NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 30 giugno 2019

Senza umanesimo noi umani siamo una specie a rischio di estinzione

Heinrich Friedrich Füger, Prometeo ruba il fuoco

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L’ambiguità di Prometeo

La Montagna Incantata [1] di Thomas Mann, esalta la figura di Prometeo come l'archetipo dell'umanista attraverso queste parole di Settembrini: "Che cos'era però in fondo l'umanesimo? Nient'altro che amore verso gli uomini, quindi: politica e ribellione contro tutto ciò che macchiava e offendeva l'idea dell'uomo.
Gli si era rimproverato un eccessivo rispetto della forma, ma anche la bella forma era da lui curata per amore della dignità umana, in splendido contrasto col medioevo che non solo era caduto nell'abisso della inimicizia verso gli uomini e nella superstizione, ma nella più vergognosa trascuratezza di forma. Fin dal principio egli aveva parteggiato e combattuto per la causa dell'umanità, per i suoi interessi terreni, proclamando sacra la libertà di pensiero, la gioia della vita, e pretendendo che il cielo fosse lasciato agli uccelli. Prometeo! Quello era stato il primo umanista, identico a quel Satana cui Carducci aveva dedicato un inno" (p.176 I vol.).

L’italiano Settembrini del resto presenta aspetti ridicoli e la figura di Prometeo viene spesso criticata da chi la dà un ruolo, a partire da Eschilo per giungere a Mary Shelley. Altri autori come Goethe celebrano il titano ribelle come sappiamo.
Voglio dire che la lettura degli ottimi scrittori accresce anche lo spirito critico. L’umanesimo è alieno dai dogmi.
Prometeo è un dubbio benefattore tecnologico e la tecnologia viene guardata con sospetto. Personalmente detesto le armi, i telefonini e l’aria condizionata e, quindi, non me ne avvalgo. Sto riducendo al minimo indispensabile l’uso dell’automobile. Preferisco la bicicletta e il treno.
Invece uso molto il computer per scrivere e farmi leggere.
Empio è il monoteismo della tecnologia come quello del mercato.
 I conformisti considerano il dubbio e le anomalie segni di di debolezza, di demenza, e, quasi, di delinquenza. Ricordo che quando ero adolescente il fatto che non fumassi veniva reputato segno di scarsa virilità e intelligenza.
 I maschi duri e pensosi come Humphrey Bogart fumavano, quelli sdilinquiti e scimuniti, no !!!

Il Prometeo incatenato di Eschilo comunque si vanta di essere l’eurethvς di beni che hanno civilizzato e reso umani gli uomini da bestiali che erano: "kai; mh;n ajriqmo;n , e[xocon sofismavtwn, - ejxhu'ron aujtoi'" , grammavtwn te sunqevsei", - mnhvmhn aJpavntwn, mousomhvtor j ejrgavthn. - ka[zeuxa prw'to" ejn zugoi'si knwvdala (…) uJf a[rma t j h[gagon filhnivou" - i{ppou" , a[galma th'" - uJperplouvtou clidh'". - qalassovplagkta d j ou[ti" a[llo" ajnt j ejmou' - linovpter j hu|re nautivlwn ojchvmata" (vv. 459 - 462 e 465 - 468), ed io inventai per loro il numero, eccellente fra le trovate ingegnose, e le combinazioni delle lettere, memoria di tutto, madre delle muse operosa. E ho aggiogato per primo gli animali selvatici (…) e ho portato sotto il cocchio i cavalli divenuti amanti delle briglie, immagine del lusso straricco. Nessun altro all'infuori di me ha inventato i veicoli dalle ali di lino vaganti per i mari dei marinai. L'invenzione della navigazione da parte di Prometeo prefigura anche il volo. 

 Poi il Titano dice di avere trovato i farmaci (vv. 480 sgg.), le tecniche dell'arte divinatoria, l'interpretazione dei sogni, del volo degli uccelli, delle viscere nella vittime sacrificali. Infine ha scoperto i metalli: "calkovn, sivdhron, a[rguron crusovn te, tiv" - fhvseien a]n pavroiqen ejxeurei'n ejmou';" (vv. 502 - 503), il bronzo, il ferro, l'argento e l'oro, chi potrebbe dire di averli scoperti prima di me?
Ma la bontà di queste scoperte viene smontata da diversi autori: da Eschilo stesso, Erodoto, a Platone, a Orazio, a Leopardi.
  
