mercoledì 21 gennaio 2015

La storia di Didone IX parte

Pieter Paul Rubens, Morte di Didone

Didone fa comunque un'ultima prova: "ire iterum in lacrimas, iterum temptare precando/cogitur et supplex animos submittere amori,/ ne quid inexpertum frustra moritura relinquat " (vv. 413 - 415), è costretta ad arrivare di nuovo alle lacrime, a tentare di nuovo pregando e a sottomettere supplice l'orgoglio all'amore, per non lasciare nulla di intentato, destinata com'è a morire invano. - cogitur: riprende, con diatesi passiva, il cogis del v. 412 per significare l'ineluttabilità della coazione causata dalla potenza di Eros. Quello dell'amore è un piano inclinato e scivoloso che conduce inevitabilmente alla rovina (cfr. infelix, pesti devota futurae già nel I canto, v. 712). Dunque la regina manda la sorella Anna da Enea a chiedere l'ultima grazia (extremam. . . veniam , v. 435) di un rinvio: "tempus inane peto, requiem spatiumque furori,/dum mea me victam doceat fortuna dolere " (vv. 433 - 434), un tempo di intervallo chiedo, una tregua e un respiro al mio furore, finché la mia sorte insegni a me vinta a soffrire. L'intervallo si deve concedere anche ai ragazzini nelle scuole[1] ma Enea, come un vero "macho fallocratico"[2], o forse piuttosto fatocratico rimane inesorabile: "fata obstant ", v. 440, i destini si oppongono, e la dura volontà dell'eroe si conforma alla necessità che ha le mani d'acciaio.
La sua mente rimane immota come le radici di una quercia scossa dal vento.

Didone soffre, ha visioni e ode voci che accrescono il senso di colpa, quindi decide che si è meritata la morte.
"Agit ipse furentem/in somnis ferus Aeneas; semperque relinqui/sola sibi, semper longam incomitata videtur/ire viam et Tyrios deserta quaerere terra: /Eumenidum veluti demens videt agmina Pentheus/et solem geminum et duplicis se ostendere Thebas,/aut Agamemnonius scaenis agitatus Orestes/armatam facibus matrem et serpentibus atris/cum fugit ultricesque sedent in limine Dirae " (vv. 465 - 473), lo stesso spietato Enea la incalza nei sogni rendendola pazza: e sempre le sembra di essere lasciata sola, sempre di andare senza compagnia per una lunga strada e di cercare i Tirii in una terra desolata: come Penteo pazzo vede schiere di Eumenidi e il sole doppio e doppia mostrarsi Tebe, o quando Oreste figlio di Agamennone incalzato sulle scene fugge la madre armata di fiaccole e di neri serpenti e le Furie vendicatrici seggono sulla soglia. - ferus: solo nella situazione onirica, causata oltretutto dal risentimento esasperato della donna, Enea viene qualificato con l'aggettivo che gli pertiene e che lo caratterizza propriamente. - semper…sola sibi: allitterazione insistente che sottolinea la solitudine. - desertā…terrā : la desolazione della donna ricade sulla terra di cui è regina per il principio della responsabilità collettiva. E' lo schema dell' Edipo re di Sofocle. - Eumenidum: sono le Furie che perseguitano Oreste divenute "benevole" dopo avere ricevuto un culto ad Atene per intercessione della dea eponima della città[3]. Qui, forse sulla scorta di Pacuvio o di Accio, vengono identificate con le Baccanti che combattono Penteo, il re di Tebe ostile alla religione dionisiaca. - solem geminum…duplicis (=duplices)…Thebas : questa immagine invece deriva proprio dalle Baccanti di Euripide quando Penteo farneticante dice: "kai; mh;n oJra'n moi duvo me;n hJlivou" dokw' - dissa;" de; Qhvba" kai; povvlism' eJptavstomon" (vv. 918 - 919), veramente mi sembra di vedere due soli e doppia anche Tebe la città dalle sette porte. La pazzia indotta dalla religione è simile a quella provocata dall'amore. - Orestes : il figlio di Agamennone che per ordine di Apollo ha ucciso la madre e deve subirne le Furie vendicatrici. - sedent: l'immagine delle Furie in sosta sembra dipendere dalle Eumenidi di Eschilo: "provsqen de; tajndro;" tou'de qaumasto;" lovco" - eu{dei gunaikw'n ejn qrovnoisin h{meno" " (vv. 46 - 47), davanti a quest'uomo una strana torma di donne dorme seduta nei troni. Verranno svegliate poco dopo dall'ombra di Clitennestra.

