NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 30 giugno 2017

Teocrito. Parte IV

Anonimo, Natura morta con cipolle

Cibi afrodisiaci

Nell'Ars amatoria Ovidio consiglia la cipolla e altri cibi afrodisiaci a chi non deve risparmiare i lombi: "bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces" ( II, 422-424), si prenda la cipolla, e la rucola eccitante che viene dall'orto, le uova e si prenda il miele dell'Imetto e i pinoli che produce il pino dalle foglie aghiformi.

Ma la ragazza pensava a un altro. Allora Eschine le dà un pugno in faccia e le grida: vattene subito, ejmo;n kakovn, ou[ toi ajrevskw;, non ti piaccio? Per un altro scorrono le tue lacrime grosse come mele. Lei scappò via più veloce della rondine dopo avere dato l’imbeccata ai piccoli. Ora è disponibile per quell’altro, Lupo: Luvko~ nu'n pavnta, ora Lupo è tutto. Sono come il topo finito nella pece mu'~ geuvmeqa pivssa~ (51), ho assaggiato la pece. I proverbi, come nei romanzi di Verga, sono un condensato di saggezza popolare.
Per salvarsi deve andare a fare il mercenario sotto Tolemeo Filadelfo (285-246) che è generoso, ejrwtikov~, incline all’amore, dolce, intelligente, non nega niente a chi chiede ma non bisogna chiedere sempre[1]. Dunque Eschine deve partire poiché noi dalle tempie cominciamo a invecchiare, poi il tempo ci imbianca il mento (leukaivnwn oJ crovno~). Dobbiamo agire finché il ginocchio è vigoroso.
Il tempo infatti è il cormorano che ci divora (Shakespeare, Love’s labour’s lost, I, 1).

Il XV è il mimo cittadino le Siracusane: Gorgò e Prassinoe in casa si scambiano futili lagnanze e si agghindano per andare a Palazzo, al rito in onore di Adone organizzato da Arsinoe. L'encomio viene fatto dalle due: c'è l'enfasi del provinciale esterrefatto dalla capitale grandiosa.
La città è affollata per la festa di Adone (il carme si chiama anche Adoniazuse). Prassinoe sta in periferia e va a trovare Gorgò che abita in centro. Quel matto del marito ha preso un buco non una casa ai confini del mondo (ejp j e[scata ga'~) perché le due amiche non possano incontrarsi. Gorgò la sgrida perché parla male del marito Dinone davanti al bambino. Poi gli fa: qavrsei Zwpurivwn, glukero;n tevko~: ouj levgei ajpfuvn, non parla del babbo. Quindi gli fa: kalo;~ ajpfuv~.
 Prassinoa però dice che Dinone è un bestione che non capisce. Anche Gorgò parla male del marito. Voglio andare al palazzo di Tolemeo Filadelfo: ejn ojlbivw/ o[lbia paventa, nella casa del ricco tutto è ricco.
 Prassinoa non vuole portare il bambino: mormwv daknei, i[ppo~, gli dice, la strega morde, c’è un cavallo.
Escono senza bambini C’è tanta gente muvrmake~ ajnavriqmoi kai; a[metroi, formiche senza numero e senza misura. Prassinoa nota che grazie al Filadelfo: sono finite le molestie: non ci sono furfanti che ti danneggiano rasentandoti mentre cammini.
Comunque c’è trambusto e confusione con i cavalli della parata.
Incontrano una vecchia che fa la spiritosa. Un uomo che fa una battuta (le donne sanno tutto). La folla è fastidiosa: si spingono come porci (wjqeu'nq j w{sper u{e~). Ma un uomo gentile le aiuta a entrare nel palazzo dove ammirano i drappi variopinti belli e fini. L’uomo è ingegnoso: sofovn ti crh'm j a[nqrwpo~.
Un altro uomo però le zittisce e ne biasima la pronunzia dorica, aperta, larga plateiavsdoisai (plateiavzw, v. 88). Ma Prassinoa dice che loro sono Siracusane, di origine corinzia, come Bellerofonte,e parlano la lingua del Peloponneso. Tuttora a Siracusa plateiavzousi.
Poi una cantante canta il lamento di Adone. E’ un diciottenne il cui bacio non punge (ouj kentei' to; fivlhm j ) sul labbro ha ancora la bionda peluria. E’ amato sulla terra e nell’Acheronte. Finito il canto, le due donne devono tornare perché Dioclide, il marito di Gorgò è o[xo~ a[pan, tutto aceto. Quando ha fame è inavvicinabile.