Il male del ferro strumento di guerra e dell’oro causa di guerre
Erodoto afferma senza giri di parole che è stato creato per il male dell’uomo (Storie, I, 68, 4).
Ovidio nel I libro delle Metamorfosi maledice tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame di chi scatena le guerre.
Effondiuntur opes, inritamenta malorum; / iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi, I, 140 - 143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[2] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano.
La scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito di Theuth, una specie di Prometeo egiziano, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività dell’invenzione dicendo: “ Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno, da segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo"( ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~Fedro, 275a).

Leopardi nello Zibaldone è molto critico verso la scoperta del fuoco:"Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e dà sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo."(p. 3645). 
E ancora: “L’invenzione e l’uso delle armi da fuoco, ha combinato perfettamente colla tendenza presa dal mondo in ordine a qualunque cosa, e derivata naturalmente dalla preponderanza della ragione e dell’arte, colla tendenza, dico, di uguagliare tutto. Così le armi da fuoco, hanno uguagliato il forte al debole, il grande al piccolo, il valoroso al vile, l’esercitato all’inesperto, i modi di combattere delle varie nazioni: e la guerra ancor essa ha preso un equilibrio, un’uguaglianza che sembrava contraria direttamente alla sua natura. E l’artifizio, sottraendo alla virtù e agguagliandola, e anche superandola e rendendola inutile, ha pareggiato gli individui, tolta la varietà…infine ha contribuito sommamente anche per questa parte a mortificare il mondo e la vita” (Zibaldone, 659 e 660).
Si può pensare al film di Ermanno Olmi Il mestiere delle armi.
Leopardi, con il fuoco, critica anche la navigazione avvalendosi di Orazio:"Orazio (I, Od . 3) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e morbi ecc., di quanto la navigazione; e come altrettanto colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana.(Zibaldone , p. 3646). Eppure c’è ancora chi dice che le bombe atomiche sui civili giapponesi hanno salvato tante vite umane.
La navigazione viene esecrata anche da Lucrezio (De rerum natura, V, 1004 - 1006), da Virgilio nella IV ecloga, da Properzio (I, 7, 13 - 14), da Ovidio (Metamorfosi, I, 96).
Queste critiche oggi possono essere usate politicamente in vario modo.

Nel Protagora di Platone, il sofista racconta che Prometeo donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou"  in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c). Chi non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della città (322d).
Senza educazione, rispetto, giustizia e arte politica noi umani siamo una specie a rischio di estinzione.





[1] Der Zauberberg, Del 1924.
[2] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwnfovno" " (vv. 672 - 673).

sabato 29 giugno 2019

Carola capitana degli ultimi


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Riferisco e condivido con i miei lettori alcuni testi in onore della capitana Carola e dei poveri per i quali questa ragazza trasgredisce leggi inique.

Le leggi degli uomini, come sosteneva Don Milani sono giuste"quando sono la forza del debole." Quando invece esse "sanzionano il sopruso del forte", è bene "battersi perché siano cambiate"[1].

Messaggio morale della tragedia greca:
Umanesimo è amore per gli uomini
Sofocle, Antigone, v.523: "Certamente non sono nata per condividere l'odio ma l'amore". -

Utilizzo delle citazioni per partire dalla carne viva degli autori e non fare un discorso generico. Li cito, poi spiego

Valore morale della sofferenza.
Parto da Eschilo, Agamennone, 177: il tw'/ pavqei mavqo~ dell’Agamennone (v. 177) che ritorna in altre forme in altri autori, antichi e moderni.
Goccia invece del sonno[2] davanti al cuore la pena che ricorda il male (stavzei d’ ajnq j u[pnou pro; kardiva~ - mnhsiphvmwn povno~ , 179 - 180) e anche a chi non vuole giunge l’essere saggio.
Arriva con violenza la grazia degli dèi (182).

