw'n, pleivh de; qavlassa", v. 101, piena è la terra di mali e pieno il mare. Nel vaso, sul quale infine Pandora ripose il coperchio per volere di Zeus, rimase solo la Speranza (Mouvnh d j aujtovqi jElpiv", v. 96).
La speranza dunque è forse un male.

La donna secondo Esiodo è il più delle volte una cosa bella e cattiva:"kalo;n kakovn "(Teogonia , 585). E' piena di grazia, ma ha una mente da cane e un carattere ingannevole (Opere e giorni, 67). Le donne partecipano solo alle opere malvagie (Teogonia, 601 sgg.), e chi sposa una donna cattiva ha un'angoscia costante.
 Dal mito di Pandora (OpereTeogonia) traspare un apprezzamento crudo e malevolo della donna. Zeus si era sdegnato poiché Prometeo l'aveva ingannato"ejxapavthse"(Opere e giorni, 47 - 48). Una volta gli uomini potevano vivere senza lavorare, ma Zeus li punì per colpa di Prometeo che rubò il fuoco per darlo ai mortali. Allora Zeus decise che agli uomini in cambio del fuoco avrebbe dato un malanno:"Toi'" d jejgw; ajnti; puro;" dwvsw kakovn", 57. Quindi Efesto fece la donna mescolando terra con acqua: con questi elementi formò un incantevole corpo di vergine.
Atena le insegnò l'arte di tessere, le diede il cinto e gli ornamenti;
le Grazie e la Persuasione le posero collane d'oro intorno al collo;
le Ore la incoronarono con i fiori di primavera;
Afrodite le versò sul capo la grazia e la passione struggente"cavrin...kai; povqon ajrgalevon (66) e gli affanni che fiaccano le membra. 
Infine Ermes infuse in lei un animo sfacciato e un costume da ladro (Opere, 67), poi menzogne, discorsi seducenti e un carattere scaltro, inoltre le diede la parola e la chiamò Pandora poiché tutti le avevano dato un dono (81).

Ricorderemo questo e il precedente assaggio in un prossimo capitolo sull’anti femminismo in letteratura. Parole scritte da maschi frustrati.

Ma torniamo a Jaeger e all’Odissea
“Questa sua dignità spirituale influisce anche sul comportamento amoroso dell'uomo. Nel primo canto dell'Odissea, che rappresenta in tutto idee morali più raffinate che le parti più antiche dell'epopea, troviamo un tratto notevole quanto alla relazione tra i due sessi. Quando Euriclea, la fida e onorata servente, scorta con la fiaccola Telemaco sino alla stanza da letto, il poeta, al modo epico, ne narra brevemente la vita. Il vecchio Laerte la comperò un giorno, quand'era una bella fanciulla, a carissimo prezzo. Per tutta la vita la tenne nella sua casa in onore pari a quello in cui era la nobile consorte, ma, per riguardo a questa, senza mai divider con essa il letto" [12]. L’avevamo già notato.

Eva Cantarella non condivide questa visione e riporta dei versi che contraddicono quelli citati sopra.
La figlia di Raffaele Cantarella, accademico dei Lincei, scrive
“La donna omerica non è solo subalterna, ma è anche vittima di un’ideologia inesorabilmente misogina. Sotto il paravento di un affetto paternalistico, peraltro assai fragile, l’eroe omerico diffida della donna, foss’anche la più devota e sottomessa. Ulisse, tornato a Itaca, aspetta di aver ucciso i Proci, prima di rivelarsi alla moglie. Egli si rivela a Telemaco, a Euriclea, a Eumeo: a Penelope, invece, solo dopo che la vendetta è stata compiuta. E non a caso
2…con la donna non essere mai dolce,
non confidare ogni parola che sai,
ma di’ una cosa, e lascia un’altra nascosta”
gli aveva consigliato l’ombra di Agamennone nell’Ade[13].
Agamennone (ucciso dalla moglie Clitennestra), aveva, questo è vero, i suoi buoni motivi per pensarla così. Ma dalla sua esperienza personale aveva tratto una generalizzazione:
Altro ti voglio dire e tu mettilo in cuore:
nascosta, non palese, alla terra dei padri
fa approdare la nave: è un essere infido la donna[14].
Neanche Penelope, dunque (che, pure, Agamennone loda per la sua fedeltà), è al riparo dal sospetto”[15].

