Anonimo, Natura morta con cipolle |
Cibi afrodisiaci
Nell'Ars amatoria Ovidio
consiglia la cipolla e altri cibi afrodisiaci a chi non deve risparmiare i
lombi: "bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur,
sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces" ( II,
422-424), si prenda la cipolla, e la rucola eccitante che viene dall'orto, le
uova e si prenda il miele dell'Imetto e i pinoli che produce il pino dalle
foglie aghiformi.
Ma la ragazza pensava
a un altro. Allora Eschine le dà un pugno in faccia e le grida: vattene subito,
ejmo;n kakovn, ou[ toi ajrevskw;, non
ti piaccio? Per un altro scorrono le tue lacrime grosse come mele. Lei scappò
via più veloce della rondine dopo avere dato l’imbeccata ai piccoli. Ora è
disponibile per quell’altro, Lupo: Luvko~ nu'n pavnta, ora Lupo è tutto. Sono come il topo finito nella
pece mu'~ geuvmeqa pivssa~ (51), ho assaggiato la pece. I proverbi, come nei
romanzi di Verga, sono un condensato di saggezza popolare.
Per salvarsi deve andare a fare il mercenario sotto
Tolemeo Filadelfo (285-246) che è generoso, ejrwtikov~, incline all’amore, dolce, intelligente, non nega
niente a chi chiede ma non bisogna chiedere sempre[1].
Dunque Eschine deve partire poiché noi dalle tempie cominciamo a invecchiare,
poi il tempo ci imbianca il mento (leukaivnwn oJ crovno~). Dobbiamo agire finché il ginocchio è vigoroso.
Il tempo infatti è il cormorano che ci divora (Shakespeare,
Love’s labour’s lost, I, 1).
Il XV è il mimo cittadino le Siracusane: Gorgò e Prassinoe in casa si scambiano futili lagnanze
e si agghindano per andare a Palazzo, al rito in onore di Adone organizzato da
Arsinoe. L'encomio viene fatto dalle due: c'è l'enfasi del provinciale
esterrefatto dalla capitale grandiosa.
La
città è affollata per la festa di Adone (il carme si chiama anche Adoniazuse). Prassinoe sta in periferia
e va a trovare Gorgò che abita in centro. Quel matto del marito ha preso un
buco non una casa ai confini del mondo (ejp j e[scata ga'~) perché le due amiche non possano
incontrarsi. Gorgò la sgrida perché parla male del marito Dinone davanti al
bambino. Poi gli fa: qavrsei Zwpurivwn, glukero;n tevko~: ouj levgei ajpfuvn, non
parla del babbo. Quindi gli fa: kalo;~ ajpfuv~.
Prassinoa però dice che Dinone è un bestione
che non capisce. Anche Gorgò parla male del marito. Voglio andare al palazzo di
Tolemeo Filadelfo: ejn ojlbivw/ o[lbia paventa, nella casa del ricco tutto è
ricco.
Prassinoa non vuole portare il bambino: mormwv daknei, i[ppo~, gli
dice, la strega morde, c’è un cavallo.
Escono
senza bambini C’è tanta gente muvrmake~ ajnavriqmoi kai; a[metroi,
formiche senza numero e senza misura. Prassinoa nota che grazie al Filadelfo: sono
finite le molestie: non ci sono furfanti che ti danneggiano rasentandoti mentre
cammini.
Comunque
c’è trambusto e confusione con i cavalli della parata.
Incontrano
una vecchia che fa la spiritosa. Un uomo che fa una battuta (le donne sanno
tutto). La folla è fastidiosa: si spingono come porci (wjqeu'nq j w{sper
u{e~). Ma un uomo gentile le aiuta a entrare nel palazzo
dove ammirano i drappi variopinti belli e fini. L’uomo è ingegnoso: sofovn ti crh'm j
a[nqrwpo~.
Un altro uomo però le zittisce e ne biasima la
pronunzia dorica, aperta, larga plateiavsdoisai (plateiavzw, v. 88). Ma Prassinoa dice che loro sono
Siracusane, di origine corinzia, come Bellerofonte,e parlano la lingua del
Peloponneso. Tuttora a Siracusa plateiavzousi.
Poi una cantante canta il lamento di Adone. E’ un
diciottenne il cui bacio non punge (ouj kentei' to; fivlhm
j ) sul labbro ha ancora la bionda peluria. E’ amato
sulla terra e nell’Acheronte. Finito il canto, le due donne devono tornare
perché Dioclide, il marito di Gorgò è o[xo~ a[pan, tutto aceto. Quando ha fame è inavvicinabile.
Ma
è la poesia bucolica che ha procurato la fama a Teocrito.
Nel
VII idillio Simichida e Licida il capraio vanno insieme alla festa rurale delle
Talisie e si propongono di cantare
insieme i canti dei pastori:"boukoliasdwvmesqa"(35-36).
Licida
propone una canzoncina (meluvdrion, 50) che rivela l'aspirazione a un carme
di dimensioni modeste e un'affinità con la poetica callimachea. Il canto di
Licida comincia con un protreptikovn per l'amato (canto esortativo) e
continua con una serenata d'amore omosessuale.