“La forma drammatica classica si regge su un principio: che la sofferenza inevitabilmente connessa all’esistere (anzi: al voler essere la via destinataci) conduca finalmente al mathos, a un ‘chiaro’ sapere”[3].

Un caso di lieto fine in seguito a resipiscenza possiamo trovare nell'Alcesti di Euripide. Admeto, sentendo il peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw", condurrò una vita penosa: ora comprendo (v.940). In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.

 C. Del Grande in Tragw/diva afferma che pure la commedia nuova, e particolarmente quella di Menandro mantiene un carattere paradigmatico fornendo esempi di mavqo" tragico. E' il caso di Carisio negli jEpitrevponte" (L’arbitrato)il marito che aveva ripudiato la moglie per un presunto errore sessuale di lei, un fallo che, senza saperlo, avevano commesso insieme, quando si accorge dell'amore della sposa, ironizza sulla propria innocenza di uomo attento alla reputazione:" ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn"(v. 588), io uno senza peccato, e comprende che deve perdonare quello che è stato solo un "ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchma", un infortunio involontario della donna (v.594).
E', secondo Del Grande, un "vero momento di mavqo" tragico"[4]

Il protagonista di questa commedia ripropone la formula antica della dovxa , la reputazione, ma poi la supera, con quell’ ejgwv ti" ajnamavrthto", che anticipa il Vangelo di Giovanni:"chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp j aujth;n balevtw livqon (8, 7). Qui non si tratta di un adulterio presunto. Infatti gli scribi e i farisei portano al tempio una donna còlta in adulterio (mulierem in adulterio deprehensam , 8, 3) e chiedono al Cristo, che insegnava in quel luogo, se dovesse essere lapidata secondo la legge mosaica. Lo dicevano per metterlo alla prova e magari poterlo accusare. Gesù allora si diede a scrivere con il dito sulla terra. E siccome lo incalzavano, il Redentore, rizzatosi, disse loro:" qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat ". E riprese a scrivere per terra. Tutti gli altri uscirono, e il Cristo, rimasto solo con la donna, la assolse, come tutti gli altri, aggiungendo:"vade et amplius iam noli peccare " (8, 11), vai e non peccare più.. 

Sulla medesima linea si trova il Duvskolo" : il vecchio Cnemone solitario e misantropo, in seguito a una caduta nel pozzo, comprende che nessuno è tanto autosufficiente da potere vivere senza l'aiuto del prossimo, e deve ammettere:" e{n d j i[sw" h{marton o{sti~ tw'n aJpavntwn wj/ovmhn - aujto;" aujtavrkh" ti" ei\nai kai; dehvsesq j oujdenov"" (vv.713 - 714), in una cosa probabilmente ho sbagliato: a credere di essere il solo autosufficiente tra tutti, e di non avere bisogno di nessuno.
In Menandro dunque rimane vigente la legge tragica per la quale attraverso le proprie sofferenze si impara e si diventa più comprensivi:"non si può dire che mavqo" non ci sia stato...Il paradigma in funzione esemplare è evidente"[5].
Del resto già nel Prologo il dio Pan aveva detto a proposito di Gorgia: “ oJ pai`~ uJpe;r th;n hJlikivan to;n nou`n e[cwn:proavgei ga;r hj tw'n pragmavtwn ejmpeiriva, vv. 28 - 29, è un ragazzo che ha cervello al di sopra della sua età:/infatti l'esperienza delle difficoltà fa crescere.
Per non limitarmi alla letteratura greca e ai suoi interpreti, aggiungo autori successivi.

Nell'Eneide di Virgilio Didone incoraggia i Troiani giunti naufraghi sulle coste della Libia ricordando che anche lei è esperta di sventure le quali l'hanno resa non solo attenta e diffidente, ma pure compassionevole verso i disgraziati:"non ignara mali miseris succurrere disco "(I, 630), non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati. Tanta humanitas non verrà contraccambiata da Enea.
Questa educazione data dal dolore avrà un riuso fino al Novecento, con Proust e Hesse per esempio.