Didone quindi decide di morire, ma parla con la triste sorella nascondendo con l'aspetto il suo proposito: "Ergo ubi concepit furias evicta dolore/decrevitque mori, tempus secum ipsa modumque/exigit et maestam dictis adgressa sororem/consilium voltu tegit ac spem fronte serenat" (vv. 474 - 477), quindi, come sopraffatta dal dolore, ebbe accolto le furie e decise di morire, stabilisce da sola tra sé il tempo e il modo e, rivolgendosi con queste parole alla triste sorella, copre il proposito con il volto e fa brillare la speranza sulla fronte. - concepit furias: le furie sono dunque interiorizzate e diventano parti dell'anima. Tali le Erinni nell'Oreste di Euripide: quando Menelao, vedendo il nipote tormentato, gli domanda: "tiv" s j ajpovllusin novso" ; " quale malattia ti distrugge?, Oreste risponde : " hJ suvnesi", o{ti suvnoida deivvn j eijrgasmevno" " , l'intelligenza poiché ho coscienza di avere compiuto atti orrendi ( vv. 395 - 396).
Didone dunque finge di preparare un rito magico per vincere il tormento amoroso: lo celebrerà una sacerdotessa e maga Massila. Anna deve solo far costruire una pira al centro della reggia per poi bruciarvi sopra tutti i ricordi di quell'uomo maledetto: "Tu secreta pyram tecto interiore sub auras/erige et arma viri, thalamo quae fixa reliquit/impius, exuviasque omnis lectumque iugalem,/quo perii, superimponas: abolere nefandi/cuncta viri monumenta iuvat monstratque sacerdos " (vv. 494 - 498), tu di nascosto innalza una pira nel cortile interno all'aperto e mettici sopra le armi dell'uomo, che l'empio ha lasciato appese nella camera, e le spoglie tutte e il letto nuziale, dove ho trovato la mia rovina: cancellare tutti i ricordi di quell'uomo infame è mio desiderio e me lo suggerisce la sacerdotessa. - secreta: aggettivo con valore predicativo in luogo dell'avverbio. - thalamo…lectumque iugale : sono il luogo e il mobile più importanti della reggia, e anche della casa per qualsiasi donna, e l'amante infedele li ha profanati. - abolere…cuncta viri monumenta iuvat : è quanto consiglia anche Ovidio, certamente con meno angoscia, nei Remedia amoris: : "Si potes et ceras remove; quid imagine muta/carperis? hoc periit Laudamia modo" (vv. 723 - 724), se puoi allontana anche le immagini; perché ti lasci afferrare da un muto ritratto? in questo modo morì Laodamia. Questa donna, rimasta vedova del marito Protesilao , primo caduto tra i Greci sbarcati a Troia, cercò di consolarsi della perdita con un manichino di cera che abbracciava di nascosto. Quando il padre se ne accorse e gettò quel funereo surrogato nel fuoco, la donna lo seguì. Un altro mito di amore e morte. Se ne trova un'eco nell'Alcesti di Euripide quando Admeto promette alla sposa morente che non prenderà in casa un'altra femmina umana in carne ed ossa ma si farà costruire una bambola simile a lei e la abbraccerà nel loro letto invocando il suo nome: "yucra;n mevn, oi\mai, tevryin" (v. 353), gelida gioia, credo.