Vediamo meglio questa storia della misoginia di Agamennone.
Nella Nevkuia, il canto dei morti dell’Odissea (XI), appare a Ulisse la yuchv di Agamennone che è stato scannato come un bue dalla moglie e dall’amante di lei, Egisto.
 L’ex capo degli Achei combattenti a Troia dunque dice a Odisseo: “oujk aijnovteron kai; kuvnteron a[llo gunaikov~ “ (Odissea, XI, 427), non c’è altro elemento più atroce e cane di una donna che tali orrori si getti nell’animo. Quel perfido mostro, Clitennestra, ha meditato un misfatto sconcio (ejmhvsato e[rgon ajeikev~, v. 429) e ha coperto di infamia tutte le donne future.
A dirla tutta, Agamennone tornò da Troia con Cassandra, la bellissima e folle figlia di Priamo.
Euripide, nell’Ifigenia in Aulide, userà questo e altri argomenti per giustificare e rivalutare Clitennestra.
Ma qualche giustificazione dell’odio di Clitennestra possiamo indicarla già ora: Agamennone nell' Iliade , afferma di preferire Criseide alla moglie in quanto la schiava - amante non era inferiore a Clitennestra " né per il corpo né per la figura né per la mente né per le opere" (I, 115).
Leggendo l'Agamennone di Eschilo anzi. pare che sia stato questo amore ancillare troppo elogiato a mettere in moto il risentimento di Clitennestra che dopo l'assassinio dello sposo grida: "kei'tai gunaiko;" th'sde lumanthvrio", - Crushivdwn meivligma tw'n uJp j jIlivw/"(vv. 1438 - 1439), giace a terra il distruttore di questa donna,/la delizia delle Criseidi sotto Ilio.
Ma torniamo al canto dei morti dell’Odissea e concludiamo l’argomento “Tu, continua Agamennone, non essere mite con la donna, e non confidarti: fai approdare la nave di nascosto: “ejpei; oujkevti pista; gunaixivn” (v. 456), con le donne non ci sono patti fidati.
La Cantarella dunque come altre femministe prende un caso e lo generalizza, lo estende a tutti i mortali. Di recente Concita Di Gregorio commentando alcuni episodi di bestialità maschile ha scritto che tutti i maschi sono, almeno potenzialmente, degli stupratori. Lo nego con forza e considero razzista questo generalizzare su qualsiasi gruppo.
Per quanto riguarda la diffidenza di Odisseo nei confronti di Penelope, devo chiarire che ancora maggiore è quella di Penelope verso Odisseo: lo riconosce ammettendo che si tratta del marito solo dopo averlo messo alla prova e avere ricevito il “segno certo” (23, 225) chiedendo a Euriclea di spostare il letto inamovibile di cui solo Odisseo conosceva la struttura piantata nel suolo (23, 277 ss.). Ma questo lo vedremo meglio più avanti.




[1] ui|ї e[oike IV, 143., sembra figlio.
[2] Cfr. Anna Karenina, altra adultera.
[3]d 120 sgg. Cfr. specialmente le sue parole a vv. 138 ss.
[4] Nemmeno fosse il fuso di Ananche, l’asse dell’Universo.
[5]IV, 131.
[6]Jaeger, Paideia 1, p. 62.
[7]Il mestiere di vivere , 19 febbraio 1938.
[8] I, 330 ss Quando scende le scale e appare nel megaron tra due ancelle, chiede a Femio di non cantare il novston degli Achei poiché la cosa la fa soffrire.
Invero la zittisce Telemaco cui Omero attribuisce la sua poetica: il canto deve essere il più nuovo possibile e suscitare diletto. Nel XVI canto, Penelope si rivolge ai proci chiedendo loro di non fare del male a Telemaco, ed Eurimaco le risponde con rispetto, chiamandola perivfron Phnelovpeia (v. 435), Penelope saggia.
Nel XVIII canto, come Penelope appare, i proci provano desiderio d’amore per lei che era stata resa più bella da Atena (più bianca dell’avorio tagliato, leukotevrhn d’a[ra min qh`ke pristou` ejlevfanto~, v. 196.
[9]La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del contadino in Esiodo, Opp. 405 ( citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo nella sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.; Theog. 590 - 612). 
[10]Il "medio evo" greco, mostra, più chiaramente che altrove, il proprio interesse a questo lato del problema nella abbondante produzione poetica in forma di catalogo dedicata alle genealogie eroiche delle antiche famiglie, e più di tutto nei cataloghi di eroine famose, da cui quelle derivavano, del tipo delle jHoi'ai, giunteci col nome di Esiodo.
[11]Jaeger, Paideia 1, pp. 63 - 64.
[12]Jaeger, Paideia 1, pp. 63 - 64.
[13] Od., 11, vv. 441 - 443.
[14] Od., 11, vv. 454 - 456.
[15] Eva Cantarella, L’ambiguo malanno, p. 46.

1 commento:

  1. Peccato che non trasmettiate in streaming per chi è lontano, sarebbe davvero interessante

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