Versare il sangue a terra è un peccato irredimibile
Il coro dell'Agamennone nel terzo stasimo canta:"una volta caduto a terra (to; ga;r ejpi; ga'n peso;n a[pax) , nero/sangue mortale di quello che prima era un uomo chi/potrebbe farlo tornare indietro cantando?"(vv. 1019 - 1021).
Una domanda retorica che afferma la sacralità della vita umana e trova un correlativo cristiano in questa nobile sentenza di Manzoni :" il sangue d'un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni sulla morale cattolica, VII)

Nella Parodo delle Coefore il Coro canta:" Tutti i canali convogliati in un'unica via, bagnando la strage che imbratta la mano, correrebbero inutilmente a purificarla"(vv.72 - 74). Nella lamentazione funebre che conclude il primo episodio, Oreste ribadisce :"infatti se uno versa tutti i libami in cambio di una sola goccia di sangue, vano è il travaglio: così è il detto" ( Coefore, vv. 520 - 521).

Nel Macbeth il protagonista, dopo che ha assassinato il re, fa:" Will all great Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'Oceano del grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare facendo del verde un unico rosso (II, 2).
Il modello di questo passo si trova nella Fedra di Seneca dove Ippolito, sentendosi contaminato dalla matrigna, dice:quis eluet me Tanais aut quae barbaris/Maeotis undis pontico incumbens mari?/Non ipse toto magnus Oceano pater tantum expiarit sceleris, o silvae, o ferae! " (vv.715 - 718), quale Tanai mi laverà o quale Meotide che con le barbare onde preme sul mare pontico? Nemmeno il grande padre con tutto l'Oceano potrebbe purificare un delitto così enorme. O foreste, o fiere!
Lady Macbeth in un primo momento afferma che poca acqua basterà a pulire le mani lordate dal misfatto: "A little water clears us of this deed " (Macbeth, II, 2) leggiamo nella tragedia di Shakespeare[6].
Più avanti la stessa donna che, aizzando il marito al tradimento e al delitto, era sembrata tanto salda, resa malata dal crimine sospira:"All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand ", tutti i balsami d'Arabia non basteranno a profumare questa piccola mano (V,1).

giovanni ghiselli

(continua)


[1] L'obbedienza non è più una virtù , p.38
[2] Il tiranno non dorme. Cfr., p. e. Edipo e Macbeth.
[3] M. Cacciari, Hamletica, p. 100
[4]Tragw/diva , p. 209.
 [5] Del Grande, op. cit. p. 214.
[6] Una battuta che nel libretto di Piave del melodramma musicato da Verdi diventa: "Ve' le mani ho lorde anch'io; poco spruzzo e monde son" (Macbeth, I atto).

La Felicità. XIV parte. Titoli degli argomenti sviluppati nel mio percorso sula gioia



La gioia dionisiaca. L’esperienza dionisiaca può essere fonte di felicità ma anche di dolore.
La gioia va digerita e assimilata evitando l’indigestione.
La gioia del potere affermata e negata. Il ricco e il potente sono felici? Alcuni esempi tratti dalle tragedie greche e da quelle di Seneca. La zoppia del tiranno.
La gioia che proviene dal cibo cui provvede la pace.
La sede della gioia.
Senza gioia la vita non è viva. La perdita dell’amore annienta la gioia. Le nozze secondo Euripide non sono fonti di gioia perenne.
Nietzsche La nascita della tragedia. Apollineo e dionisiaco.
Nessuno è felice del tutto e per sempre. La negazione della felicità è collegata a quella del mettere al mondo dei figli.
Makarismoiv. L’eventualità di essere felici nell’amore è associata alla temperanza e alla concordia.
La felicità di vedere la luceEsistono pure makarismoiv degli uccelli: Aristofane e Leopardi.
Personata felicitas, Felicità mascherata.
 Felicità è vivere secondo natura. Osservare la terra madre, sollevare gli occhi dai propri piedi e guardare il cielo.

L’uomo privo di bisogni spirituali è il correlativo antropomorfo degli animali

Mal fondata è la felicità che si basa sul possesso della “roba”. Mutua accepimus. Usus fructusque noster est.