Anna non immagina che la sorella le celi la morte: "Ergo iussa parat " (v. 503), perciò esegue gli ordini. Quindi la regina e la maga compiono il rito nero: "At regina, pyra penetrali in sede sub auras/erecta ingenti taedis atque ilice secta,/intenditque locum sertis et fronde coronat/funerea; super exuvias ensemque relictum/effigiemque toro locat, haut ignara futuri. /Stant arae circum, et crinis effusa sacerdos/ter centum tonat ore deos, Erebumque Chaosque/tergeminamque Hecaten, tria virginis ora Dianae. /Sparserat et latices simulatos fontis Averni,/falcibus et messae ad lunam quaeruntur aënis/pubentes herbae nigri cum lacte veneni;/quaeritur et nascentis equi de fronte revolsus/et matri praereptus amor. /Ipsa molam: manibusque piis altaria iuxta/unum exuta pedem vinclis, in veste recincta,/testatur moritura deos et conscia fati/sidera; tum, si quod non aequo foedere amantis/curae numen habet iustumque memorque, precatur" (vv. 504 - 521), ma la regina, dopo che l'enorme pira fu drizzata nel luogo più interno allo scoperto con rami di pino e leccio tagliato, tappezza il luogo di ghirlande e lo incorona di fogliame funebre; sopra mette le spoglie e la spada lasciata, e sul letto l'immagine, non ignara del futuro. Attorno stanno gli altari, e la sacerdotessa con i capelli sciolti chiama con voce tonante trecento dèi, l'Erebo e il Caos e la triplice Ecate, i tre volti della vergine Diana. Aveva sparso anche liquido simulato della fonte di Averno, e si cercano, mietute con falci di bronzo al chiaro di luna, erbe rigogliose con succo di nero veleno; si cerca anche l'escrescenza amorosa strappata alla fronte di un puledro neonato e sottratto alla madre. Ella stessa sparge farina salata, e vicino agli altari, con le mani pie, con un piede sciolto dal calzare, con la veste discinta, vicina a morire chiama a testimoni gli dèi e le stelle consapevoli del suo destino; poi, se qualche divinità giusta e memore ha a cuore gli amanti non contraccambiati, la prega. - pyra…erecta. . ingenti: ablativo assoluto. Il sostantivo è ovviamente imparentato con il greco pu'r (fuoco da cui purav, pira, rogo). L'incendio mortale richiama quello amoroso. - haut ignara futuri: cfr. non ignara mali di I 630. La pietas umana della regina non è stata ricompensata dall'uomo né dagli dèi. Le sue fatiche umanamente assunte sono andate perdute, come quelle di Prospero con Calibano[4]. - crinis=crines: accusativo di relazione. I capelli scomposti sono tipici delle Baccanti[5] e delle profetesse invasate: nel VI canto la Sibilla si trasfigura per la vicinanza del dio: "non voltus, non color unus,/non comptae mansere comae" (vv. 47 - 48), non il volto, non il colore rimase lo stesso, non pettinate le chiome. - Erebum Chaosque: nella Teogonia di Esiodo [Erebo" è figlio del Caos e della nera Notte. Vengono invocate le divinità infernali della mitologia inferiore, i signori dell'orrendo guazzabuglio primordiale. - tergeminamque Hecaten: è la divinità infernale che sembra essere la principale vindice delle donne abbandonate. Simeta l'amante che ne Le incantatrici di Teocrito vuole avvincere l'uomo in fuga (II, v. 3), il bell'atleta Delfi, con filtri (favrmaka) degni di Circe (vv. 15 - 16), di Medea, e della maga Perimede, nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate tremenda, Ecate sotterranea che atterrisce anche i cani (v. 12). Hecate triformis[6] torna nella preghiera nera della Medea di Seneca (v. 7). Anche questa è indirizzata "voce non fausta " (v. 12), con parole di maledizione, alle tenebre e ai loro prìncipi: " noctis aeternae chaos, aversa superis regna, manesque impios, dominumque regni tristis et dominam fide meliore raptam, voce non fausta precor " (vv. 9 - 12), caos della notte eterna, regni opposti al cielo, ombre empie, signore del regno cupo e signora rapita con miglior fede[7], con parole non propizie vi prego. - " Un po’ tutta Didone è una filigrana di Medea"[8]. La donna abbandonata virgiliana si trova tra quella di Euripide e quella di Seneca. Però Giasone per il tragediografo greco è un miserabile, mentre Virgilio lascia a Enea una reputazione di pio, irrisa sì da Ovidio[9] con motivi seri, eppure quasi universalmente accordata al figlio di Venere. - tria…Dianae: apposizione esplicativa di Hecaten. - Sparserat et : anastrofe. Il soggetto è sacerdos. - Averni : il lago di Averno, vicino a Cuma, era ritenuto uno degli ingressi al mondo infernale. Nel VI canto la Sibilla cumana ammonisce Enea: "facilis descensus Averno;/nocte atque dies patet atri ianua Ditis;/sed revocare gradum superasque evadere ad auras,/hoc opus, hic labor est" (vv. 126 - 129), facile è la discesa all'inferno; di notte e nei giorni è aperta la porta del nero Dite; ma risalire la china e riuscire nell'aria del cielo, questa è l'impresa, questa è la fatica. - messae: participio passato da meto. - ad lunam: la luna costituisce anche uno degli aspetti di Ecate. Abbiamo già notato la sua presenza piuttosto maligna nel preludio della storia d'amore e di morte di Medea (Argonautiche, IV, v. 64). - pubentes herbae: queste erbe hanno qualche cosa di erotico, di sessuale. Nei sogni secondo Freud: " per nascondere immagini sessuali viene scelta volentieri la cerchia di rappresentazione della vita delle piante. . . il "giardino" della fanciulla nel Cantico dei cantici "[10]
. lacte: da lac, nel senso di succo. "La radice deriva dall'indoeuropeo *glct - che ha dato come esito in greco galakt - . in latino glact - >lact - "[11]. - amor: metonimia per quod amorem conciliat. Virgilio allude alla credenza dell'ippomane, un'escrescenza carnosa sulla fronte dei puledri che avrebbe avuto proprietà miracolose nei confronti dell'amore. Bisognava sottrarlo subito alla cavalla madre che ne era ghiotta. - molam: retto ancora da sparserat del v. 312. - unumpedem: accusativo di relazione. Il piede sciolto è simbolico dello scioglimento del vincolo amoroso. Un solo piede deve essere slegato secondo Servio, poiché Didone doveva liberarsi, Enea no. - conscia fati sidera: le stelle sono al corrente del destino di Didone non solo perché dall'alto vedono e odono tutto, al pari del sole, ma anche perché la donna si è confidata con loro. Così il conscius grabatulus il lettuccio consapevole nelle Metamorfosi di Apuleio (I, 16), così il "conscio letto" dov'è dolorosamete assiso "alla fioca lucerna poetando" Leopardi[12] - non aequo foedere: come quello di Catullo per Lesbia che non rispetta aeternum hoc sanctae foedus amicitiae (109, 6) il patto eterno di amicizia giurata insieme .