Ma è la poesia bucolica che ha procurato la fama a Teocrito.
Nel VII idillio Simichida e Licida il capraio vanno insieme alla festa rurale delle Talisie e si propongono di cantare insieme i canti dei pastori:"boukoliasdwvmesqa"(35-36).
Licida propone una canzoncina (meluvdrion, 50) che rivela l'aspirazione a un carme di dimensioni modeste e un'affinità con la poetica callimachea. Il canto di Licida comincia con un protreptikovn per l'amato (canto esortativo) e continua con una serenata d'amore omosessuale.
Le Talisie sono la festa della mietitura.
L’io narrante è Simichida, alter ego di Teocrito. Incontra il capraio Licìda che aveva un gevlw~ un sorriso sulle labbra. Gli chiede dove vada in quell’ora meridiana aJnika dh; kai; sau'ro~ ejn aiJmasiai`si kaqeuvdei , la lucertola dorme nei muriccioli di pietra.
Virgilio riprende il motivo nella Bucolica II dove il pastore Coridone ama il bell'Alessi. Formosum pastor Corydon ardebat Alexin , 1.
 Nunc viridīs etiam occultant spineta lacertos (9) ora i rovi spinosi nascondono anche i verdi ramarri. Mori me denique coges (7).
Simichida-Teocrito dice che può reggere il confronto con Licìda che pure è il miglior suonatore di zampogna tra pastori e mietitori.
Anche io sono una sonora bocca delle Muse (kai; ga;r ejgw; Moi'san kapuro;n stovma, v. 37).
Mi considerano ottimo cantore, ma se contendo con i poeti Asclepiade e Filita, sono come la rana con i grilli. Ma mentre Simichida diceva così, rideva.
Allora Licida disse: ti do il mio bastone poiché sei un virgulto di Zeus tutto forgiato sulla verità. Io odio l’architetto che vuole costruire una casa alta come l’Oromedonte e i cucùli delle Muse che fanno cucù (kokkuvzonte~, 48) affannandosi invano.
Licida ha composto meluvdrion, una canzoncina, ejn o[rei, sul monte. E canta.
Licida è cotto ojpteuvmenon dal fuoco di Afrodite e brucia di amore per Ageanatte
Poi canta Simichida
Ha fatto starnutire gli Amori. Arato arde fin nelle ossa per amore di un ragazzo. Il poeta chiede a Pan di compiacere Arato. Se Pan non lo farà, sia maledetto.

Dunque gli Amori simili a pomi rosseggianti devono colpire con le frecce l’amabile Filino che non ha pietà di Arato. Filino è bello ma è già più maturo di un pomo e le donne dicono: ahimé, Filino, il tuo bel fiore cade (to; toi kalo;n a[nqo~ ajporrei'). Smettiamo di stare davanti alla porta chiusa di Filino. A noi stia a cuore la tranquillità (ajsuciva). E’ l’ideale del saggio teorizzato dai filosofi ellenistici portato nel campo dell’amore. Finito il canto, Simichida-Teocrito riceve l’investitura: Licida gli diede lagwbovlon il bastone per colpire le lepri, come dono ospitale da parte delle Muse. Poi Simichida va alla fattoria di Frasidamo dove si sdraia con altri.
Sul capo stormivano ai[geiroi pioppi neri e ptelevai, olmi. Sui rami ombrosi le cicale bruciate dal sole frinivano e la rana gracidava da lontano (thlovqen) nelle fitte spine dei rovi ( 139-140)
Cfr. Leopardi: “allora-che, tacito, seduto in verde zolla,-delle sere io solea passar gran parte-mirando il cielo, ed ascoltando il canto-della rana rimota alla campagna!”[2].
Cfr. anche D’Annunzio: “La figlia dell’aria[3] - è muta; ma la figlia - del limo lontana, - la rana - canta nell’ombra più fonda - chi sa dove, chi sa dove!”[4].
Cantavano allodole e cardellini e[stene trugwvn, gemeva la tortora, volteggiavano intorno alle fonti le bionde api.
Dappertutto un profumo di pingue raccolto.
o[cnai, pere, ai nostri piedi, ai nostri fianchi ma'la, le mele rotolavano in gran quantità e rami carichi di susine si piegavano fino a terra.

Cfr. Odissea VII, 120-121: o[gcnh ejp j o[gcnh/ ghravskei, mh'lon d j ejpi; mhvlw/- aujta;r ejpi; stafulh'/ stafulhv, su'kon d j ejpi; suvkw/”. Grappoli su grappoli
Cfr. Tasso, Gerusalemme liberata, XVI, 11: “Nel tronco istesso e tra l’istessa foglia-sovra il nascente fico invecchia il fico”. E’ il giardino di Armida.

Poi bevvero il vino. Simichida chiede alle ninfe Castalidi (della Castalia di Delfi) che abitano i gioghi del Parnaso se quel vino è lo stesso che Eracle offrì a Chirone nell’antro roccioso di Folo. Oppure quello che fece danzare Polifemo, il pastore dell’Anàpo, un fiume della Sicilia, presso Siracusa cfr. Tucidide VI, 96, 3.
E’ il vino ismarico, ricordato da Archiloco, quelli che Màrone di Ismaro, sacerdote di Apollo, donò a Odisseo (Odissea, IX, 40)



CONTINUA


[1] E’ un modus in rebus.
[2] Le ricordanze 9-13.
[3] La cicala
[4] La pioggia nel pineto, 89-95.

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