La gioia dell’agnizione in alcune tragedie greche.
La gioia dei ritrovamenti e dei riconoscimenti in tre drammi romanzeschi di Shakespeare.
Escluso dalla gioia è l’uomo empio che non capisce.
Attraverso la sofferenza si può arrivare a capire.
Non comprendere crea dolore e rovina.
Intelligenza è comprensione, pietà e amore. Capire significa anche amare.
La felicità consiste nella conoscenza, da intendere più come sapienza che come sapere.
Conosci te stesso, diventa quello che sei, e potenzia quello che sei diventato!
Imprevedibilità degli eventi della vita umana. La vita è un'avventura.
L' infelicità dipende dal caos interno che cozza con il cosmo dell’artefice sommo.
La difficile e pericolosa felicità della solitudine. La “feroce gioia” di essere solo.

La Felicità. XIII parte. Ancora: Conosci te stesso!

Il tempio di Apollo a Delfi

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Conosci te stesso,  diventa quello che sei e  potenzia quello che sei diventato!

L’ignoranza della propria identità dunque è la più grave. Talora serve a procrastinare il dolore, aggravandolo, mai a risolverlo
Nell’Edipo re, Tiresia, minacciato da Edipo replica con questo avvertimento maleominoso:
"E dico, poiché mi hai rinfacciato anche la cecità:/tu, pur se guardi fisso, non vedi dove sei nel male/né dove abiti, nè con chi dimori” (vv. 412 - 415).

 La conoscenza di se stesso dunque è un preliminare della felicità ed è un presupposto della definizione e del potenziamento dell’identità: “quella moltiplicazione di noi stessi che è la felicità”[1].
I gradini dunque possono essere: conosci te stesso gnw`qi sautovn diventa quello che sei[2], poi accresci quello che sei diventato.
A proposito di “Conosci te stesso!”, l’iscrizione di Delfi, sentiamo Platone:
Il dialogo Carmide verte sulla swfrosuvnh, e il personaggio Crizia ne dà questa definizione: “e[gwge aujto; tou'to fhmi ei\nai swfrosuvnhn, to; gignwvskein eJautovn”, io per me affermo che proprio questo sia assennatezza, conoscere se stesso, e tale l’iscrizione (to; toiou'ton gravmma) di Delfi corrisponde a un Cai`re, un salve, un saluto del dio (164d) il quale dice a colui che di volta in volta entra nel tempio: “oujk allo ti h] Swfrovnei”, nient’altro che sii saggio. Infatti Conosci te stesso e Sii saggio sono la stessa cosa “to, ga;r Gnw'qi sautovn kai; to; Swfrovnei e[stin me;n taujtovn” (165a).

Nel dialogo Protagora le scritte delfiche Gnw`qi sautovn, “Conosci te stesso, e Mhde;n a[gan, “Nulla di troppo”, sono esempi di una scuola che ammirava la paideia spartana e ne impiegava lo stile brachilogico. Socrate dice che Lacedemoni e Cretesi fingono di essere ignoranti “schmativzontai ajmaqei'" ei\nai” (342b) ma la loro vera superiorità è la sofiva. La nascondono poiché non vogliono che altri la coltivino. Infatti i laconizzanti in altre città li imitano ammaccandosi le orecchie, avvolgendosi i pugni con strisce di cuoio, facendo spesso esercizi ginnici e portando mantelli corti.
In realtà Cretesi e Lacedemoni praticano cultura di nascosto dagli stranieri, e sono orgogliosi della loro educazione, non solo gli uomini, ma anche le donne. Essi sono ottimamente educati alla filosofia e alle parole: infatti se uno si mette a conversare con il più mediocre dei Lacedemoni, costui può sembrare inetto nel parlare, ma poi, quando sia capitata l’occasione, questo, come un terribile lanciatore di giavellotto, ha già scagliato una frase memorabile, breve e densa di significato “ejnevbalen rJh'ma a[xion lovgou bracu; kai; sunestrammevnon, w{sper deino;" ajkontisthv"” 342e)




[1] M. Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 397.
[2] Gevnoio oi|o" ejssi;, Pindaro, Pitica II, 72.