giovanni ghiselli

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[1] Danda est tamen omnibus aliqua remissio raccomanda Quintiliano nella sua Institutio oratoria , I, 8.
[2] Cfr. R. Alonge, Epopea borghese nel teatro di Ibsen, p. 46 dove si parla di Osvald di Spettri.
[3] Cfr. Eschilo, Eumenidi, vv. 824 sgg.
[4] Cfr. Shakespeare, La tempesta, 4, 1.
[5] Cfr. Euripide, Baccanti : "truferovn te plovkamon eij" aijqevra rJivptwn"(v. 150) scagliando chioma nell'aria i riccioli molli. Se ne vede una traccia in un quadro di Picasso del 1922: Deux femmes courant sur la plage .
[6] "Divinità primitiva e trina (triformis ), essendo associata a divinità appartenenti ai tre regni: la luna (il cielo), Diana (la terra) e Proserpina (gli inferi)". (G. G. Biondi, (introduzione e note di) Seneca Medea Fedra, p. 91, n. 5. )
[7]Proserpina che, pur rapita dal re delle tenebre, Plutone, ha ricevuto un trattamento migliore di Medea da Giasone. Come dire che l'inferno peggiore è questo qui sulla terra. Si noti come nei pochi versi citati la parola fides compaia due volte.
[8] G. Biondi (introduzione e note di) Seneca Medea Fedra, p. 91 n. 5.
[9] Ars III, 39 - 40.
[10] L'interpretazione dei sogni , p. 321.
[11] G. Ugolini, Lexis, p. 148.
[12] Le ricordanze, vv. 114 - 115. 

1 commento:

  1. Non posso fare a meno di pensare al bellissimo pezzo che hai dedicato al letto di Penelope e Ulisse. Giovanna Tocco

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