Le
Talisie sono la festa della mietitura.
L’io
narrante è Simichida, alter ego di Teocrito. Incontra il capraio Licìda che
aveva un gevlw~ un
sorriso sulle labbra. Gli chiede dove vada in quell’ora meridiana aJnika dh; kai; sau'ro~
ejn aiJmasiai`si kaqeuvdei , la lucertola dorme nei muriccioli di
pietra.
Virgilio
riprende il motivo nella Bucolica II dove
il pastore Coridone ama il bell'Alessi. Formosum
pastor Corydon ardebat Alexin , 1.
Nunc
viridīs etiam occultant spineta lacertos (9) ora i rovi spinosi nascondono
anche i verdi ramarri. Mori me denique
coges (7).
Simichida-Teocrito
dice che può reggere il confronto con Licìda che pure è il miglior suonatore di
zampogna tra pastori e mietitori.
Anche
io sono una sonora bocca delle Muse (kai; ga;r ejgw; Moi'san kapuro;n stovma, v. 37).
Mi
considerano ottimo cantore, ma se contendo con i poeti Asclepiade e Filita,
sono come la rana con i grilli. Ma mentre Simichida diceva così, rideva.
Allora
Licida disse: ti do il mio bastone poiché sei un virgulto di Zeus tutto
forgiato sulla verità. Io odio l’architetto che vuole costruire una casa alta
come l’Oromedonte e i cucùli delle Muse che fanno cucù (kokkuvzonte~, 48)
affannandosi invano.
Licida
ha composto meluvdrion, una
canzoncina, ejn
o[rei,
sul monte. E canta.
Licida
è cotto ojpteuvmenon dal
fuoco di Afrodite e brucia di amore per Ageanatte
Poi
canta Simichida
Ha
fatto starnutire gli Amori. Arato arde fin nelle ossa per amore di un ragazzo.
Il poeta chiede a Pan di compiacere Arato. Se Pan non lo farà, sia maledetto.
Dunque
gli Amori simili a pomi rosseggianti devono colpire con le frecce l’amabile
Filino che non ha pietà di Arato. Filino è bello ma è già più maturo di un pomo
e le donne dicono: ahimé, Filino, il tuo bel fiore cade (to; toi kalo;n a[nqo~
ajporrei').
Smettiamo di stare davanti alla porta chiusa di Filino. A noi stia a cuore la
tranquillità (ajsuciva). E’
l’ideale del saggio teorizzato dai filosofi ellenistici portato nel campo
dell’amore. Finito il canto, Simichida-Teocrito riceve l’investitura: Licida
gli diede lagwbovlon il
bastone per colpire le lepri, come dono ospitale da parte delle Muse. Poi
Simichida va alla fattoria di Frasidamo dove si sdraia con altri.
Sul
capo stormivano ai[geiroi pioppi
neri e ptelevai, olmi.
Sui rami ombrosi le cicale bruciate dal sole frinivano e la rana gracidava da
lontano (thlovqen) nelle
fitte spine dei rovi ( 139-140)
Cfr.
Leopardi: “allora-che, tacito, seduto in verde zolla,-delle sere io solea
passar gran parte-mirando il cielo, ed ascoltando il canto-della rana rimota
alla campagna!”[2].
Cfr.
anche D’Annunzio: “La figlia dell’aria[3] - è
muta; ma la figlia - del limo lontana, - la rana - canta nell’ombra più fonda - chi sa
dove, chi sa dove!”[4].
Cantavano
allodole e cardellini e[stene trugwvn, gemeva la tortora, volteggiavano intorno
alle fonti le bionde api.
Dappertutto
un profumo di pingue raccolto.
o[cnai, pere,
ai nostri piedi, ai nostri fianchi ma'la, le mele rotolavano in gran quantità e
rami carichi di susine si piegavano fino a terra.
Cfr.
Odissea VII, 120-121: o[gcnh ejp j o[gcnh/
ghravskei, mh'lon d j ejpi; mhvlw/- aujta;r ejpi; stafulh'/ stafulhv, su'kon d j
ejpi; suvkw/”.
Grappoli su grappoli
Cfr.
Tasso, Gerusalemme liberata, XVI, 11:
“Nel tronco istesso e tra l’istessa foglia-sovra il nascente fico invecchia il
fico”. E’ il giardino di Armida.
Poi
bevvero il vino. Simichida chiede alle ninfe Castalidi (della Castalia di
Delfi) che abitano i gioghi del Parnaso se quel vino è lo stesso che Eracle
offrì a Chirone nell’antro roccioso di Folo. Oppure quello che fece danzare
Polifemo, il pastore dell’Anàpo, un fiume della Sicilia, presso Siracusa cfr.
Tucidide VI, 96, 3.
E’ il vino ismarico, ricordato da Archiloco, quelli che Màrone di
Ismaro, sacerdote di Apollo, donò a Odisseo (Odissea, IX, 40)
CONTINUA
giovanna tocco
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